Il DL n. 98 del 2011, art. 37, co. 16) prevede dal 2012 che il Ministro della giustizia presenti alle Camere, entro il mese di giugno, una relazione sullo stato delle spese di giustizia.
La statistica ha una funzione molto importante perché riesce a sintetizzare in poche cifre il nostro lavoro, affinché possa essere generalizzato ed accostato a modelli di comparazione. Ad inizio anno questa disciplina è utilizzata per tirare le somme in ogni campo, a patto che i dati su cui si basa siano affidabili. Non è escluso il campo giudiziario, infatti, durante i primi mesi di quest’anno, si sono susseguite una serie di inaugurazioni con cifre e resoconti. Anche quest’anno sono stati riportati valori nel campo delle intercettazioni che, nel recente passato del nostro paese, hanno vitalizzato non poco la scena politica. Adesso se ne parla molto meno. In realtà, rispetto al passato, non è cambiato nulla circa la rilevazione della loro utilizzazione.
Cosa accade nel dettaglio in Italia e come si comportano gli altri paesi? Vediamo qualche esempio.
Negli Stati Uniti d’America 48 giurisdizioni (il governo federale, il Distretto di Columbia, le Isole Vergini, Porto Rico e 44 stati) attualmente hanno leggi che autorizzano i giudici a emettere un ordine d’intercettazione. La sezione Title III dell’Omnibus Crime Control and Safe Streets Act prevede che l’Ufficio Amministrativo di ogni tribunale fornisca un rapporto annuale per il Congresso, in termini di numero di intercettazioni, durata iniziale e durata dell’eventuale proroga, costo degli apparati utilizzati e, molto importante, l’indicazione sull’esito delle operazioni d’intercettazioni, ovvero, se hanno comportato un arresto e una condanna.
Nel Regno Unito, la sezione 57(1) dell’Investigatory Powers Act 2000 (RIPA), legge che regola i poteri degli enti pubblici in materia di vigilanza e di indagine, prevede la figura del Commissario per le Intercettazioni delle Comunicazioni preposto al coordinamento dell’ufficio IOCCO (Interception of Communications Commissioner’s Office) che risponde al Primo Ministro e che ha il compito di esaminare retrospettivamente le modalità utilizzate per l’intercettazione legale delle comunicazioni, quindi sotto il profilo qualitativo. L’Ufficio è composto da non più di 10 figure aventi grande esperienza tecnico-legale sul tema e, in termini di statistiche, pubblica solo il numero delle richieste d’intercettazione per richiedente senza altre informazioni aggiuntive.
In Svizzera, il Servizio Sorveglianza della corrispondenza postale e del traffico delle telecomunicazioni (SPCT) esegue, su incarico delle autorità inquirenti, la sorveglianza della corrispondenza postale e del traffico delle telecomunicazioni. In altre parole si procura, presso i fornitori di servizi di telecomunicazioni, i dati richiesti dalle autorità inquirenti nell’ambito delle loro indagini. Il Servizio pubblica annualmente i numeri relativi alla “sorveglianza in tempo reale” e alla “sorveglianza retroattiva”, cioè i dati relativi al traffico e alla fatturazione dei sei mesi precedenti, e il totale delle indennità e degli emolumenti.
In Italia ha prevalso il sentimento di repulsione del costo delle intercettazioni, piuttosto che quello della regolamentazione. Ricordiamo che l’attuale codice delle comunicazioni (Dlgs 1° agosto 2003, n. 259) aveva già previsto un repertorio, nel quale sarebbero stati stabiliti le modalità di esecuzione delle operazioni d’intercettazione, gli obblighi specifici e le relative tempistiche. Dieci anni dopo, nel 2013, il Ministro della Giustizia ha emanato la direttiva per la gara unica nazionale sulle intercettazioni, rimasta inattuata. Ad oggi, quindi, nulla è cambiato. Senza basi di certezza tecnica, nel tempo il nostro sistema si è comunque assestato ma adesso mostra tutti i suoi limiti, a causa dell’avanzata delle nuove tecnologie e utilizzate da chi è intercettato. Tematiche come l’intercettazione dei nuovi servizi e delle connessioni cifrate, l’utilizzo del trojan di stato, le modalità di invio dei dati intercettati alle Procure, i tempi di conservazione dei dati intercettati nel rispetto della privacy, la modalità di esportazione dei dati intercettati ed la riservatezza, rappresentano problematiche attuali a cui va data risposta. Invece si è partiti dalla coda, cioè dalle spese di giustizia che rappresentano l’effetto del lavoro svolto a monte.
In Italia quelle di giustizia si articolano su tre capitoli di spesa, di cui il n. 1363 è relativo alle intercettazioni. Nell’ambito degli interventi di spending review (DL n. 98 del 2011, art. 37, co. 16) è previsto che, a decorrere dall’anno 2012, il Ministro della giustizia presenti alle Camere, entro il mese di giugno, una relazione sullo stato delle spese di giustizia. In tale contesto si ha finalmente conoscenza delle statistiche relative al nostro paese. Da un nostro recente approfondimento, che sarà pubblicato sul prossimo numero, è emerso purtroppo che la metodologia utilizzata per questa ricognizione statistica è affetta da molte criticità, come l’associazione tra decreto e numeri di bersagli, la tipologia di bersagli, la mancata indicazione della durata delle intercettazioni e delle relative proroghe e, soprattutto, delle spese che vengono tracciate per fattura e per anno solare in cui vengono liquidate, senza la giusta scomposizione delle reali voci di costo, ed in modo svincolato dai numeri delle intercettazioni che fanno riferimento invece al momento dell’attivazione.
La Direzione generale di statistica e analisi organizzativa (DG-Stat) del Ministero di Giustizia, da noi interpellata, conferma che i dati sulle intercettazioni sono raccolti attraverso due modelli di rilevazione: il mod. 37INT per il numero di richieste del Pubblico Ministero, il numero dei provvedimenti emessi dal giudice, i decreti di autorizzazione e i bersagli intercettati, con periodicità trimestrale; il mod. 1/A/SG per la rilevazione dei dati sui costi con importi di fatture per le quali il magistrato ha emesso decreto di liquidazione, con periodicità semestrale. Ringraziando la DG-Stat che mostra il miglior approccio collaborativo alla problematica, accettando ogni suggerimento utile al miglioramento, è evidente però che anche forzando la coerenza nelle semplici statistiche non si risolverebbe la problematica che ha radici molte più profonde.
Dal paragone sopra riportato con gli altri stati, seppure limitato, appare evidente che nel nostro Paese manca una figura preposta al coordinamento di tutte le problematiche sul tema e verso tutti gli attori coinvolti (Autorità Garante della privacy, Ministeri, Procure della Repubblica, Operatori di telecomunicazione, società terze), che governi l’evoluzione tecnologica e che sia il punto di riferimento per la tecnologia attuale, anche considerando eventuali investitori esteri nel campo delle telecomunicazioni. Senza questa figura e senza un regolamento per la loro definizione e attuazione, le statistiche vengono comunque effettuate; insistendo su una base di informazioni non regolamentate, mancanti di definizioni e presupposti, le statistiche presentano molte criticità, quindi ci si chiede quale attendibilità possano avere per la riforma del settore in Italia. ©