di Fabiana De Feo
[vc_row] Nella memoria globale di Internet presente e passato convivono in un unico spazio e la realtà che ne deriva non è in grado di distinguere ciò che è stato da ciò che è. Si assiste, in altre parole, a un’ipertrofia della memoria digitale, che spesso si traduce in violazioni della dignità e dell’identità personale, e a un’inflazione della memoria umana che ha indotto i giuristi a prevedere strumenti adatti al nuovo scenario, segnato dalla contrapposizione tra diritto all’oblio e diritto di cronaca. Nel difficile bilanciamento tra questi interessi, entrambi meritevoli di tutela, emerge che il dibattito è ancora in fieri. [/vc_row]
Nell’epoca della net society si rende necessaria una rivisitazione della formula cartesiana cogito ergo sum, che attualmente potrebbe essere tradotta nell’espressione digito ergo sum, forse più adatta alla rappresentazione delle dinamiche esperienziali vissute dagli utenti della Rete.
L’esercizio della libertà di parola si compone di due momenti, espressione e diffusione, che appaiono connessi al punto tale da assurgere ad un unicum, pur senza esserlo, almeno, in linea di principio. Non lo sono, infatti, nella misura in cui è ancora possibile distinguere tra la scrittura di un articolo e la sua pubblicazione, tra la registrazione di un programma televisivo e la sua messa in onda, tra la digitazione di un commento o di uno scritto e il suo inserimento su un sito web. È tuttavia chiaro, in particolar modo nella società dell’informazione, che queste due azioni sono sempre più intimamente legate: l’espressione del pensiero dinanzi ad un pubblico, definito ancorché sconosciuto, si affianca o si sostituisce alla consegna della parola e dello scritto a strumenti quali la stampa, la radio, la televisione nonché la Rete. Il cyberspace ha permesso una diffusione del pensiero che non si esaurisce in un momento, più o meno lungo, più o meno ripetuto, ma acquista carattere di permanenza in un “presente esteso”.
Nella maggior parte dei casi, infatti, ciò che viene memorizzato nel Web si colloca in una dimensione spazio-temporale indefinita, nella quale le informazioni, rese accessibili secondo la logica dell’hic et nunc, continuano a circolare fino ad un’eventuale, e in realtà sempre più difficile, rimozione. Ciò rende il Web un’immensa mediateca, in cui qualsiasi cibernauta può inserire, ma soprattutto reperire, un numero considerevole di informazioni in modo diretto e immediato.
Se da un lato si è configurato il diritto di accesso alla Rete come situazione giuridica attiva, direttamente ricavabile dagli artt. 3 e 21 Cost., dall’altro si sono aperti nuovi ambiti di discussione in relazione al diritto all’oblio. Con riferimento a quest’ultimo si evidenzia, infatti, come le informazioni immesse nella memoria digitale, per la loro difficoltà di essere classificate e ordinate in una corretta sequenza temporale, possono non soltanto non identificare la realtà esistente o comunque ledere in modo ingiustificato i diritti di un soggetto, ma anche concorrere a rendere attuali gli accadimenti di un tempo passato che caratterizzavano la vita di un soggetto, alterandone quindi l’identità attuale, così come determinata dall’inarrestabile scorrere del tempo.
“Fin dalle origini dell’umanità, dimenticare è stata la norma e ricordare l’eccezione. Oggi, con l’avvento della tecnologia digitale e dei network globali, questo equilibro si è ribaltato, tanto che dimenticare è diventato l’eccezione e ricordare la norma”.
Emerge, quindi, la necessità di individuare il momento in cui, decorso un intervallo di tempo o comunque esauritosi l’interesse pubblico, si possano, anzi si debbano, ritenere meritevoli di tutela alcune situazioni giuridiche soggettive quali la dignità e l’identità personale.
Il diritto all’oblio, nato come una sorta di sottocategoria, spesso affiancato al diritto alla riservatezza è, invece, andato affermandosi sempre di più come un vero e proprio diritto dotato di autonoma dignità giuridica. In tal senso la sentenza Google Spain, che ha rappresentato un vero e proprio leading case, giunge all’esito di un percorso già da tempo intrapreso, attraverso significative pronunce, dal nostro giudice di nomofilachia. L’oblio, infatti, aveva già avuto un suo esplicito riconoscimento da parte della Corte di Cassazione: “il diritto all’oblio è da intendersi quale giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata” , a meno che non vi siano fatti sopravvenuti, idonei a far tornare d’attualità la notizia. Inoltre, la Suprema Corte aveva precisato che, ai fini di una reiterazione legittima, per quanto riguarda le informazioni attinenti a fatti remoti nel tempo, era necessario il loro rilevante collegamento con la realtà attuale e la loro concreta utilità, da esprimersi sempre nei vincoli della continenza. Gli Ermellini hanno avuto modo di chiarire che la legittima pretesa di deindicizzare le passate vicende personali trova un limite alla loro riproposizione nell’esercizio del diritto di cronaca solamente quando sussista un interesse pubblico, effettivo e attuale. Tale interesse andrebbe considerato nell’ambito del delicato, e niente affatto scontato, equilibrio tra diritto alla privacy dei soggetti interessati, trasparenza pubblica e verità storica.
Non è inutile osservare che i giudici di piazza Cavour non hanno previsto la cancellazione, ma piuttosto la contestualizzazione, e quindi l’aggiornamento, da parte del titolare del sito, dei dati che riguardano direttamente il soggetto, perché “una verità non aggiornata non è una verità”. In Italia, il primo landmark case è stato affrontato dalla Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, che, sovvertendo integralmente le pregresse pronunce, ha rilevato la sussistenza di un obbligo a carico dell’editore di segnalare adeguatamente, con un’annotazione nel corpo o a margine dell’articolo, l’evoluzione della notizia, in maniera tale da assicurare, all’interessato, il rispetto della propria attuale identità e, ad ogni lettore, un’informazione attendibile e completa.
Segnatamente, la Suprema Corte ha osservato che “se la finalità di documentazione storica può legittimare la conservazione e la pubblica accessibilità dell’articolo che riporta una determinata notizia e la persistente identificabilità del protagonista, è però coerente con questa finalità, e al tempo stesso rispettoso del diritto all’oblio, che la notizia sia aggiornata e contestualizzata, se non risponde più a verità”.
Da queste considerazioni deriva che, con il trascorrere del tempo, sussiste il diritto di un soggetto a non vedere più pubblicate notizie che lo riguardano, ogni qualvolta il suo nome venga digitato all’interno dei campi di un motore di ricerca o di un archivio di una testata giornalistica online, con riferimento a vicende, a suo tempo legittimamente diffuse, ma ormai prive di un interesse sociale tale da giustificarne un’ulteriore pubblicazione. Tale pretesa è legittimata dalla necessità di tutelare l’attuale dimensione sociale dell’individuo ed evitare che, una volta venuto meno l’interesse della collettività ad essere informata, avvenimenti del passato possano rappresentare un ostacolo alla normale evoluzione della persona. La capacità della Rete di memorizzare le informazioni in maniera potenzialmente imperitura ha accresciuto il rischio di una tendenziale cristallizzazione delle biografie dei consociati, spesso sottoposte ad una indiscriminata riproposizione di notizie del passato, rendendo indispensabile l’individuazione di un nuovo e giusto equilibrio tra la tutela dell’identità personale, virtuale e non, ed il fondamentale diritto di cronaca.
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