La direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche, deve essere interpretata nel senso che essa non esige che la normativa nazionale preveda il rimborso integrale dei costi sostenuti dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica per permettere l’intercettazione di comunicazioni elettroniche disposta dalle autorità giudiziarie. Conformemente all’articolo 13, paragrafo 1, di tale direttiva, gli Stati membri possono ricorrere a un meccanismo di compensazione di tali costi, a condizione che esso sia non discriminatorio, trasparente e proporzionato.
Queste le conlusioni dell’avvocaro generale Anthony M. Collins. Si invita a leggere i punti 43 e 37 in quest’ordine:
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
ANTHONY M. COLLINS
presentate il 6 ottobre 2022(1)
Causa C‑339/21
Colt Technology Services SpA,
Wind Tre SpA,
Telecom Italia SpA,
Vodafone Italia SpA
contro
Ministero della Giustizia,
Ministero dello Sviluppo Economico,
Ministero dell’Economia e delle Finanze,
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari,
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma,
Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Reggio Calabria,
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Locri
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (Italia)]
«Rinvio pregiudiziale – Direttiva (UE) 2018/1972 – Articolo 13 – Condizioni apposte ad un’autorizzazione generale – Principi di non discriminazione, di proporzionalità e di trasparenza – Possibilità di effettuare legalmente intercettazioni disposte dalle autorità giudiziarie competenti – Indennizzo – Rimborso integrale dei costi sostenuti dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica»
Introduzione
1. Gli Stati membri sono tenuti a prevedere il rimborso integrale dei costi sostenuti dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica per permettere l’intercettazione di comunicazioni elettroniche da parte delle autorità nazionali competenti? Il Consiglio di Stato (Italia) pone tale questione con specifico riferimento alla direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche (2).
II. Disposizioni normative pertinenti
A. Diritto dell’Unione europea
2. Il preambolo della direttiva 2018/1972 enuncia, in particolare, i seguenti obiettivi:
«(5) La presente direttiva istituisce un quadro normativo per garantire la libera prestazione delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, fatte salve soltanto le condizioni stabilite nella presente direttiva e le restrizioni ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), in particolare le misure di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, nonché coerentemente con l’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (“Carta”).
(6) La presente direttiva fa salva per ciascuno Stato membro la possibilità di adottare le misure necessarie per assicurare la tutela dei suoi interessi essenziali in materia di sicurezza, salvaguardare l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza e consentire la ricerca, l’individuazione e il perseguimento dei reati, tenendo conto del fatto che, conformemente all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, ogni limitazione dell’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciute dalla Carta, in particolare dagli articoli 7, 8 e 11, come le limitazioni relative al trattamento di dati, deve essere prevista dalla legge, rispettare l’essenza di tali diritti e libertà e rispettare il principio di proporzionalità».
3. L’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2018/1972 stabilisce quanto segue:
«La presente direttiva si applica fatt[e] salv[e]:
(…)
c) le misure adottate dagli Stati membri per fini di ordine pubblico, pubblica sicurezza e difesa;
(…)».
4. L’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2018/1972, rubricato «Condizioni apposte all’autorizzazione generale, ai diritti d’uso dello spettro radio e delle risorse di numerazione e obblighi specifici», prevede quanto segue:
«L’autorizzazione generale per la fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica, i diritti d’uso dello spettro radio e i diritti d’uso delle risorse di numerazione possono essere assoggettati esclusivamente alle condizioni elencate nell’allegato I. Tali condizioni sono non discriminatorie, proporzionate e trasparenti (…)».
5. L’allegato I è intitolato «Elenco delle condizioni che possono corredare le autorizzazioni generali, i diritti d’uso dello spettro radio e i diritti d’uso delle risorse di numerazione». L’allegato I, parte A, che contiene le «Condizioni generali che possono corredare l’autorizzazione generale», così recita:
«(…)
4. Possibilità per le autorità nazionali competenti di effettuare legalmente intercettazioni delle comunicazioni in conformità del regolamento (UE) 2016/679 e della direttiva 2002/58/CE.
(…)».
B. Diritto italiano
6. L’articolo 96 del decreto legislativo n. 259 – Codice delle comunicazioni elettroniche, del 1º agosto 2003 (GURI n. 214 del 15 settembre 2003; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 259/2003»), rubricato «Prestazioni obbligatorie», stabilisce quanto segue:
«1. Le prestazioni a fini di giustizia effettuate a fronte di richieste di intercettazioni e di informazioni da parte delle competenti autorità giudiziarie sono obbligatorie per gli operatori; i tempi ed i modi sono concordati con le predette autorità fino all’approvazione del decreto di cui al comma 2.
2. Ai fini dell’adozione del canone annuo forfetario per le prestazioni obbligatorie di cui al comma 1, con decreto del Ministro della giustizia e del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro il 31 dicembre 2017, è attuata la revisione delle voci di listino di cui al decreto del Ministro delle comunicazioni 26 aprile 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 104 del 7 maggio 2001. Il decreto:
a) disciplina le tipologie di prestazioni obbligatorie e ne determina le tariffe, tenendo conto dell’evoluzione dei costi e dei servizi, in modo da conseguire un risparmio di spesa di almeno il 50 per cento rispetto alle tariffe praticate. Nella tariffa sono ricompresi i costi per tutti i servizi contemporaneamente attivati o utilizzati da ogni identità di rete;
b) individua i soggetti tenuti alle prestazioni obbligatorie di intercettazione, anche tra i fornitori di servizi, le cui infrastrutture consentono l’accesso alla rete o la distribuzione dei contenuti informativi o comunicativi, e coloro che a qualunque titolo forniscono servizi di comunicazione elettronica o applicazioni, anche se utilizzabili attraverso reti di accesso o trasporto non proprie;
c) definisce gli obblighi dei soggetti tenuti alle prestazioni obbligatorie e le modalità di esecuzione delle stesse, tra cui l’osservanza di procedure informatiche omogenee nella trasmissione e gestione delle comunicazioni di natura amministrativa, anche con riguardo alle fasi preliminari al pagamento delle medesime prestazioni.
3. In caso di inosservanza degli obblighi contenuti nel decreto di cui al comma 2, si applica l’articolo 32, commi 2, 3, 4, 5 e 6.
4. Fino all’emanazione del decreto di cui al comma 2 il rilascio di informazioni relative al traffico telefonico è effettuato in forma gratuita. In relazione alle prestazioni a fini di giustizia diverse da quelle di cui al primo periodo continua ad applicarsi il listino adottato con decreto del Ministro delle comunicazioni del 26 aprile 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 104 del 7 maggio 2001.
5. Ai fini dell’erogazione delle prestazioni di cui al comma 2 gli operatori hanno l’obbligo di negoziare tra loro le modalità di interconnessione allo scopo di garantire la fornitura e l’interoperabilità delle prestazioni stesse. Il Ministero può intervenire se necessario di propria iniziativa ovvero, in mancanza di accordo tra gli operatori, su richiesta di uno di essi».
7. Conformemente all’articolo 96, comma 2, del decreto legislativo n. 259/2003, il decreto interministeriale del Ministro della giustizia e del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle Finanze – Disposizione di riordino delle spese per le prestazioni obbligatorie di cui all’articolo 96 del decreto legislativo n. 259 del 2003, del 28 dicembre 2017 (GURI n. 33 del 9 febbraio 2018; in prosieguo: il «decreto interministeriale del 28 dicembre 2017») stabilisce le condizioni per l’esecuzione delle prestazioni obbligatorie e prevede, nel suo allegato, le tariffe corrisposte dalle autorità italiane per tali prestazioni.
III. Controversia nel procedimento principale e domanda di pronuncia pregiudiziale
8. La Colt Technology Services SpA, la Wind Tre SpA, la Telecom Italia SpA e la Vodafone Italia SpA sono fornitori di servizi di comunicazione elettronica che forniscono, in particolare, servizi Internet e di telecomunicazione fissa e mobile in Italia. Con ricorsi separati, esse hanno impugnato il decreto interministeriale del 28 dicembre 2017. In particolare, esse hanno sostenuto che le tariffe corrisposte dalle autorità italiane ai sensi di tale decreto non coprono integralmente i costi legati alle prestazioni obbligatorie relative all’intercettazione di comunicazioni elettroniche disposta dalle autorità giudiziarie nazionali competenti.
9. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia) ha respinto i ricorsi della Colt Technology Services, della Wind Tre, della Telecom Italia e della Vodafone Italia. Tali fornitori hanno quindi interposto appello dinanzi al Consiglio di Stato, che ha riunito i ricorsi in appello.
10. Al fine di statuire sui ricorsi, il 13 luglio 2020 il Consiglio di Stato ha sottoposto alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione degli articoli 18, 26 e 102 TFUE.
11. Il 26 novembre 2020, la Corte ha respinto tale domanda di pronuncia pregiudiziale in quanto manifestamente irricevibile (3). La Corte ha ritenuto che il giudice del rinvio si fosse limitato, in sostanza, a citare gli argomenti dedotti dalle ricorrenti nel procedimento principale. Esso aveva dunque omesso di precisare le ragioni che l’avevano indotto a interrogarsi sull’interpretazione degli articoli 18, 26 e 102 TFUE o sul rapporto tra tali disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui al procedimento principale, in contrasto con quanto richiesto dall’articolo 94, lettera c), del regolamento di procedura della Corte (4). La Corte ha inoltre osservato che il giudice del rinvio avrebbe potuto presentare una nuova domanda di pronuncia pregiudiziale contenente le indicazioni necessarie per consentire alla Corte di fornire una risposta utile alla questione sollevata (5).
12. Il 31 maggio 2022, nell’ambito del medesimo procedimento, il Consiglio di Stato ha proposto la domanda di pronuncia pregiudiziale in esame. Esso ha osservato che, conformemente alla direttiva 2018/1972, un’autorizzazione generale a fornire servizi di comunicazione elettronica può essere soggetta all’obbligo di fornire prestazioni obbligatorie quali l’intercettazione di comunicazioni elettroniche disposta dalle autorità giudiziarie. Sebbene l’articolo 13 della direttiva 2018/1972 richieda che le condizioni apposte a un’autorizzazione generale siano non discriminatorie, proporzionate e trasparenti, il diritto dell’Unione non esige espressamente che i fornitori di servizi di comunicazione elettronica siano rimborsati integralmente dei costi sostenuti nell’adempimento dei decreti giudiziali che dispongono l’intercettazione di siffatte comunicazioni.
13. In tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Dica la Corte se gli articoli 18, 26, 49, 54 e 55 del TFUE, gli articoli 3 e 13 della [direttiva 2018/1972/UE], nonché gli articoli 16 e 52 della [Carta], ostino ad una normativa nazionale che, nel delegare all’autorità amministrativa il compito di stabilire il compenso da riconoscere agli operatori di telecomunicazioni per lo svolgimento obbligatorio delle attività di intercettazione di flussi di comunicazioni disposte dall’autorità giudiziaria, non imponga di attenersi al principio dell’integrale ristoro dei costi concretamente affrontati e debitamente documentati dagli operatori in relazione a tali attività e, inoltre, vincoli l’autorità amministrativa al conseguimento di un risparmio di spesa rispetto ai pregressi criteri di computo del compenso».
14. La Colt Technology Services, la Wind Tre, la Telecom Italia, la Vodafone Italia, il governo italiano e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. All’udienza del 18 maggio 2022, le parti hanno svolto le loro difese orali e risposto ai quesiti della Corte.
IV. Valutazione
A. Applicazione della direttiva 2018/1972
15. Conformemente alla richiesta della Corte, le presenti conclusioni si limitano all’analisi dell’applicazione della direttiva 2018/1972 nel contesto della questione pregiudiziale.
16. Il giudice del rinvio chiede se la direttiva 2018/1972 debba essere interpretata nel senso che essa impone agli Stati membri di prevedere il rimborso integrale dei costi sostenuti dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica per l’intercettazione obbligatoria di comunicazioni elettroniche disposta dalle autorità giudiziarie nazionali competenti.
17. Al momento dell’adozione del decreto interministeriale del 28 dicembre 2017, la direttiva 2002/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni) (6) era in vigore ed era stata debitamente recepita nel diritto italiano. Conformemente ai suoi articoli 124 e 126, la direttiva 2018/1972 è entrata in vigore il 20 dicembre 2018, mentre il termine per il suo recepimento nel diritto degli Stati membri scadeva il 21 dicembre 2020. L’articolo 125 della direttiva 2018/1972 ha abrogato la direttiva 2002/20 con effetto dal 21 dicembre 2020. Alla data dell’ordinanza di rinvio, la direttiva 2018/1972 era entrata in vigore, il termine per il suo recepimento nel diritto degli Stati membri era scaduto e la direttiva 2002/20 era stata abrogata. Le disposizioni della direttiva 2002/20 (7) e della direttiva 2018/1972 pertinenti ai fini della domanda di pronuncia pregiudiziale in esame sono sostanzialmente identiche. Le osservazioni scritte e orali di tutte le parti che hanno partecipato al presente procedimento dinanzi alla Corte fanno riferimento alle disposizioni della direttiva 2018/1972 e non a quelle della direttiva 2002/20. Infine, la questione del giudice del rinvio concerne l’interpretazione di disposizioni della direttiva 2018/1972. Per i suddetti motivi nelle presenti conclusioni verranno interpretate le disposizioni della direttiva 2018/1972.
B. Osservazioni delle parti
18. La Colt Technology Services, la Wind Tre, la Telecom Italia e la Vodafone Italia sostengono che la questione posta dal giudice del rinvio dovrebbe ricevere una risposta affermativa. Esse sostengono che le tariffe fissate dal decreto interministeriale del 28 dicembre 2017 sono eccessivamente basse e coprono soltanto un’esigua parte dei costi in cui esse incorrono nell’intercettare comunicazioni elettroniche su disposizione delle autorità giudiziarie.
19. Esse sostengono altresì che il decreto interministeriale del 28 dicembre 2017 viola l’articolo 13 della direttiva 2018/1972 in quanto discriminatorio, sproporzionato e non trasparente. In primo luogo, il decreto interministeriale del 28 dicembre 2017 discriminerebbe i fornitori di servizi di comunicazione elettronica di dimensioni maggiori, che verosimilmente effettuano più attività di intercettazione rispetto ai loro omologhi di dimensioni più piccole. Esso opererebbe inoltre una discriminazione nei confronti dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica italiani, poiché i fornitori stabiliti in altri Stati membri non sono tenuti a sopportare i costi delle intercettazioni. In secondo luogo, il decreto interministeriale del 28 dicembre 2017 sarebbe contrario al principio di proporzionalità, poiché impone notevoli costi non recuperabili ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica. Ciò potrebbe incidere, in generale, sulla fornitura adeguata di servizi di comunicazione elettronica e, in particolare, compromettere la sostenibilità economica. di taluni fornitori di servizi di comunicazione elettronica. La Vodafone Italia aggiunge che la mancanza di un rimborso integrale potrebbe ridurre la qualità dei servizi di intercettazione prestati dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica, il che sarebbe contrario all’interesse generale. In terzo luogo, la Wind Tre sostiene che il procedimento che ha condotto all’adozione del decreto interministeriale del 28 dicembre 2017 non è stato trasparente.
20. Fondandosi in via analogica sulle norme che disciplinano la prestazione di servizi universali, la Vodafone Italia aggiunge che la direttiva 2018/1972 stabilisce il principio del rimborso integrale dei costi sostenuti dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica per eseguire prestazioni obbligatorie quali l’intercettazione di comunicazioni elettroniche disposta dalle autorità giudiziarie.
21. Il governo italiano sostiene che la questione sollevata dal giudice del rinvio dovrebbe essere risolta in senso negativo. Esso osserva che la direttiva 2018/1972 si limita a esigere che le condizioni apposte a un’autorizzazione generale per la fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica siano non discriminatorie, proporzionate e trasparenti. Essa non prevede il rimborso integrale dei costi per l’intercettazione di comunicazioni elettroniche disposta dalle autorità giudiziarie. Sebbene spetti al giudice del rinvio stabilirlo, il governo italiano afferma che dalla decisione di rinvio non emerge che i costi sostenuti dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica per permettere siffatte intercettazioni possano compromettere la loro sostenibilità finanziaria. Non vi è alcun fondamento di fatto per sostenere che il decreto interministeriale del 28 dicembre 2017 violi il principio di proporzionalità.
22. La Commissione osserva che l’articolo 13 della direttiva 2018/1972 non prevede esplicitamente che i fornitori di servizi di comunicazione elettronica siano rimborsati integralmente dei costi sostenuti per fornire prestazioni obbligatorie in forza di un’autorizzazione generale. Gli Stati membri dispongono di un certo margine di discrezionalità nel disciplinare la disponibilità di un rimborso, purché rispettino i principi di non discriminazione, di proporzionalità e di trasparenza.
23. La Commissione contesta l’argomento secondo cui l’assenza di un rimborso integrale costituisce una violazione del principio di parità di trattamento. Per quanto riguarda il principio di proporzionalità, la Commissione sostiene che, in assenza di una disposizione esplicita nella normativa applicabile, il diritto dell’Unione non contiene un obbligo generale di offrire agli operatori economici un rimborso integrale dei costi sostenuti come conseguenza di obblighi ad essi imposti nell’interesse generale. Inoltre, anche in circostanze in cui può essere opportuno prevedere un rimborso equo, dal momento che gli obblighi imposti agli operatori economici esulano dall’esercizio dell’attività economica nel settore in cui operano, la Commissione osserva che non è richiesto alcun rimborso integrale. Un obbligo in tal senso potrebbe persino ridurre gli incentivi per i fornitori di servizi di comunicazione elettronica a eseguire in modo efficiente prestazioni obbligatorie.
C. Analisi delle disposizioni pertinenti della direttiva 2018/1972
24. Secondo una giurisprudenza costante, nell’interpretazione di disposizioni di diritto dell’Unione occorre tener conto della lettera delle stesse, del loro contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui esse fanno parte (8).
25. L’articolo 1, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2018/1972 dispone che quest’ultima si applica fatte salve le misure adottate dagli Stati membri, inter alia, per fini di ordine pubblico e pubblica sicurezza. Ne consegue che misure nazionali che, altrimenti, in linea di principio, non sarebbero autorizzate dalla direttiva 2018/1972, potrebbero essere giustificate dall’obiettivo della tutela dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza.
26. L’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2018/1972 stabilisce che l’autorizzazione generale per la fornitura di servizi di comunicazione elettronica può essere assoggettata esclusivamente alle condizioni elencate nel suo allegato I. Tali condizioni sono non discriminatorie, proporzionate e trasparenti.
27. La condizione n. 4 di cui all’allegato I, parte A, della direttiva 2018/1972, che contiene le condizioni generali che possono corredare un’autorizzazione generale, consente agli Stati membri di subordinare una siffatta autorizzazione alla «[p]ossibilità per le autorità nazionali competenti di effettuare legalmente intercettazioni delle comunicazioni in conformità [alle norme sulla protezione dei dati]».
28. Dal testo delle disposizioni summenzionate risulta che gli Stati membri possono esigere che i fornitori di servizi di comunicazione elettronica permettano l’intercettazione di comunicazioni elettroniche allorché le autorità nazionali competenti lo dispongano. Tenuto conto dell’articolo 13, paragrafo 1, e della condizione n. 4 di cui all’allegato I, parte A, della direttiva 2018/1972, l’eccezione relativa alla pubblica sicurezza prevista all’articolo 1, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2018/1972 risulta quindi irrilevante ai fini del rinvio pregiudiziale in esame. La stessa direttiva 2018/1972 consente espressamente agli Stati membri di imporre ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica di consentire l’intercettazione di comunicazioni elettroniche quale condizione per essere autorizzati a fornire tali servizi. Inoltre, la direttiva in parola non impone esplicitamente agli Stati membri di prevedere un rimborso dei costi sostenuti dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica per consentire l’intercettazione di tali comunicazioni.
29. Alla luce di quanto precede, risultano sottoposte alla Corte due questioni. In primo luogo, in che cosa consiste la «[p]ossibilità per le autorità nazionali competenti di effettuare legalmente intercettazioni»? In secondo luogo, l’assenza di un rimborso integrale dei costi sostenuti dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica per permettere intercettazioni legali da parte delle autorità nazionali competenti può contrastare con i principi di non discriminazione, di proporzionalità e di trasparenza?
30. Per quanto riguarda la prima questione, mi sembra che tale disposizione possa essere interpretata in due modi. In primo luogo, si potrebbe sostenere che l’espressione «[possibilità (…) di effettuare legalmente intercettazioni» deve essere interpretata nel senso di poter esigere che i fornitori di servizi di comunicazione elettronica rendano possibile tali intercettazioni senza necessariamente intercettare essi stessi le comunicazioni. In tale prospettiva, ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica potrebbe essere chiesto di porre in essere le infrastrutture tecniche e risorse umane indispensabili per agevolare l’intercettazione di comunicazioni elettroniche da parte delle autorità nazionali competenti. Obbligare i fornitori di servizi di comunicazione elettronica a procedere essi stessi alle intercettazioni significherebbe, dunque, richiedere loro qualcosa in più rispetto a rendere meramente possibile l’effettuazione di intercettazioni legali, imponendo quindi un onere aggiuntivo rispetto a ciò che le condizioni apposte a un’autorizzazione generale possono includere.
31. Un’altra possibile interpretazione della condizione n. 4 consiste nel ritenere che l’espressione «[p]ossibilità per le autorità nazionali competenti di effettuare legalmente intercettazioni» sia utilizzata in quanto soltanto le autorità nazionali competenti hanno il potere di disporre l’intercettazione legale di comunicazioni elettroniche. Indipendentemente dal loro coinvolgimento da un punto di vista pratico, i fornitori di servizi di comunicazione elettronica possono sempre e solo rendere possibile l’intercettazione legale di comunicazioni elettroniche, poiché essi stessi non hanno il potere di disporle. Un’interpretazione del genere, che riconosce che le autorità nazionali competenti sono le uniche titolari del potere di disporre l’intercettazione legale di comunicazioni elettroniche, risponde altresì agli obiettivi perseguiti da tale misura. La condizione n. 4 di cui all’allegato I, parte A, della direttiva 2018/1972 prevede quindi che le autorità nazionali competenti esigano più di un livello minimo di cooperazione da parte dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica per quanto concerne l’intercettazione legale di tali comunicazioni. Anche un esame di varie versioni linguistiche della direttiva 2018/1972 sembra avvalorare la tesi secondo cui l’intercettazione legale delle comunicazioni elettroniche è una prerogativa delle autorità nazionali competenti (9).
32. Oltre alle considerazioni relative alla nozione di «effettuare legalmente intercettazioni», ragioni pragmatiche depongono a favore della tesi secondo cui la condizione n. 4 di cui all’allegato I, parte A, della direttiva 2018/1972 deve essere interpretata nel senso che autorizza gli Stati membri a imporre ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica l’effettuazione di intercettazioni come condizione dell’autorizzazione a fornire tali servizi. Al fine di garantire l’intercettazione efficace ed efficiente delle comunicazioni elettroniche, ove necessario, sembrerebbe ragionevole che gli Stati membri ricorrano ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica, che conoscono le proprie infrastrutture e dispongono di personale che si trova nella posizione migliore per intercettare le comunicazioni su tali reti. L’efficacia e l’efficienza delle intercettazioni potrebbero essere compromesse se le autorità nazionali fossero tenute ad intercettare esse stesse le comunicazioni elettroniche realizzate attraverso le reti dei vari fornitori di servizi di telecomunicazioni, che utilizzano metodi e infrastrutture tecniche diverse.
33. Di conseguenza, ritengo che la condizione n. 4 di cui all’allegato I, parte A, della direttiva 2018/1972, che consente agli Stati membri di esigere dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica la possibilità di effettuare legalmente intercettazioni delle comunicazioni, includa l’obbligo, per tali fornitori, di effettuare tali intercettazioni secondo le istruzioni delle autorità nazionali competenti.
34. Passo ora alla seconda questione individuata al paragrafo 29 delle presenti conclusioni.
35. In primo luogo, il diritto dell’Unione vieta ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità nel campo di applicazione dei trattati e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste (10). Tale divieto comprende non solo le discriminazioni dirette, basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi forma indiretta di discriminazione la quale, mediante applicazione di altri criteri di distinzione, giunga di fatto al medesimo risultato (11). Risulta altresì dalla giurisprudenza che il principio generale di non discriminazione vieta, da una parte, di trattare in modo diverso situazioni analoghe e, dall’altra, di trattare nello stesso modo situazioni differenti (12).
36. Come esposto più dettagliatamente al paragrafo 19 delle presenti conclusioni, le ricorrenti nel procedimento principale sostengono che il decreto interministeriale del 28 dicembre 2017 opera una discriminazione sia nei confronti dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica di dimensioni maggiori, sia nei confronti dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica stabiliti in Italia.
37. Nessun elemento dinanzi al giudice del rinvio sembra corroborare l’affermazione secondo cui, in conseguenza al decreto interministeriale del 28 dicembre 2017, i fornitori di servizi di comunicazione elettronica di dimensioni maggiori subiscono una discriminazione. In ogni caso, sebbene, in ragione della loro clientela più vasta, ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica di dimensioni maggiori possa essere richiesta più frequentemente l’effettuazione di intercettazioni di comunicazioni rispetto ai fornitori con meno clienti, è probabile che i primi percepiscano maggiori utili. Nei limiti di ciò che si può evincere dalle scarse informazioni di cui dispone la Corte, sembra probabile che, in linea di principio, l’impatto finanziario del costo delle intercettazioni legali rispetto agli introiti sia simile per tutti i fornitori di servizi di comunicazione elettronica.
38. Quanto all’asserita discriminazione sulla base della nazionalità, secondo una giurisprudenza costante l’articolo 18 TFUE non riguarda le eventuali disparità di trattamento che potrebbero derivare, per le persone e per le imprese soggette al diritto dell’Unione europea, dalle divergenze esistenti tra le legislazioni dei vari Stati membri, dal momento che ciascuna di dette legislazioni si applica a chiunque sia ad essa soggetto, secondo criteri oggettivi e indipendentemente dalla nazionalità (13). A tal riguardo, è sufficiente constatare che i fornitori di servizi di comunicazione elettronica italiani, quali le ricorrenti nel procedimento principale, e i fornitori di servizi di comunicazione elettronica stabiliti in altri Stati membri sono soggetti all’obbligo di cooperare con le autorità nazionali competenti del territorio nel quale sono rispettivamente stabiliti. Il fatto che i fornitori di servizi di comunicazione elettronica stabiliti in altri Stati membri siano normalmente soggetti a un obbligo di cooperare con le autorità nazionali del territorio in cui sono stabiliti, anziché con le autorità giudiziarie italiane, non costituisce una discriminazione.
39. In secondo luogo, ci si chiede se il fatto che la normativa nazionale applicabile preveda un compenso economico per l’attività di intercettazione legale, senza garantire ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica il rimborso integrale dei costi sostenuti nello svolgimento di tale attività, sia contrario al principio di proporzionalità richiamato dall’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2018/1972. Tale questione sembra collocarsi al centro della presente causa.
40. In via preliminare, desidero osservare che il principio di proporzionalità ha ricevuto varie applicazioni nella giurisprudenza, a seconda della materia considerata.
41. Per quanto riguarda il carattere proporzionato di una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, spetta al giudice del rinvio verificare, nell’ambito di una valutazione globale di tutte le circostanze rilevanti in fatto e in diritto, se una normativa del genere sia idonea a garantire la realizzazione degli obiettivi legittimi da essa perseguiti e non ecceda quanto è necessario per raggiungerli, in quanto tali obiettivi non possono essere conseguiti mediante misure di portata meno ampia. Spetta alla Corte fornire al giudice del rinvio, a tal fine, tutti gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che gli consentiranno di effettuare tale analisi (14).
42. In tale contesto, formulerò due osservazioni in merito al compito attribuito al giudice del rinvio. Le ricorrenti contestano il decreto interministeriale del 28 dicembre 2017, mediante il quale le autorità italiane hanno fissato le tariffe da corrispondere per l’intercettazione obbligatoria delle comunicazioni a un importo inferiore rispetto a quello che, a loro avviso, corrisponde al costo dell’effettuazione di un’intercettazione. L’obiettivo di tale decreto sembra essere quello di limitare la spesa pubblica per tale attività, condividendola con gli operatori economici attivi in tale settore. Tale obiettivo risulta essere un obiettivo legittimo di interesse generale (15). Inoltre, sebbene si tratti di una questione che, in ultima istanza, rientra nella competenza del giudice del rinvio, non risulta in modo manifesto che il decreto interministeriale del 28 dicembre 2017 sia inidoneo a conseguire tale obiettivo.
43. Quanto alla questione se il decreto interministeriale del 28 dicembre 2017 ecceda quanto necessario per conseguire l’obiettivo legittimo che mira a perseguire, il giudice del rinvio può verificare se l’onere che tale decreto pone a carico dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica sia manifestamente eccessivo. A tal riguardo, desidero osservare che le ricorrenti nel procedimento principale che hanno tentato di quantificare tale onere finanziario, segnatamente la Telecom Italia e la Vodafone Italia, hanno affermato di essere incorse in costi pari a circa EUR 6-7 milioni che non sono stati coperti dalle tariffe percepite nel 2017 e nel 2018. In risposta ai quesiti posti dalla Corte in udienza, questi due fornitori di servizi hanno ammesso che le loro relazioni finanziare annuali accessibili al pubblico indicano che, nel corso dello stesso periodo, il loro fatturato proveniente dalla fornitura di servizi Internet e di telecomunicazione fissa e mobile in Italia ammontava a diversi miliardi di EUR. In tale contesto, sembra poco probabile che l’onere finanziario che il decreto interministeriale del 28 dicembre 2017 pone a carico dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica possa compromettere la fornitura di tali servizi o la sostenibilità finanziaria dei summenzionati fornitori di servizi, come fatto valere da alcuni.
44. In terzo luogo, il principio di trasparenza esige che tutte le condizioni e modalità di un meccanismo siano fissate mediante norme sufficientemente accessibili, chiare, precise, univoche e prevedibili nella loro applicazione, al fine di consentire a qualsiasi operatore ragionevolmente informato e normalmente diligente di comprenderne la portata esatta e di evitare qualsiasi rischio di arbitrarietà. Tali parametri devono essere fissati conformemente a criteri oggettivi, per consentire agli operatori di calcolare i loro probabili costi (16).
45. Le ricorrenti nel procedimento principale non sostengono che il metodo di calcolo del rimborso era fondato su criteri non accessibili, non chiari, imprecisi, soggettivi, imprevedibili o ambigui. Infatti, l’allegato del decreto interministeriale del 28 dicembre 2017, che fissa le tariffe corrisposte dalle autorità italiane per ciascuna categoria di attività di intercettazione, sembra rispettare tali requisiti. In realtà, la Wind Tre sembra criticare il fatto che i fornitori di servizi di comunicazione elettronica non abbiano avuto la possibilità di esprimere le loro preoccupazioni nel corso del procedimento che ha condotto all’adozione delle tariffe previste nel suddetto allegato. Sebbene si tratti di una questione di competenza del giudice del rinvio, non è affatto evidente che il principio di trasparenza inglobi il diritto dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica di partecipare attivamente al procedimento che ha condotto alla fissazione delle tariffe controverse.
46. Infine, per ragioni di completezza, desidero osservare che l’argomento dedotto dalla Vodafone Italia, secondo cui esisterebbe un principio di rimborso integrale dei costi connessi alla prestazione di servizi universali, non è corretto. Le prestazioni obbligatorie di cui alla presente causa, segnatamente l’intercettazione legale di comunicazioni elettroniche, non costituiscono un servizio universale fornito agli utenti finali. Si tratta, piuttosto, di una forma di assistenza alle autorità pubbliche nell’esercizio delle loro funzioni di salvaguardia dell’interesse generale che, peraltro, gli Stati membri sono espressamente autorizzati a imporre come condizione per la concessione delle autorizzazioni a fornire servizi di comunicazione elettronica. Indipendentemente dall’esistenza di un principio di rimborso integrale della fornitura di servizi universali da parte dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica, tutt’altro che evidente (17), non vi è alcuna ragione di applicare in via analogica siffatto principio.
V. Conclusione
47. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale posta dal Consiglio di Stato (Italia) nei seguenti termini:
La direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche,
deve essere interpretata nel senso che
essa non esige che la normativa nazionale preveda il rimborso integrale dei costi sostenuti dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica per permettere l’intercettazione di comunicazioni elettroniche disposta dalle autorità giudiziarie. Conformemente all’articolo 13, paragrafo 1, di tale direttiva, gli Stati membri possono ricorrere a un meccanismo di compensazione di tali costi, a condizione che esso sia non discriminatorio, trasparente e proporzionato.
1 Lingua originale: l’inglese.
2 GU 2018, L 321, pag. 36.
3 Ordinanza del 26 novembre 2020, Colt Technology Services e a. (C‑318/20, non pubblicata, EU:C:2020:969).
4 Ibidem, punto 20.
5 Ibidem, punto 25.
6 GU 2002, L 108, pag. 21.
7 Articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2002/20. La condizione n. 11 nella parte A dell’allegato della direttiva 2002/20, che enuncia le «Condizioni che possono corredare l’autorizzazione generale», così recita: «Possibilità per le autorità nazionali competenti di effettuare legalmente intercettazioni delle comunicazioni in conformità della direttiva 97/66/CE e della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995 relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati».
8 Sentenze del 18 dicembre 2008, Andersen (C‑306/07, EU:C:2008:743, punto 40), e del 17 marzo 2022, Daimler (C‑232/20, EU:C:2022:196, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).
9 La versione francese della condizione n. 4 di cui all’allegato I, parte A, della direttiva 2018/1972 così recita: «Facilitation de l’interception légale par les autorités nationales compétentes». La versione spagnola è così formulata: «Permiso de interceptación legal por las autoridades nacionales competentes». La versione italiana prevede quanto segue: «Possibilità per le autorità nazionali competenti di effettuare legalmente intercettazioni delle comunicazioni». La versione neerlandese dispone quanto segue: «Mogelijkheid van legale onderschepping door de bevoegde nationale instanties». La versione polacca così recita: «Umożliwienie prowadzenia legalnego przejęcia przez właściwe organy krajowe».
10 V. articolo 18 TFUE, che è destinato a trovare applicazione in maniera autonoma soltanto in situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione per le quali i trattati non prevedono norme specifiche che vietano discriminazioni [sentenza del 15 luglio 2021, A (Assistenza sanitaria pubblica), C‑535/19, EU:C:2021:595, punto 40].
11 Sentenza del 18 giugno 2019, Austria/Germania (C‑591/17, EU:C:2019:504, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).
12 V. sentenza del 14 aprile 2005, AEM e AEM Torino (C‑128/03 e C‑129/03, EU:C:2005:224, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).
13 V. sentenze del 9 settembre 2003, Milk Marque e National Farmers’ Union (C‑137/00, EU:C:2003:429, punto 124), e del 12 luglio 2005, Schempp (C‑403/03, EU:C:2005:446, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).
14 V., ad esempio, sentenze del 31 maggio 2018, Confetra e a. (C‑259/16 e C‑260/16, EU:C:2018:370, punti 47 e 49), e del 26 gennaio 2021, Hessischer Rundfunk (C‑422/19 e C‑423/19, EU:C:2021:63, punti 70 e 71).
15 V., in tal senso, sentenza del 14 ottobre 2021, Viesgo Infraestructuras Energeticas (C‑683/19, EU:C:2021:847, punti 14, 59 e 60), per quanto riguarda l’assenza di misure compensative per le imprese soggette ad obblighi di servizio pubblico nel settore dell’energia elettrica.
16 V., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2020, Commissione/Portogallo (Finanziamento degli obblighi di servizio universale) (C‑49/19, EU:C:2020:956, punto 38). V. anche sentenza del 17 giugno 2021, Simonsen & Weel (C‑23/20, EU:C:2021:490, punto 61), in materia di appalti pubblici.
17 V., in tal senso, sentenza del 14 ottobre 2021, Viesgo Infraestructuras Energéticas (C‑683/19, EU:C:2021:847, punti 59 e 60).
Rif. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:62021CC0339&from=IT