- Lo spazio ha nutrito la fantasia di scrittori e sceneggiatori con l’espediente narrativo della militarizzazione già a partire dal 1865. Nel suo romanzo di fantascienza Dalla Terra alla Luna, quando il fervido ingegno di Jules Verne immaginò che il Gun Club, un’associazione di artiglieri americani, sparasse un proiettile sulla Luna, lo fece ricorrendo all’immagine di un colossale cannone. Neppure ne fu indenne la cinematografia: difficile dimenticare il fortunatissimo ciclo di Guerre Stellari, diventato un cult generazionale. Pur manifestandosi inizialmente nell’arte, l’idea di avventurarsi nello spazio è sempre appartenuta all’uomo e, quasi sempre, il progetto era di realizzarlo con mezzi guerreschi.
di Nicola Neri
Lo spazio ha nutrito la fantasia di scrittori e sceneggiatori con l’espediente narrativo della militarizzazione già a partire dal 1865. Nel suo romanzo di fantascienza Dalla Terra alla Luna, quando il fervido ingegno di Jules Verne immaginò che il Gun Club, un’associazione di artiglieri americani, sparasse un proiettile sulla Luna, lo fece ricorrendo all’immagine di un colossale cannone. Neppure ne fu indenne la cinematografia: difficile dimenticare il fortunatissimo ciclo di Guerre Stellari, diventato un cult generazionale.
Pur manifestandosi inizialmente nell’arte, l’idea di avventurarsi nello spazio è sempre appartenuta all’uomo e, quasi sempre, il progetto era di realizzarlo con mezzi guerreschi.
L’uso dello spazio, in particolare l’uso militare, prende forma e si concretizza solo a partire dal secondo dopoguerra. Si potrebbe affermare senza margine di errore che il certificato di nascita dell’avventura dell’uomo nello spazio sia rappresentato da un numero di matricola militare e la Storia ci insegna come numerose innovazioni tecnologiche sono state indotte dalla necessità di sicurezza e dalle preoccupazioni di natura militare. Del resto, quest’osservazione non dovrebbe essere oggetto di sorpresa: guadagnare una posizione più alta rispetto a quella del nemico è uno dei principi tattici e strategici basilari, sottolineato già da Von Clausewitz.
Tale è quindi la ragione per la quale la storia dell’aeronautica è stata fin da subito fortemente declinata in senso militare. Ma a differenza dell’aeronautica, nata comunque per la visionaria passione di alcuni entusiasti, la grande avventura dell’astronautica è cominciata sull’onda dell’accelerazione straordinaria, in termini economici e scientifici, che un grande conflitto spesso comporta; in questo caso, la Seconda guerra mondiale.
Non sorprende che l’uomo più immediatamente legato alla genealogia della militarizzazione dello spazio esterno provenisse dall’aristocrazia prussiana, si tratta del ceto che più di ogni altro ha prodotto cultura e leadership militare nell’età moderna. Wernher von Braun fu uno dei responsabili della ampia squadra di tecnici il cui lavoro condusse alla creazione del razzo V2. È il 3 ottobre 1942 e il primo razzo V2, progenitore di tutta la missilistica successiva, viene lanciato alla vigilia della battaglia di El Alamein in Africa Settentrionale e della battaglia di Stalingrado. La Germania, pur essendo oggettivamente il Paese della prima realizzazione di un mezzo in grado di portare una minaccia a duecento chilometri di distanza e sfiorare il limite dello spazio, non poté trarne tuttavia un vantaggio militare, a causa del conflitto in corso. Sarebbero stati gli Stati Uniti, con l’operazione Paperclip, e l’Unione Sovietica ad approfittarne, Paesi che diventeranno i protagonisti indiscussi della corsa allo Spazio esterno, alla sua esplorazione e alla sua militarizzazione. Le due superpotenze dislocarono di fatti il potenziale umano e il materiale tedesco, appropriandosi di uno straordinario capitale di cognizioni tecniche. Il V2 non aveva il potenziale risolutivo di un grande conflitto, essendo la carica esplosiva limitata e il costo elevatissimo, conteneva in sé, invece, tutte le intuizioni necessarie al successivo formidabile sviluppo della missilistica.. In questa ricostruzione storica, non vanno dimenticate poi le sperimentazioni, seppur timide, tra le due guerre. Sia negli Stati Uniti che in Unione Sovietica, si erano prodotte con il lancio di missili e con la Prima esposizione internazionale di ingegneria dei razzi, tenutasi a Mosca nel 1927.
All’indomani della Seconda guerra mondiale, con l’accelerazione dello sviluppo tecnologico per la corsa nello Spazio, agli studiosi sembrò di intravedere l’occasione di scoprire ed esplorare un settimo continente, valicando così una nuova frontiera. Pur intuendone le potenzialità in termini di difesa e sicurezza strategica, si fece in modo, tuttavia, di non ripetere gli errori già commessi nel vecchio e nel nuovo mondo, e, primo fra tutti, la guerra, la cui triste testimonianza era ancora troppo vicina.
In seguito al lancio dello Sputnik, nel 1957, venne costituita alle Nazioni Unite la Commissione sull’Uso Pacifico dello Spazio Extra-atmosferico, volta a vigilare e dirigere l’evoluzione in una direzione pacifica dell’esplorazione, dell’uso e delle applicazioni future in materia spaziale, nonché della disamina dei relativi problemi giuridici. Non fu estranea difatti la percezione collettiva che il lancio dello Sputnik recasse con sé una malcelata e minacciosa conseguenza militare paragonabile a Pearl Harbour. Sebbene non fosse questo il caso, era pur vero che l’obiettivo ultimo di queste ricerche e di questi esperimenti, sovietici come americani, era la costruzione di un missile balistico intercontinentale, capace di trasportare una testata nucleare e in grado di portare una minaccia diretta al territorio dell’avversario.
Il trattato intendeva porre quindi le basi dello spazio come “provincia di tutta l’umanità”, un principio rivoluzionario che di per sé avrebbe dovuto produrre intenzioni meramente pacifiche, proibendo le armi nucleari, chimiche e biologiche (ma non quelle convenzionali) e avvicinandosi all’obbiettivo prefisso: la “santuarizzazione” dello spazio.
Nello stesso anno della firma del trattato, il presidente americano Johnson esaltava i risultati militari della ricerca spaziale, dichiarando:
Non vorrei che qualcuno citasse quello che sto per dirvi, ma abbiamo speso fra i trentacinque e i quaranta miliardi di dollari nel programma spaziale. E se il solo risultato di questo sforzo fossero le informazioni acquisite tramite le fotografie dallo spazio, ebbene queste varrebbero dieci volte i soldi investiti. Perché oggi sappiamo quanti missili ha il nemico e siamo quindi consapevoli dell’erroneità delle nostre vecchie supposizioni. Abbiamo fatto cose che non sarebbe stato necessario fare. Abbiamo costruito cose che avremmo potuto fare a meno di costruire. Coltivavamo paure che non avremmo dovuto avere.
La volontà di preservare la natura pacifica del “nuovo continente” permaneva e nel 1981 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvava la prima risoluzione sulla prevenzione della militarizzazione dello spazio.
Da quando i satelliti hanno cominciato a perdere la loro fisionomia sperimentale hanno contribuito in qualche modo agli sforzi militari. In occasione di un conflitto tutto occidentale, la guerra anglo-argentina per le Falklands, nel 1982, la dimensione dello Spazio sfiorò il conflitto. Gli argentini richiesero agli americani, in virtù di un loro pregresso accordo bilaterale, le immagini satellitari della forza di spedizione britannica inviata verso le isole. L’imbarazzo degli americani, amici e alleati di entrambi i contendenti, fu superato con il pretesto della cattiva qualità delle immagini.
Il compimento di questo primo segmento della storia della militarizzazione dello spazio si ha poi con la vicenda della Iniziativa di Difesa Strategica, che buona parte avrebbe avuto nel condurre alla fine della Guerra Fredda. La Strategic Defense Initiative fu annunciata nel corso dell’amministrazione Reagan e subito ribattezzata Star Wars. Lo scopo dichiarato era di liberarsi dalla minaccia dei missili balistici intercontinentali sovietici. Il 23 marzo del 1983 il presidente Reagan pronunciava un discorso alla Nazione sul tema della sicurezza nazionale, destinato a imprimere un’evoluzione imprevista al corso della Guerra Fredda:
The defense policy of the United States is based on a simple premise: The United States does not start fights. We will never be an aggressor. We maintain our strength in order to deter and defend against aggression-to preserve freedom and peace.
Since the dawn of the atomic age, we’ve sought to reduce the risk of war by maintaining a strong deterrent and by seeking genuine arms control. “Deterrence” means simply this: making sure any adversary who thinks about attacking the United States, or our allies, or our vital interests, concludes that the risks to him outweigh any potential gains. Once he understands that, he won’t attack. We maintain the peace through our strength; weakness only invites aggression.
…Let me share with you a vision of the future which offers hope. It is that we embark on a program to counter the awesome Soviet missile threat with measures that are defensive. Let us turn to the very strengths in technology that spawned our great industrial base and that have given us the quality of life we enjoy today.
What if free people could live secure in the knowledge that their security did not rest upon the threat of instant U.S. retaliation to deter a Soviet attack, that we could intercept and destroy strategic ballistic missiles before they reached our own soil or that of our allies?
I know this is a formidable, technical task, one that may not be accomplished before the end of this century. Yet, current technology has attained a level of sophistication where it’s reasonable for us to begin this effort. It will take years, probably decades of effort on many fronts…isn’t it worth every investment necessary to free the world from the threat of nuclear war? We know it is…Our only purpose—one all people share—is to search for ways to reduce the danger of nuclear war.
È con la prima guerra del Golfo del 1991 che lo spazio acquista importanza fondamentale e diventa terreno operativo e parte integrante della catena di comando controllo e comunicazione dell’attività tattica e strategica. I missili americani Patriot riuscirono varie volte ad abbattere gli Scud iracheni grazie a un sistema di difesa controllato dallo spazio; modus operandi utilizzato sempre più in Kosovo, Afghanistan e nella seconda guerra in Iraq.
Sebbene i paesi con capacità spaziale siano svariati, ci riferiamo pur sempre a un club limitato di circa cinquanta membri. Vi è una potenza che occupa saldamente il centro nella detenzione e gestione dello space power: gli Stati Uniti. Ma, accanto ad essa, emergono potenze, come la Cina, che ha ampiamente dimostrato le sue capacità spaziali, vantando anche missioni guidate da personale umano. Gli Stati Uniti, in ogni caso, rappresentano ancora l’arbitro delle regole e dei comportamenti spaziali, militari o meno.
La militarizzazione dello spazio è quindi un fatto accettato e crescente. Tuttavia, non si deve incorrere nell’errore di confonderlo con l’“armamento” dello spazio – weaponization –, che in realtà, a oggi, non si è ancora verificato. Da un’analisi approfondita, gli unici veri sistemi d’arma che potrebbero percorrere lo spazio sono quelli in grado di distruggere da terra, ma non solo, satelliti orbitanti nello spazio: i cosiddetti sistemi antisatellite, nucleari e non nucleari (ASAT). È a questa famiglia che appartenevano i “satelliti kamikaze”, di concezione sovietica, che avrebbero dovuto avvicinarsi al satellite nemico, rilasciando delle bombe in grado di distruggerlo, abbandonati poi perché proibiti dal trattato SALT del 1972.
Viene spontaneo allora chiedersi quale sia la risorsa militare più grande offerta dallo spazio.
Senza alcun dubbio la raccolta delle informazioni, essendo l’ambiente spaziale un formidabile moltiplicatore, estensore e ottimizzatore delle forze schierate sul terreno. I vantaggi militari che la capacità spaziale conferisce riguardano la cognizione del posizionamento di missili balistici, del movimento di truppe, di installazioni militari, di mezzi e imbarcazioni, le comunicazioni – comando, controllo, meteorologia –, informazioni dal rilevante significato militare. Queste sono sintetizzate nella formula C4 ISR, ovvero Command, Control, Communication, Computing, Intelligence, Surveillance and Reconnaisance.
Di natura prettamente militare è poi l’early warning, ovvero la possibilità di rilevare e localizzare il lancio dei missili balistici, nonché lo sviluppo di straordinarie fonti di calore come un’esplosione nucleare.
La possibilità, ormai capillare, di osservazione della Terra per mezzo di vari sistemi ha tuttavia anche un prezioso impiego civile, e in senso lato militare, se si pensa ai grandi disastri naturali o al monitoraggio dell’immigrazione clandestina.
Va ricordato tuttavia che vi è un territorio, nato ben dopo l’inizio della corsa per lo Spazio, che rapidamente ha conquistato il centro dell’attenzione, piegando lo Spazio esterno ad un ruolo vicario: il territorio digitale. Vi è chi sostiene che l’uomo non è fatto per lo Spazio. La figura vicaria della militarizzazione e della guerra nello spazio si è in effetti rivelata la guerra cibernetica, che ha rapidamente intrecciato le proprie sorti con quelle dei satelliti in orbita nello spazio.