di Claudio Cazzolla
Corte di Cassazione, Sezione II Penale, sentenza n. 3253 del 10 ottobre 2013 e depositata il 23 gennaio 2014
La Corte di cassazione ha dichiarato che il procedimento è da considerarsi identico e dunque va escluso il divieto di utilizzazione delle intercettazioni quando vi sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico tra il contenuto dell’originaria notizia di reato, alla base dell’autorizzazione, e quello dei reati per cui si procede.
La Cassazione con la sentenza in esame conferma la tendenza ad ampliare i casi di utilizzo delle intercettazioni in procedimenti “diversi” da quello per il quale furono autorizzate.
La materia è delicata sia perché ci sono in gioco diritti costituzionali di natura fondamentale, quali la libertà e la segretezza delle comunicazioni (art. 15 Cost.), sia perché lo stesso legislatore ordinario, all’art. 270 c.p.p. stabilisce espressamente il divieto di utilizzabilità delle intercettazioni al di fuori del procedimento nel quale sono state disposte per la prima volta.
Abbiamo già visto in un precedente numero della presente Rivista(1) che, la Corte di Cassazione, con sentenza 4306/2010, ha stabilito che il divieto posto dall’art. 270 c.p.p. di utilizzare i risultati di intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quello in cui furono disposte, non opera nel contenzioso tributario, ma soltanto in ambito penale (con diverse eccezioni anche in quello stesso ambito, cfr. ad es. Cass. pen. 2809/2006, 25128/2005, 33751/2005).
Se quest’ultima apertura consente una “migrazione” delle intercettazioni verso l’esterno, vale a dire verso un procedimento di natura non penale, con la sentenza in commento, si segna un ulteriore allargamento dei casi “eccezionali” in cui è possibile far fluire i risultati delle intercettazioni da un procedimento penale ad un altro, si tratterebbe, dunque, di “migrazioni interne”.
Nel nostro caso, l’imputato proponeva ricorso per cassazione contro l’ordinanza di conferma della misura cautelare personale degli arresti domiciliari, emessa dal Tribunale del Riesame, in relazione al reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei reati di ricettazione e riciclaggio. Tra l’altro, il ricorrente si doleva dell’avvenuto utilizzo dell’esito delle intercettazioni disposte in un procedimento diverso concernente il reato di cui all’art. 479 c.p. a suo dire non connesso o collegato a quello in esame.
Ulteriore censura riguardava l’utilizzabilità delle suddette intercettazioni in quanto non erano stati trasmessi i decreti autorizzativi al Tribunale della Libertà (TDL), ed erroneamente il TDL avrebbe messo l’onere di tale adempimento a carico del ricorrente.
Il ricorso è stato rigettato in toto. In particolare, la Corte ha sottolineato che, in tema di inutilizzabilità del contenuto di intercettazioni, il requisito della “diversità” espresso dall’art. 270 c.p.p., che, di regola non opera in caso di riunione di procedimenti (art. 17 c.p.p.), non vige nemmeno in presenza di indagini strettamente connesse o collegate sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico (v. Cass. pen. 20910/2012).
A sostegno di quanto appena riportato, la Suprema Corte richiama una nozione sostanziale di “diversità”, che, pertanto, prescinde da elementi formali come il numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato, con la conseguenza che il procedimento è considerato identico quando tra il contenuto della originaria notizia di reato, alla base dell’autorizzazione, e quello dei reati per cui si procede vi sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico.
La decisione de qua, però, non fornisce una definizione di questo tipo di connessione.
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