di Ferdinando Angeletti
Legge 23 giugno 2017, n. 103
La recentissima approvazione della legge 103/2017 (cd. Riforma del processo penale) è solo l’ultimo dei tentativi, alcuni di successo, altri abortiti, di riforma di parti del codice di procedura penale. Le riforme dei grandi codici, però, quando riuscite, vanno di pari passo con la presenza di una pletora di leggi speciali ad essi esterne che rendono sempre più difficoltoso per l’operatore del diritto riuscire a districarsi nella giungla di norme allo stato esistenti. Semplificazioni normative anche numericamente imponenti possono porsi solo quale palliativo per il passato e non quale modus operandi per il futuro. L’articolo si propone una veloce panoramica sulla problematica e alcuni spunti di riflessione per soluzioni future.
1. Premessa
Una delle problematiche più spinose degli ultimi cinquant’anni è la contrapposizione tra codici e leggi speciali, tra il mito della codificazione e l’era della decodificazione (secondo la famosa e incisiva espressione di Natalino Irti). Tuttavia, alla luce dell’eccessiva proliferazione di provvedimenti normativi, il rischio, già evidenziato da molti, è quello che si vada perdendo quel principio fondamentale che è la certezza del diritto.
Se risulta ineludibile il principio definito dal celebre brocardo “ignorantia legis non excusat” esso, alla luce dell’intricata molteplicità di norme attualmente vigenti in Italia, risulta difficilmente applicabile. Il principio, come è noto, trova fondamento logico nella presunzione assoluta di conoscenza della legge da parte del cittadino. Ma non basta assicurare l’astratta conoscibilità del testo legislativo rispetto ai casi in cui non fa ad essa riscontro la conoscibilità del reale contenuto precettivo. La conoscenza della legge da parte del cittadino, infatti, è oggi anacronistica perché resa, almeno in parte, illusoria dal cosiddetto “ordinamento occulto”, ossia da leggi, codici, testi unici, cavilli, e rinvii a norme risalenti e mai abrogate: un caotico labirinto normativo nel quale si perdono spesso persino gli addetti ai lavori.
Questo comporta non solo problematiche dal punto di vista teorico, ma anche da quello pratico. Quanti procedimenti giudiziari verrebbero facilmente risolti (o nemmeno avviati!) se le parti fossero in grado di conoscere chiaramente e di interpretare correttamente tutte le norme del caso che, in via diretta od indiretta, le riguarda?
2. La situazione legislativa italiana
La situazione legislativa italiana soffre inoltre di altre importanti problematiche, strettamente connesse con questa. Innanzitutto il linguaggio delle norme stesse. Si è assistito, negli ultimi decenni, ad un’incredibile sciatteria della tecnica di normazione che ha dato vita a leggi dai contenuti precettivi ambigui. Questo ha provocato, oltre al caos in ambiente dottrinale, anche notevoli difformità giurisprudenziali che hanno richiesto interventi sia legislativi (leggi di interpretazione) che giudiziari (pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, per esempio) peggiorando la situazione, ossia accumulando norme e sentenze emanate al solo fine di chiarire il significato di norme precedenti.
In secondo luogo, il disinteresse dimostrato dal legislatore nel cercare di armonizzare la nuova norma al sistema già presente. L’armonizzazione normativa conduce, infatti, sia all’assenza di antinomie, sia all’abrogazione di precedenti norme in materia. Troppo spesso leggi hanno recitato e recitano, nel loro ultimo articolo, una frase di questo tenore: “Tutte le precedenti disposizioni in materia che sono in contrasto con le norme presenti in questa legge, sono da considerarsi abrogate”.
Prescindendo da elucubrazioni teoriche sul rapporto cronologico tra le norme, da non sottovalutare è il lavoro assolto dall’interprete obbligato ad effettuare le seguenti operazioni:
Ricerca completa delle norme precedenti in materia
Verifica rigorosa delle singole disposizioni configgenti tra loro
Abrogazione tacita delle norme precedenti ed integrazione di quelle ancora in vigore con le nuove disposizioni
Tutte queste operazioni vengono lasciate allo spesso capriccioso concettualismo degli interpreti i quali, a volte nel preponderante intento di assecondare l’interpretazione più aderente alla propria scuola di pensiero giuridico, altre volte in perfetta buona fede, hanno aumentato ulteriormente il lavoro delle supreme magistrature nel loro tentativo di riaffermare l’interpretazione non soltanto univoca ma anche realmente rispettosa della “ratio legis”.
3. Le problematiche del sistema normativo italiano
Le problematiche sopra espresse non sono di poco conto, anzi. La situazione, già pessima di per sé, potrebbe peggiorare ulteriormente, facendo precipitare il sistema legislativo–normativo in una crisi irreversibile.
Trascendendo dalle problematiche sulla redazione chiara e completa delle norme abbastanza facilmente risolvibili – sulla carta – con una maggiore perizia e buona volontà del legislatore nella redazione di norme, riferendosi, però, al problema principale ovverosia la pletora di norme e leggi, le soluzioni possono essere molte e si vuole ora qui cercare di elencarne le principali, analizzandone pregi e difetti e tentando infine di trovare una soluzione univoca.
4. Il ritorno al codice
La soluzione che forse può apparire più semplicistica è quella di una neo–codificazione. Ritornare ai codici: riformare pesantemente quelli esistenti o, meglio ancora, avviarne la redazione di nuovi. Partiamo da un presupposto: la redazione di un Codice penale che sostituisca il Codice Rocco del 1930. Solo negli ultimi decenni sono state numerosissime le commissioni ministeriali che avevano il compito di redigere un nuovo codice penale o riformarne intere parti, spesso giungendo anche alla redazione di un testo definitivo. Tuttavia la precarietà dei governi promotori di queste commissioni ha sempre impedito che questi testi venissero poi adottati dal Parlamento, entrando quindi in vigore; cambiava la maggioranza parlamentare, cambiava il governo, le commissioni si avvicendavano e tutto ricominciava da capo.
A prescindere, però, da problematiche squisitamente politiche, tutte le codificazioni italiane moderne (a partire dal Codice Civile del 1865 fino al Nuovo Codice di Procedura Penale del 1988) hanno però sempre sofferto del medesimo problema.
Immediatamente dopo la loro entrata in vigore (o addirittura contemporaneamente) essi venivano affiancati da leggi speciali che non solo modificavano il codice stesso (restando però nell’alveo del testo codicistico) ma più spesso lo integravano, normando materie non trattate (o trattate parzialmente) dall’opera codificatoria.
Esempio illuminante, al riguardo, è la legge fallimentare (R.D. N. 267 del 16 marzo 1942) entrata in vigore in contemporanea con il Codice Civile, pur potendo essere facilmente essere integrata in esso.
5. L’abbandono del codice
Prendiamo ora in esame l’ipotesi opposta. Abbandonare i codici ed affidarsi completamente alla legislazione speciale. Tornare alla situazione pre–napoleonica. Sinceramente appare piuttosto lapalissiano come una soluzione del genere abbia delle difficoltà di applicazioni enormi.
Basterebbe solo pensare a come abbandonare i Codici. Abrogare le leggi che li hanno fatti entrare in vigore? Approvando, contemporaneamente, una serie di provvedimenti sostitutivi delle singole norme del codice? Non serve la brillantezza e l’acume di un giurista esperto per comprendere come tale scelta non abbia alcun motivo di convenienza e non vada quindi nemmeno presa in considerazione.
I codici odierni, benché spesso potenzialmente obsoleti, e circondati da un’imponente e preponderante mole di norme “extra ordinem”, restano comunque valide ancore di salvezza per l’interprete e per il cittadino, realizzando, essi, l’insostituibile esigenza di un ordine formale nella produzione legislativa. Ritornare ad una situazione pre – codicistica appare quindi non solo anacronistico ma anche completamente sconveniente.
6. I Testi Unici
Nel corso degli ultimi decenni si è assistito alla “nascita” di una soluzione intermedia tra codice e legge speciale: il Testo Unico. Questi testi unici altro non fanno se non riunificare tutta una materia in un unico testo normativo. O almeno dovrebbero. Se fosse davvero così questa sarebbe la soluzione perfetta al problema. Tuttavia questa soluzione non ha risolto un bel nulla. Spesso, infatti, avviene che il Testo Unico sostituisca e/o abroghi non intere leggi, ma solo parti di esse, lasciando in alcuni casi in vigore leggi di un solo articolo o poco più.
In questo modo il Testo Unico non sostituisce la normativa precedente, ma si aggiunge ad essa, non riunificando ma anzi appesantendo il sistema.
La soluzione “Testo Unico” si rivela così essere solamente un artifizio normativo, che può si parzialmente migliorare la situazione, ma certamente non debella definitivamente il caos normativo ed anzi rischia di aggravarlo.
7. Idee e proposte per nuove soluzioni
La risoluzione di queste problematiche non può non viaggiare su un doppio binario, politico e giuridico insieme. Qualsiasi soluzione normativa, infatti, non può e non potrà mai agire efficacemente se non affiancata da un’adeguata volontà politica volta a migliorare la redazione delle nuove norme.
Bisognerebbe prevedere la presenza di un filtro (preventivo o successivo) non sul contenuto e lo scopo della norma, bensì sull’analisi delle eventuali ambiguità lessicali nonché sulla presenza di antinomie e di lacune in essa, ovvero sull’esatta e puntuale abrogazione – integrazione delle norme precedenti. È evidente che un’attività del genere potrebbe essere svolta sia da un organo istituzionalmente costituito allo scopo (ad es. Comitato, Giunta, Commissione) sia dai singoli relatori; in entrambi i casi l’attività dovrebbe comunque essere svolta da specialisti del settore, giuristi insomma.
Per quanto riguarda invece l’altro binario, quello giuridico, è evidente come tra i rimedi prima riportati nessuno possa veramente soddisfare la problematica in questione. Le soluzioni che più si avvicinano al risultato sono quelle relative ad una neo–codificazione ed ai Testi Unici. Si può quindi pensare di utilizzarle come punti di partenza, essendo tali soluzioni perfettibili.
Innanzitutto nella redazione di un Codice/Testo Unico, bisogna necessariamente riordinare tutta la materia, evitando che al novello testo normativo si affianchino norme precedenti. Inoltre, tutte le normative successive non dovrebbero far altro che agire sul testo codificato con modifiche, integrazioni ed abrogazioni, senza tuttavia affiancarvisi.
Una soluzione del genere, più di tipo tecnico che meramente giuridico, non potrebbe non passare attraverso un intervento normativo ad hoc che, appunto, regoli la redazione, l’abrogazione e l’integrazione delle leggi dal punto di vista eminentemente tecnico. Sarebbe forse un assurdo parlare di un Codice/Testo Unico sull’attività legislativa? Un atto normativo del genere non lederebbe né principi costituzionali né altre norme. Comunque senza entrare nel dettaglio delle singole disposizioni che questo Codice/Testo Unico dovrebbe contenere (lavoro che andrebbe affidato a persone certamente più esperte in materia di chi scrive), si potrebbe pensare ad una normativa “atipica”, sulla falsariga delle “Disposizioni sulla legge in generale”, poste preliminarmente al Codice Civile (quelle che vengono in gergo chiamate “Preleggi”) o anzi ad una integrazione sostitutiva di quelle.
Una soluzione ancora più radicale e suggestiva, risiede in un ripensamento, o comunque in una revisione, dell’intero impianto giuridico ovviamente applicabile concretamente solo con modifica costituzionale. Attualmente, la gerarchia delle fonti interne (escludendo i rapporti con norme sovranazionali e comunitarie) vede la Costituzione seguita da norme di rango primario e secondario. La differenza tra i vari livelli normativi è dettata essenzialmente da:
impossibilità per le norme di livello inferiore di violare il livello superiore (con tutti i meccanismi di controllo e superamento antinomie che il sistema ha poi generato);
modalità di modifica delle norme stesse (procedimenti ordinari e rafforzati).
Per quanto concerne, essenzialmente, questo secondo punto, è interessante notare come occorra, ai fini del nostro discorso, scindere il concetto di modifica nei suoi aspetti formali e sostanziali.
Modificare sostanzialmente una legge o la Costituzione significa cambiarne i termini, aggiungere dei commi e toglierne degli altri, ma mantenendo sempre intatta la struttura e l’esistenza del testo normativo. Modificare da un punto di vista formale una legge, invece, significa andare ad operare sulla sua esistenza e sulla sua struttura. Una legge si può abrogare, la Costituzione no.
In questo senso, quindi, ci troviamo di fronte a norme modificabili formalmente e sostanzialmente (norme primarie e norme secondarie) e norme modificabili (peraltro in modo rafforzato) solo sostanzialmente (la Costituzione e leggi costituzionali).
A questo punto una soluzione innovativa e, almeno parzialmente, risolutiva, potrebbe essere dettata dall’inserimento, tra le norme di rango costituzionale e le norme primarie di un livello intermedio formato da Codici/Testi unici inerenti le differenti branche del diritto. Tali norme risulterebbero modificabili solo sostanzialmente (come la Costituzione) ma con procedimento ordinario (come le norme primarie).
Diversi sarebbero i caratteri che tali testi unici dovrebbero assumere. In primis gli stessi dovrebbero formalmente essere non modificabili (pertanto non abrogabili se non, eventualmente, con procedure rafforzate) ma sostanzialmente emendabili con procedimento ordinario. Nel procedimento di emenda della norma si ritengono possibili sia emende additive (aggiunta di norme), emende privative (abrogazioni di singole disposizioni senza mai giungere all’inapplicabilità o ad una lacuna) ed emende sostitutive.
Altra caratteristica sarebbe quella della esclusività: nessuna norma inerente quella particolare branca normativa può essere inserita al di fuori di tali testi unici, pena una procedura di annullamento presso la Corte Costituzionale. Di fatto, quindi, la gran parte delle norme di rango primario (siano esse leggi, decreti legge o decreti legislativi) si troverebbe ad essere una modificazione dei testi unici.
Evidenti i lati positivi di una soluzione del genere. La certezza e la conoscenza del diritto diverrebbero sicuramente più semplici. La ricerca e quindi l’applicazione di norme diverrebbero non solo appannaggio di giuristi e tecnici di settore ma, anche, del cittadino generico che, in buona sostanza, è quello che normalmente ha bisogno di conoscere le regole per il suo agire quotidiano nel contesto sociale di riferimento. L’inserimento di testi unici nell’ordinamento italiano, in posizione intermedia tra la Costituzione e le norme primarie avrebbe una sua difficoltà intrinseca nella sua fase generatrice. Occorrerebbe infatti una ricognizione delle norme attualmente in vigore (sulla falsariga di quanto avvenuto nelle ultime legislature), l’abrogazione di norme desuete con la contestuale formazione di testi unici in materie specifiche o, laddove gli stessi già esistano (si pensi ai Codici penale e civile, alle procedure, ed ai vari testi unici sorti nel corso soprattutto dell’ultimo ventennio), “elevarli” al rango intermedio procedendo poi ad una loro revisione ed integrazione con le norme ad essi esterne. Di certo l’impresa non sarebbe né breve né semplice e comporterebbe un logico, ma insano, desiderio di risistemazione complessiva degli apparati legislativi (quindi non solo elevazione ed integrazione, ma vera e propria revisione di norme).
Scegliere di affiancare, nella fase generativa, alla creazione del testo unico anche una sua revisione significherebbe affossare il lavoro, proprio come successo alle diverse commissioni che, nel corso degli ultimi decenni, hanno tentato. Invece, dopo una ricognizione, approvare i testi unici, provvedere ad integrarli con le altre norme esterne e, solo una volta terminata l’opera generatrice, procedere alla revisione di ciò che si ritiene ingiusto/desueto/da cambiare, appare la strada meno difficile da seguire.
L’inserimento dei testi unici all’interno dell’apparato normativo italiano non creerebbe peraltro grosse problematiche concrete. La funzione legislativa parlamentare, e quella emergenziale o delegata del governo non verrebbero assolutamente lese. Sarebbe sempre il Parlamento a dover dichiarare (in fase iniziale o in fase successiva) una norma al rango di Codice e sempre il Parlamento avrebbe il potere di modificare sostanzialmente quel codice con il normale procedimento legislativo così come di delegare il Governo a modificarne parti ritenute non più rispondenti alla realtà. Anche il Governo, con la funzione legislativa emergenziale non avrebbe grosse problematiche. Laddove infatti si dovesse trattare di norme riferibili ad un testo unico, si tratterebbe di operare sulle stesse. Qualora si dovesse trattare di materie non “coperte”, rimarrebbe tutto come oggi.
Nessun problema, inoltre, per quanto concerne il ruolo del popolo attraverso il referendum abrogativo. Nulla vieta infatti che un referendum possa essere svolto per modificare le norme dei testi unici. Da valutare, invece, se l’abrogazione completa di tali atti normativi possa rientrare nelle materie escluse dalla possibilità referendaria.
Nessun problema evidente, peraltro, nemmeno per la Corte Costituzionale nella sua funzione di controllo normativo. E’ chiaro che al lavoro della Corte si dovrebbe aggiungere (forse prevedendo nuove procedure, questo sicuramente) anche il controllo sull’esclusività dei testi unici e quindi la compatibilità delle norme primarie con gli stessi. Peraltro, sulla scia di quanto già accaduto per altri ambiti con le sentenze additive di principio, la Corte Costituzionale potrebbe, in caso di norma nuova esterna al Testo unico, non procedere al suo annullamento ma, in modo additivo e senza modifiche, aggiungerla al testo unico di riferimento. ©
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