APPORTO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NELLA VALUTAZIONE DELLA PROVA PENALE

di Michele Iaselli

Come è noto l’indagine di polizia giudiziaria può essere definita informatica in due casi:

Nei casi previsti al numero uno si può parlare di indagine informatica propria, in quelli che invece ricadono sotto le previsioni del numero due si può parlare di indagine informatica impropria, o, più precisamente, di indagine per risolvere la quale, oltre alle altre, si ricorre anche alle metodologie ed alle tecnologie dell’indagine informatica. Ultimamente il frequente ricorso a tali metodologie ha portato alla nascita di una vera e propria disciplina la “computer forensics” che si occupa della preservazione, dell’identificazione, dello studio, della documentazione dei computer, o dei sistemi informativi in generale, al fine di evidenziare prove per scopi di indagine.

La necessaria padronanza di una materia complessa e in costante evoluzione come la computer forensics è elemento essenziale per poter garantire una corretta ricerca ed archiviazione di materiale probatorio spendibile in sede processuale. Le prove digitali sono caratterizzate, quindi, da una intrinseca fragilità che rende le stesse facilmente soggette ad alterazioni e danneggiamenti anche da parte degli stessi investigatori che se non adeguatamente preparati possono compromettere ed inquinare, inconsapevolmente, la scena criminis. In particolare, nell’ambito della computer forensic assume particolare rilevanza l’attività di acquisizione ed analisi del dato digitale.

Non esiste uno standard o una metodologia per il trattamento delle prove digitali, ma solo un insieme di procedure e strumenti consolidati attraverso l’esperienza di tutte le forze di Polizia, degli esperti del mondo accademico, dei consulenti, e del mondo della rete(1). Secondo alcuni il motivo di tale assenza è da ricondursi alla “nascita dal basso” di tali discipline, ovvero da un utilizzo delle procedure e degli strumenti che parte dagli addetti ai lavori piuttosto che dal rigore metodologico della comunità scientifica. Proprio l’assenza di validità scientifica ufficiale rende alcune volte discutibile in fase processuale l’utilizzo di strumenti e metodologie di acquisizione probatoria ritenute affidabili soltanto sulla base dell’esperienza.
In tema di acquisizione, spicca una recente pubblicazione denominata “Best Practices for seizing electronic evidence”, progetto congiunto di United States Secret Service, International Association of Chiefs of Police e National Institute of Justice, dove vengono descritte con cura alcune procedure “ritenute idonee” nella fase dell’acquisizione (ma anche della ricerca) della prova digitale. Tale libretto è esito del lavoro di un working group composto da vari rappresentanti delle agenzie di enforcement e finalizzato a identificare problemi comuni incontrati sulle tipiche scene del crimine(2). Recentemente, anche in alcuni contesti accademici italiani si sta tentando di portare le investigazioni informatiche verso una maggiore rigorosità, e verso linee guida generali che consentano di giungere ad una visione più sistematica e tipizzata delle diverse esperienze e dei diversi metodi di acquisizione della prova digitale(3).

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Michele IASELLI - Vicedirigente del Ministero della Difesa, Presidente di ANDIP, docente Università di Cassino, coordinatore comitato scientifico Federprivacy
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