ATTIVITÀ DI CONTRASTO AL TERRORISMO DA PARTE DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA: I COLLOQUI A FINI INVESTIGATIVI

di Andrea Girella

[vc_row] [vc_column width=”5/6″] Decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244 (GU Serie Generale n.304 del 30-12-2016)

Sono più di 103 le proroghe previste in diversi settori dal Decreto legge n. 244/2016 di fine anno. Pubbliche amministrazioni (art. 1). Adeguamento normativa antincendio scuole (art. 4, comma 2). Impianti di produzione di energia termica (art. 12, comma 2). Beni e attività culturali (art. 11). Sistri (art. 12, comma 1): viene prorogato, per la quarta volta e fino al 31 dicembre 2017 il subentro del nuovo concessionario e il periodo in cui continuano ad applicarsi gli adempimenti e gli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti antecedenti alla disciplina del Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (Sistri).
Nel presente articolo si analizza l’art. 8 che conferma, sul fronte della sicurezza, la possibilità per l’intelligence di effettuare colloqui preventivi nei confronti di detenuti per raccogliere informazioni utili a prevenire delitti di terrorismo.

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L’ordinamento giuridico prevede per l’attività di contrasto ai delitti commessi con finalità di terrorismo una serie di strumenti investigativi molto incisivi, in parte mutuati da altri ambiti d’intervento: le operazioni speciali, le perquisizioni, alcuni tipi di intercettazione, il rilascio di permessi di soggiorno per fini investigativi, le misure di prevenzione, il ritiro del passaporto, l’inibizione di siti internet, l’applicazione del regime carcerario duro ex art. 41-bis L. 26 luglio 1975, n. 375 e, non ultimo, i colloqui investigativi.

La disciplina riguardante i colloqui investigativi – introdotta dall’art. 16, comma 3, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa (conv. con mod. nella L. 7 agosto 1992, n. 356 che ha aggiunto l’art. 18-bis alla citata L. n. 354/1975 rubricata “Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”) – prevede la facoltà per il personale della D.I.A., dei Servizi Centrali ed Interprovinciali di polizia giudiziaria, nonché per gli Ufficiali di polizia giudiziaria designati dai responsabili dei predetti organismi, di visitare gli istituti penitenziari e la possibilità di essere autorizzati ad avere “colloqui personali con detenuti e internati al fine di acquisire informazioni utili per la prevenzione e repressione” dei delitti di criminalità organizzata, cioè quelli indicati nell’art. 51, comma 3-bis, del c.p.p.

L’emergenza terroristica ha suggerito al Legislatore di estendere tali disposizioni anche ai reati in materia contrasto del terrorismo con il D.L. 27 luglio 2005, n. 144 (“Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale”), includendo alla predetta lista anche i responsabili di livello almeno provinciale degli uffici o reparti della Polizia di Stato o dell’Arma dei Carabinieri competenti per lo svolgimento di indagini in materia di terrorismo nonché, limitatamente agli aspetti connessi al finanziamento del terrorismo, del Corpo della Guardia di Finanza.

L’istituto è stato voluto dal Legislatore sia per facilitare l’acquisizione di informazioni da persone detenute o internate inserite in associazioni delinquenziali (anche di tipo non mafioso) al fine di aggiornare le conoscenze sulle dinamiche criminali e le possibili linee d’azione dei sodalizi, favorendo o rafforzando l’azione investigativa del Pubblico Ministero; ovvero per individuare, anche in maniera induttiva, i personaggi caratterizzati da una più elevata pericolosità, al fine di orientare al meglio l’utilizzo dei vari strumenti in materia di misure di prevenzione, per prevenire episodi delittuosi.

Ma anche, allo stesso tempo, per tutelare le persone appartenenti alla criminalità organizzata/sodalizi criminali che si dichiarino disponibili al dialogo, garantendo a esse quelle basilari condizioni di sicurezza per la loro incolumità, una volta che abbiano accettato di rendere le informazioni di loro conoscenza.

Va, comunque, evidenziato che il colloquio investigativo è un atto privo di qualsivoglia utilizzabilità processuale perché si pone, per sua natura, all’interno di quel complesso di attività volte all’acquisizione, formazione e valutazione della prova.


La sua valenza va inserita nell’ambito delle “indagini preliminari” e le sue risultanze, qualora vadano ad avvalorare o integrare una notizia di reato, vanno trasmesse al Pubblico Ministero competente (Cass. pen. Sez. V, 1 aprile 2009 n. 15771).

L’autorizzazione ai colloqui viene rilasciata dal Ministro della Giustizia o da un suo delegato (quando si tratta di internati, di condannati o di imputati), ovvero dal Pubblico Ministero competente (quando si tratta di persone sottoposte ad indagini).
L’art. 18-bis prevede la possibilità, nei casi di particolare urgenza (che devono essere debitamente indicati da apposita “attestazione di urgenza” emessa con relativo provvedimento dal Ministro dell’Interno o, per sua delega, dal Capo della Polizia), di procedere al colloquio senza richiedere l’autorizzazione, ma dando immediata comunicazione dell’attività al Ministro della Giustizia o ad un suo delegato.
Il provvedimento autorizzativo e l’attestazione devono contenere complete indicazioni sul soggetto autorizzato e sui soggetti con i quali il colloquio deve svolgersi; sono annotate in apposito registro riservato.

Anche il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (P.N.A.) può procedere ai colloqui personali senza dover richiedere alcuna autorizzazione. A sua volta, deve essere comunque informato dei colloqui effettuati con o senza autorizzazione con soggetti che hanno a che fare con reati relativi alla propria competenza.

Va precisato che il colloquio svolto dal P.N.A. e quello svolto dal personale specializzato di polizia non hanno finalità propriamente identiche, sebbene entrambi abbiano di sicuro un obiettivo “sollecitatorio” alla collaborazione ed uno scopo di impulso allo sviluppo delle indagini.

In particolare, quello effettuato dal personale di polizia ha l’ulteriore finalità di “informazione confidenziale e di prevenzione” poiché mira ad ottenere anche notizie confidenziali su fatti già compiuti o in procinto di essere compiuti.
Sotto il profilo preventivo il D.L. 18 febbraio 2015, n. 7 (“Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale”, conv. in L. 17 aprile 2015, n. 43) ha introdotto (anche) una serie di disposizioni finalizzate a sostenere l’azione dei Servizi di Informazione; una delle disposizioni transitorie, adottata in via sperimentale fino al 31 gennaio 2016, riguarda proprio i colloqui investigativi. Infatti, è stata estesa alle Agenzie di Informazione e Sicurezza la possibilità di effettuare, previa autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria, colloqui con soggetti detenuti o internati al fine di acquisire informazioni per la prevenzione dei delitti con finalità di terrorismo di matrice internazionale.

L’autorizzazione è, tuttavia, concessa dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma quando sussistano specifici e concreti elementi informativi che rendano assolutamente indispensabile l’attività di prevenzione.
La richiesta compete al Presidente del Consiglio dei Ministri (anche a mezzo del Direttore generale del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza).

Dello svolgimento del colloquio è data comunicazione scritta al Procuratore Generale e al P.N.A. e informazione al Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica.
Le autorizzazioni e le successive comunicazioni sono annotate in apposito registro riservato tenuto presso l’ufficio del Procuratore Generale.

Con il c.d. decreto mille proroghe (D.L. 30 dicembre 2016, n. 244) è stato esteso fino al 31 gennaio 2018 tale facoltà per il personale dei Servizi di Informazione per la Sicurezza dei colloqui in argomento.

L’Autorità che ha svolto il colloquio deve dare immediata comunicazione all’istituto penitenziario e alla segreteria di sicurezza del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.), sia delle eventuali “esigenze di tutela” della incolumità del detenuto con cui si è svolto il colloquio, sia di ogni altra risultanza che può comunque incidere sulla gestione penitenziaria dello stesso (ad esempio, nel caso in cui vengano effettuate dichiarazioni che riguardino altri reclusi, ecc.).

Va, inoltre, specificato che l’istituto dei colloqui a fini investigativi previsto dall’art. 18-bis della L. n. 354/1975 è stato impostato dal Legislatore come una vera e propria “visita in istituto penitenziario” motivata da “eccezionali” esigenze operative; ne consegue che il colloquio investigativo non necessita di alcuna autorizzazione da parte del Pubblico Ministero né dal Ministro della Giustizia quando riguarda soggetti che non sono ristretti in istituto penitenziario, ma che si trovano al di fuori di esso anche se sottoposti ad una misura cautelare o ad una misura alternativa (ad esempio, qualora si trovino agli arresti domiciliari, ecc.).

Una precisazione sull’utilizzo delle dichiarazioni assunte “confidenzialmente” nel corso del colloquio: queste ultime, come anticipato, non possono essere utilizzate processualmente né possono essere acquisite agli atti del procedimento, mentre possono essere impiegate per svolgere indagini e fanno sorgere l’obbligo di informativa al Pubblico Ministero, ai sensi dell’art. 347 c.p.p., solo quando:
lo stesso detenuto o internato chiede che le informazioni da lui fornite siano riservate agli atti del procedimento penale o rappresentino la manifestazione della volontà di collaborare;
a seguito di indagini svolte, le informazioni fornite “confidenzialmente” dal detenuto finiscono per assumere le caratteristiche della notizia di reato.
Il colloquio può avvenire con detenuti per qualsiasi tipo di reato, anche comuni.

Limitatamente alle ipotesi di finanziamento del terrorismo i colloqui sono svolti su designazione del responsabile individuato all’interno della Guardia di Finanza. ©

 


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