Conversazioni ambientali captate all’estero: profili di utilizzabilità

di Milto Stefano De Nozza

Corte di Cassazione, Sezione II Penale, sentenza n. 51034 del 4 novembre 2016
L’intercettazione di comunicazioni tra presenti eseguita a bordo di una autovettura attraverso una microspia installata nel territorio nazionale, dove si svolge altresì l’attività di captazione, non richiede l’attivazione di una rogatoria per il solo fatto che il suddetto veicolo si sposti anche in territorio straniero ed ivi si svolgano alcune delle conversazioni intercettate.


Il profilo controverso – snodo sul quale la Cassazione ha edificato la presente posizione giurisprudenziale – attiene alla necessità o meno di attivare la procedura di cui agli artt. 727 e ss. c.p.p., per la utilizzabilità del risultato dell’attività captativa compiuta mediante microspia installata su di una vettura in transito anche in territorio estero. La questione si colloca, dunque, all’inter­no di una materia – quella dell’attività di intercettazione eseguita, o eseguibile, mediante la tecnica del c.d. “instradamento” – la cui disciplina è stata plasmata da più stagioni di interventi di matrice giurisprudenziale.

L’ordinamento giuridico italiano, come noto, non fornisce una definizione dell’istituto delle intercettazioni, limitandosi a distinguere le intercettazioni delle comunicazioni telefoniche (art. 266, comma 1 c.p.p.) ovvero informatiche o telematiche (art. 266-bis c.p.p.), da quelle c.d. “ambientali” (art. 266, comma 2 c.p.p. ), determinandone i limiti di ammissibilità (art. 266 c.p.p.), i presupposti e le forme del provvedimento (art. 267 c.p.p.), le modalità di esecuzione, nonché l’utilizzabilità dei risultati nello stesso o in altri procedimenti (artt. 270, 271 c.p.p.). Piuttosto, è stata una fervida dottrina ad individuare una definizione dello strumento investigativo – sulla scorta delle coordinate giurisprudenziali fornite dalla nota sentenza Torcasio del 2003 – quale mezzo di ricerca della prova consistente nell’apprensione occulta e contestuale del contenuto di una conversazione o comunicazione tra soggetti (anche nella forma di flusso comunicativo informatico o telematico) ad opera di terzi estranei, mediante modalità oggettivamente idonee allo scopo, con intromissioni clandestine che superino il normale livello di percettibilità umana, e quindi finalizzate a vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del carattere riservato del dialogo.
Alla luce di tali coordinate deve leggersi la distinzione operata dal codice di rito tra le due tipologie di intercettazioni (intercettazioni tra persone distanti e intercettazioni tra persone presenti), da cui deriva una altrettanta evidente separazione che il codice impone in termini di disciplina.

Come noto, l’art. 266, comma 2 c.p.p. detta la disciplina dei requisiti di ammissibilità delle intercettazioni c.d. “ambientali”. A differenza delle intercettazioni telefoniche (art. 266, comma 1 c.p.p.) o di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 266-bis c.p.p.), la regolamentazione delle intercettazioni di conversazioni inter praesentes si connota di una fisionomia ben più ricca e distinta. Il legislatore distingue, difatti, all’interno del più ampio genus delle intercettazioni ambientali, quelle inerenti le comunicazioni fra presenti tout court da quelle conversazioni fra presenti che si svolgono nei luoghi di privata dimora (con un rimando alla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 614 c.p.). Solo in quest’ultimo caso alla qualificata garanzia della doppia riserva di legge e di giurisdizione (comune a tutte le tipologie di intercettazioni e, quindi, anche a quelle ambientali tout court), unita ai presupposti dei gravi indizi di reato e della assoluta indispensabilità alla prosecuzione delle indagini (art. 267 c.p.p.), si affianca un filtro ulteriore e più stringente: la captazione “domiciliare” è consentita sempre che sussista il fondato motivo che nel luogo di privata dimora (domicilio o luogo ad esso assimilabile) si stia svolgendo l’attività criminosa.
Una limitazione, quella arrecata alla libertà di manifestazione, di segretezza e di domicilio tramite l’introduzione (necessariamente clandestina) nei luoghi di privata dimora per l’installazione degli strumenti di ascolto e registrazione, che trova notoriamente giustificazione nelle superiori esigenze di giustizia, sempre che vengano pedissequamente rispettati tutti i presupposti e le garanzie previsti dagli artt. 266 e ss. c.p.p.

Tuttavia, il risultato che potreb­be apparire garantito nella sfera del diritto “su carta” cessa sovente di esserlo nella diversa magmatica prospettiva del diritto “in azione”, che rappresenta, peraltro, la circostanza che realmente interessa (perché “tocca”) il cittadino e l’Autorità giudiziaria.
Ed invero, la questione oggi sottoposta all’esame della Suprema corte si innerva su una tema­tica di fondo la cui estrema delicatezza va di pari passo con la realtà dei fatti e dei comportamenti umani: vale a dire la possibilità che le comunicazioni telefoniche intercettate provengano o siano dirette all’estero, ovvero che le comunicazioni captate a bordo di una autovettura attraverso una microspia ivi installata in territorio nazionale intercorrano, in parte, allorquando il veicolo in oggetto transiti in territorio straniero.

Ci si è chiesti se in tali ipotesi il Pubblico ministero – dominus dell’attività investigativa – debba richiedere una rogatoria internazionale mediante i previsti canali ministeriali e diplomatici (art. 727 c.p.p.), o possa, viceversa, procedere secondo il canonico iter dettato dagli artt. 266 e ss. c.p.p.

La materia è pacificamente regolata da un principio di fondo: quello secondo cui il ricorso alla rogatoria internazionale è imposto solo per l’attività captativa di conversazioni intercorrenti “estero su estero”, e quindi non transitanti attraverso nodi telefonici italiani. Viceversa, l’attività captativa di comunicazioni che, pur avendo ad oggetto un’utenza straniera o pur essendo compiute all’estero, sia svolta mediante la tecnica del c.d. “instradamento”, non rende necessario il ricorso alla rogatoria atteso che l’attività di captazione e registrazione si svolge interamente sul territorio nazionale.

Per “instradamento”, infatti, deve intendersi il convogliamento delle chiamate in partenza dall’estero – per mezzo del gestore sito nel territorio nazionale – in un “nodo” situato in Italia. In buona sostanza le chiamate, pur avendo ad oggetto un’utenza straniera o pur essendo compiute dall’estero da utenze mobili nazionali, vengono “canalizzate” sul territorio italiano e fatte transitare dalle centrali telefoniche ivi collocate. Appare evidente come, in tal modo, tutta l’attività di intercettazione, ricezione e registrazione delle telefonate, pur riguardando chiamate provenienti dall’estero (da utenze estere o nazionali), viene compiuta completamente sul territorio italiano. Ne deriva, quale logica conseguenza, che la suddetta attività debba soggiacere alle regole di cui agli artt. 266 e ss. c.p.p., senza necessità di una rogatoria internazionale.

Se ciò è vero per i flussi di comunicazione in partenza dall’estero, perché “instradati” (vale a dire, convogliati) su un gestore italiano che ne consente la captazione in Italia, tanto più deve ritenersi legittima, e quindi non realizzata in violazione delle norme sulle rogatorie internazionali, l’attività di intercettazione di telefonate in partenza dal territorio nazionale e dirette all’estero, essendo certo che tali comunicazioni non solo transitano, ma hanno finanche origine sul territorio nazionale.
D’altronde, propendere per una diversa impostazione e quindi ritenere che l’attività captativa di chiamate in partenza dal territorio nazionale e dirette all’estero debba necessariamente passare dalla cooperazione giudiziaria, significherebbe vanificare le finalità del mezzo di ricerca della prova, atteso che il contatto con l’utenza straniera ben potrebbe essere occasionale, e in ogni caso del tutto non prevedibile.
Pertanto, alla luce di siffatte coordinate ermeneutiche, è da escludersi il ricorso alla disciplina dettata dagli artt. 727 e ss. c.p.p. in tutte quelle ipotesi in cui i flussi di comunicazione non siano captati in modo diretto ed esclusivo dal solo gestore straniero ma transitino, attraverso la cennata tecnica dell’instradamento, attraverso nodi telefonici nazionali: vale a dire, non solo laddove un’utenza (italiana o straniera) effettui dal territorio nazionale una chiamata diretta all’estero, ma anche quando un’utenza (italiana o straniera) chiami dall’estero altra utenza (italiana o straniera) sita in territorio nazionale.
Trattasi, come accennato, di un principio consolidato nel panorama giurisprudenziale di legittimità (e non solo), così come espressamente ricordato dalla stessa Corte nella sentenza all’attenzione.

Il Collegio, difatti, nell’affrontare il tema, ha esordito richiamando la soluzione adottata da costante e non contrastata giurisprudenza di legittimità concorde nell’affermare che «in tema di intercettazione di comunicazioni o conversazioni [il riferimento è alle intercettazioni di utenze mobili], è pienamente legittima l’utilizzazione della tecnica del cosiddetto “istradamento”, che comporta il convogliamento attraverso un gestore nazionale delle telefonate provenienti dall’estero e dirette ad una utenza italiana, ovvero in partenza da quest’ultima e diretto verso utenze estere, senza che sia necessario promuovere una apposita rogatoria internazionale, posto che l’intera attività di captazione e registrazione si svolge sul territorio dello Stato».
Un ideale continuum di tali principi è rappresentato dalla decisione n. 13972 del 2009, parimenti richiamata in sentenza, con la quale i Supremi giudici hanno ribadito come «il ricorso alla procedura dell’istradamento, e cioè il convogliamento delle chiamate in partenza dall’estero in un nodo situato in Italia (e a maggior ragione di quelle in partenza dall’Italia verso l’estero, delle quali è certo che vengono convogliate a mezzo di gestore sito nel territorio nazionale) non comporta la violazione delle norme sulle rogatorie internazionali, in quanto in tal modo tutta l’attività d’intercettazione, ricezione e registrazione delle telefonate viene interamente compiuta nel territorio italiano, mentre è necessario il ricorso all’assistenza giudiziaria all’estero unicamente per gli interventi da compiersi all’estero per l’intercettazione di conversazioni captate solo da un gestore straniero».

In siffatta cornice si inscrive il vulnus della questione oggetto della sentenza all’attenzione, la quale si è trovata a valutare la legittimità delle intercettazioni (non telefoniche, ma) ambientali effettuate all’interno dell’autovettura monitorata quando la stessa si trovava in territorio straniero, senza che fosse richiesta ed ottenuta assistenza giudiziaria a norma dell’art. 727 e ss. c.p.p.
Sotto un profilo strettamente processuale, il decisum si sviluppa in due filoni.
In particolare, il pri­mo vizio censurato (la Corte distingue testualmente tra una censura di “natura giuridica” ed una di “natura tecnica”) verte sull’asserita illegittimità della captazione effettuata direttamente dalla polizia giudiziaria: in buona sostanza, ad avviso della difesa, atteso che la microspia installata all’interno dell’autovettura sostituisce fisicamente l’ufficiale di p.g. e ne costituisce una sorta di longa manus che consente a questi l’ascolto a distanza senza essere individuato, ed atteso che la p.g. non può compiere atti diretti alla ricerca della prova al di fuori del territorio nazionale, ne consegue, a fortiori, l’assoluta illegittimità dell’attività di captazione dispiegata dalla microspia in territorio estero.

Al riguardo la Corte rimarca come l’attività di ascolto ad opera della p.g. – peraltro regolarmente autorizzata dall’Autorità giudiziaria – si risolva non già in una ricerca diretta ed autonoma della prova in territorio straniero, ma in «una semplice attività materiale di ascolto ed annotamento di quanto ascoltato».
Si tratta, a tutta evidenza, di una argomentazione destinata nel frangente ad assumere una valenza di poco conto, giacché la Corte reputa decisivo, al fine di disattendere la censura di legittimità sottoposta al suo esame, un differente e più radicale rilievo: ossia che l’ascolto delle conversazioni captate in ambientale avvenga in Italia, perché ivi vengono convogliati i flussi audio captati nell’autovettura secondo un meccanismo identico a quello delle intercettazioni telefoniche.
I supremi giudici passano, quindi, direttamente al “cuore” del problema disattendendo anche la seconda doglianza prospettata dalla difesa (quella di “natura tecnica”) riguardante l’asserita differenza “tecnica” tra intercettazione ambientale e telefonica.
Essi ricostruiscono, perciò, i capisaldi della giurisprudenza in materia di intercettazioni telefoniche mediante la tecnica dell’instradamento e ne affermano l’applicabilità in toto anche alle ipotesi di captazione ambientale: da un punto di vista squisitamente tecnico, difatti, l’intercettazione ambientale avviene tramite microspia che sfrutta la rete di telefonia mobile e, quindi, lo stesso sistema dell’instradamento dei flussi telefonici la cui captazione, come già ricordato, non necessita di rogatoria internazionale.
Con specifico riferimento alle intercettazioni ambientali la Corte si pone in linea di ideale continuità con la decisione n. 8588 del 2008, la quale fornisce un eminente (e indiscusso) punto di riferimento al riguardo.

In essa si afferma che «l’intercettazione di comunicazioni tra presenti seguita a bordo di una autovettura attraverso una microspia [o altro mezzo di registrazione] installata nel territorio nazionale, dove si svolge altresì l’attività di captazione, non richiede l’attivazione di una rogatoria per il solo fatto che il suddetto veicolo si sposti [successivamente al momento dell’inizio delle operazioni in Italia] anche in territorio straniero ed ivi si svolgano alcune delle conversazioni intercettate».
A tutto voler concedere, è evidente che le attività captative non possono subire limitazioni derivanti dal transito (potenziale o occasionale) del veicolo in territorio straniero, se non a costo di una cronica impossibilità tecnica di procedere alle intercettazioni medesime. Ciò è vero non solo perché appare veramente arduo, se non impossibile, conoscere ex ante tutti gli spostamenti della vettura monitorata, ma anche perchè l’autorità giudiziaria potrebbe comunque essere ignara del luogo ove si trova il veicolo (non provvisto di localizzatore G.P.S.) e quindi impossibilitata a chiedere la rogatoria, neppure con l’urgenza e con i modi previsti dall’art. 727, comma 5 c.p.p.

La Suprema corte, quindi, riconferma, con linearità di ragionamento, come nessuna distinzione è data farsi tra le procedure di trasmissione delle conversazioni telefoniche e quelle ambientali, e come, di conseguenza, anche la captazione ambientale possa essere effettuata tramite la tecnica dell’instradamento.
La legittimità delle intercettazioni di conversazioni inter praesentes captate, seppur in parte, all’estero – questo il “messaggio” innovativo della pronuncia – poggia, tuttavia, su due condizioni: che l’intercettazione venga effettuata in Italia (rectius, che la microspia venga collocata sulla vettura in territorio italiano), e che l’autovettura monitorata sia da questi prevalentemente utilizzata in territorio nazionale.
Resta il dubbio se l’ambito operativo della pronuncia in commento debba intendersi limitato ai casi nei quali concorrono entrambe le condizioni sopra esposte ovvero debba ritenersi esteso anche ai casi di intercettazioni ambientali che si svolgano prevalentemente all’estero.

È ragionevole ritenere che anche in casi simili non possa farsi ricorso alla procedura di cui all’art. 727 c.p.p. atteso che il concetto di prevalenza non può che essere apprezzato ex post ovvero dopo il provvedimento di autorizzazione giudiziale.©

 

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