di Walter Riccitelli
[vc_row] [vc_column width=”5/6″]Il presente intervento costituisce un’estensione di quello pubblicato nel precedente numero, trattando delle problematiche relative al dialogo tra Autorità Giudiziaria e Polizia Giudiziaria una volta che è cessata l’emergenza relativa alla gestione della scena del crimine e si avvia l’esame delle tracce e dei reperti in essa rinvenuti, per ricostruire la dinamica dei fatti e la successiva attribuzione delle responsabilità.
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La verità processuale è accertata dall’organo giudicante attraverso il confronto delle tre parti processuali: l’accusa, la difesa e la parte civile. Di seguito analizzeremo in particolare la prima, stante il fatto che le altre due sono suscettibili dell’interesse di questa e pertanto vengono tutelate nei loro interessi dal Codice, mentre l’interesse della Procura e della Polizia Giudiziaria (PG) è quello di perseguire il colpevole per puro e solo dovere d’ufficio e di Giustizia. Si farà inoltre anche un cenno al punto di vista del Giudice, neutrale per sua natura rispetto alle parti.
1. Il punto di vista del Pubblico Ministero. L’importanza della formulazione del giusto quesito
Il Pubblico Ministero (PM) nell’ambito della conduzione delle indagini dispone della PG1 per l’accertamento dei fatti e, laddove non possa – o non ritenga essenziale – intervenire in prima persona, può delegare alcune attività, in special modo quelle tecniche più complesse che richiedono competenze specifiche. Tuttavia la centralità del suo ruolo impone la necessità di una buona conoscenza dell’ambito tecnico-scientifico, così da formulare i quesiti nei limiti delle possibilità tecniche e grazie ad ipotesi investigative che tengano conto degli accertamenti tecnici esperibili, nonché predisponendo il giusto dispositivo di mezzi e di uomini, ovvero non lesinando sulle professionalità necessarie ma ottimizzando complessivamente il sistema-indagine2-3-4-5. In questo senso, nell’ambito del consueto dialogo e della collaborazione tra le parti, un’adeguata preparazione teorica e soprattutto pratica della polizia giudiziaria è essenziale per agevolare sia il lavoro del PM (che ad essa si rivolge per la redazione dei primi atti conseguenti al fatto-reato) che dell’organo scientifico delegato (il personale inquadrato nei servizi di polizia scientifica dell’Arma dei Carabinieri e della Polizia di Stato, il consulente tecnico o qualsiasi altra figura ammessa), in quanto si possono intraprendere tutte quelle attività che necessitano di brevi tempi di reazione, in particolare gli accertamenti irripetibili sulla scena del crimine e sulle persone. Il compito del PM, quindi, non è la sola direzione delle indagini, ma anche quello di comprendere ed anticipare le azioni da intraprendere a livello investigativo nel senso più ampio del termine, comunicando concretamente le proprie intenzioni alla PG delegata. Quest’ultima è bene che proponga aggiunte e/o variazioni qualora i quesiti siano sotto o sovrastimati, rappresentando eventuali perplessità e contribuendo ad elaborare nuovi obiettivi più attinenti alle possibilità tecniche o più confacenti all’ambiente investigativo in cui si va ad operare, minimizzando i tempi.
2. Il punto di vista della polizia giudiziaria
È bene ribadire che nelle indagini tecnico-scientifiche, forse le più complesse dal punto di vista concettuale, deve essere ben chiaro non solo l’obiettivo da conseguire ma anche dove e come ricercarlo, con l’altissimo rischio di perdere di informazioni essenziali per la riuscita dell’indagine.
La PG competente per territorio – ovvero quella delegata dal PM – quando è impegnata sul fronte dell’acquisizione delle evidenze nella fase di sopralluogo e repertamento può chiedere di avvalersi del contributo di personale tecnico qualificato proveniente dai laboratori forensi inquadrati nella Polizia di Stato o nell’Arma dei Carabinieri, secondo modalità già descritte6. Qualora si decida di procedere in via autonoma, gli operatori acquisiscono ed inviano ai laboratori solo gli elementi considerati utili (si pensi ai risultati della ricerca di impronte papillari latenti attraverso l’uso delle polveri dattiloscopiche, il repertamento di materiale balistico, etc…); l’invio “indiscriminato” dei reperti sequestrati all’interno di una scena criminis comporta dei costi aggiuntivi, l’allungamento dei tempi d’attesa e la perdita di efficienza complessiva di tutto il sistema. Tuttavia, è bene ribadirlo, la PG ha inoltre la funzione non sottovalutabile di raccordo tra procura e organo scientifico ed è pertanto il collettore delle esigenze operative verso quest’ultimo. Per questa ragione il personale tecnico e quello operativo devono confrontarsi permettendo il necessario trasferimento di know how e di informazioni che è utile sia nell’immediata risoluzione del caso in trattazione che in quelli futuri, visto l’incremento del bagaglio professionale degli operatori.
L’esame dei dati raccolti in sede di sopralluogo e repertamento è soggetta all’analisi da parte di almeno tre organi in seno alla PG: il primo è il comando che interviene nell’immediatezza, il secondo è quello delegato delle indagini (spesso si tratta dello stesso soggetto, ma non necessariamente), il terzo è il laboratorio forense. Nella pratica quotidiana queste tre anime della PG sono mosse al loro interno da dinamiche differenti e collaborano sfruttando un background operativo completamente diverso l’una dall’altra.
3. Il punto di vista dell’organo scientifico
Abbiamo già accennato alla necessità della giusta formulazione da parte del magistrato dei quesiti da porre nei confronti dell’organo scientifico delegato, ma è altrettanto importante porre l’accento sugli esiti che quest’ultimo propone. La comunità scientifica internazionale ha molto discusso relativamente alla corretta esposizione dei risultati delle analisi di laboratorio nei confronti di chi conduce le indagini, in quanto la particolare complessità degli accertamenti può “disorientare” chi non è un tecnico della materia ma è comunque deputato alla valutazione delle prove3. Infatti spesso i risultati delle analisi forensi, già di per sé generalmente poco intuitivi, in alcuni casi sono anche soggetti ad un alto livello di discrezionalità interpretativa. Questo tipo di accertamenti ed analisi normalmente riguardano gli ambiti nei quali la dinamica del fatto-reato condiziona in maniera determinante la valutazione dei risultati stessi.
Un caso particolarmente emblematico in questo senso, può essere rappresentato dalla ricerca di residui dell’esplosione di colpi d’arma da fuoco: attraverso l’utilizzo di un supporto adesivo detto stub7 si tamponano le superfici cutanee del sospettato di un delitto commesso a seguito dell’utilizzo di un’arma da fuoco; i campioni così creati vengono poi inviati al laboratorio per le successive analisi. Può accadere che il sospettato risulti negativo ai GSR8 a seguito di quel prelievo, malgrado le indagini tradizionali diano per certo il suo coinvolgimento. Perché allora il test è negativo? Sono stati superficiali gli operatori? È stato poco zelante il tecnico di laboratorio? Non necessariamente. Infatti esiste la possibilità, tecnicamente acclarata ed ampiamente discussa nella comunità scientifica, di invalidare l’esame. La corretta ricostruzione della dinamica dei fatti attraverso il coordinamento e la sinergia d’azione delle forze in campo può chiarire il perché di quel risultato. Infatti se ad un operatore poco attento – o che si limita al solo dato tecnico, talvolta erroneamente considerato inattaccabile nell’ottica dibattimentale – la negatività dell’esame può rappresentare l’esclusione del sospettato dalla scena del crimine, l’attento investigatore sa che nel caso specifico si tratta della sola perdita di un’informazione, seppure importante. Saranno i riscontri oggettivi derivanti da indagini tradizionali e/o tecniche a diventare fondamentali, siano essi intercettazioni telefoniche o telematiche, telecamere di sorveglianza, verbali di sommarie informazioni testimoniali, dichiarazioni spontanee e quant’altro. Ovviamente in mancanza di dati oggettivi l’indagine termina laddove il risultato delle analisi è negativo ed è altrettanto ovvio che se non è ragionevolmente possibile nessun riscontro, probabilmente si sospetta della persona sbagliata.
4. Il punto di vista dell’organo giudicante
Esiste poi un’altra sfera di indagine e di comprensione, quella dell’organo giudicante. Fermo restando quanto detto per la figura del pubblico ministero in merito alla conoscenza degli strumenti tecnici e degli obiettivi raggiungibili, è importante sottolineare una grande differenza: il Tribunale, se non si avvale della figura del perito, deve trovare tutti gli elementi di valutazione degli indizi durante il dibattimento, fatti salvi gli atti che di diritto entrano nel fascicolo dibattimentale e che pertanto possono essere valutati indipendentemente da questo. Il Giudice deve essere in grado di discernere tra narrazione, dato oggettivo, dato tecnico e legittimo diritto alla difesa dell’imputato, con tutto quello che comporta dal punto di vista del background culturale e professionale, soprattutto in indagini complesse e articolate su più fronti. Egli deve inoltre comprendere appieno l’importanza e il peso di ciascun risultato analitico ed eventualmente scartare, come nell’esempio sopra descritto, un dato non utile ai fini dell’accertamento della verità processuale, qualora vi siano elementi oggettivi di supporto all’ipotesi accusatoria4. In quest’ottica l’istituto del perito è fondamentale per dirimere eventuali dubbi interpretativi, così come il PM può avvalersi del consulente tecnico per corroborare le sue tesi.
5. Conclusioni
L’analisi tecnico-scientifica è la constatazione di quanto è già nel reperto: composizione, residui, tracce, etc… con l’ausilio di strumentazioni che, seppur complesse, hanno comunque dei limiti teorici e fisici d’azione. Il compito del servizio di polizia scientifica (e/o del consulente tecnico) è quello di mettere a disposizione della Giustizia questi strumenti ed allo stesso tempo di renderli utili ed alla portata della più larga platea possibile3. È chiaro che non sempre è possibile raggiungere questo obiettivo per la complessità dell’informazione da trattare, tuttavia la comunicazione e la sinergia sono caratteristiche comuni ed essenziali nel campo della polizia giudiziaria nel suo insieme e devono servire a definire eventuali dissonanze prima ancora di giungere al dibattimento.
L’elemento in assoluto più importante rimane comunque quello dell’apertura mentale degli operatori perché è spesso necessario cogliere i più piccoli segnali che la scena del crimine e le indagini offrono per giungere ad una corretta valutazione dell’accaduto ed all’attribuzione di responsabilità. ©
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