Disciplina dell’istituto delle intercettazioni

Le fonti normative e la loro evoluzione

di Tommaso De Giovanni

Nel corso della storia l’uomo ha utilizzato diversi modi e strumenti per produrre la comunicazione. Il processo evolutivo è passato nel corso degli anni dalla comunicazione gestuale alla comunicazione orale, dalla rudimentale forma scritta alla comunicazione tipografica, da quella elettrica alla trasmissione dei dati telematici.


1. Nozioni storiche del servizio di intercettazione
Altro aspetto legato alla comunicazione è stato lo sviluppo dei vari sistemi per intercettarla. I due elementi fondamentali dell’intercettazione erano: operare all’insaputa di chi produceva la comunicazione e che la stessa non venisse interrotta. I primi documenti relativi a forme di intercettazioni si ebbero, a fine ottocento, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.
In Italia la prima intercettazione documentata venne sviluppata nel 1903, all’epoca del governo Giolitti. In modo del tutto casuale un telefonista intercettò una conversazione telefonica tra un ministro dell’ allora governo che riferiva alla propria moglie la notizia dell’imminente uscita di un decreto ministeriale di carattere finanziario che avrebbe dovuto fare oscillare alcuni titoli in borsa. Il ministro nel corso della telefonata suggeriva alla moglie e ai propri parenti l’acquisto dei titoli. Il telefonista, vista l’importanza e la delicatezza della conversazione si apprestò a redigere un documento sotto forma di un vero verbale di intercettazione nel quale vennero annotati tutti gli estremi temporali, i soggetti intervenuti, nonché il contenuto in forma riassuntiva della telefonata.

Il verbale fu sottoposto al vaglio del Capo Gabinetto del primo ministro che fece posticipare l’uscita del decreto. Questo evento, che ebbe una notevole risonanza mediatica, causò la nascita di un reparto all’interno della Polizia di Stato chiamato «Servizio di Intercettazione» che sarebbe servito, oltre a dare supporto all’Autorità Giudiziaria, a sorvegliare le personalità politiche dell’epoca. Ovviamente a quei tempi i sistemi di intercettazione erano molto rudimentali e collocati sotto il controllo di funzionari di polizia, alle dirette dipendenze del Ministro dell’Interno. I primi operatori tecnici, che dettero ausilio alle forze di polizia, furono reclutati tra il personale telefonico, vista la pratica già acquisita dagli stessi per l’ascolto delle conversazioni. Altra figura ausiliare di polizia giudiziaria fu lo stenografo, che, avendo capacità di scrittura veloce, era in grado di fissare immediatamente su carta tutte le informazioni ascoltate.
Durante la prima guerra mondiale, dove gli strumenti di telecomunicazione ebbero un ruolo strategico, vi fu un notevole sviluppo dei sistemi tecnici di intercettazione. In tutti gli eserciti, compreso ovviamente quello italiano, furono impiegati ingegneri capaci di realizzare stazioni intercettatrici con lo scopo di intercettare ed evitare di conseguenza le intercettazioni nemiche. Presso ogni Comando delle varie forze armate fu istituito il Servizio I.T. Intercettazioni Telefoniche, un vero e proprio C.I.T. dell’epoca, composto da numerosi soldati nel ruolo di elettricisti, guardafili, capi centri, capi stazione e interpreti, che erano sottoposti a continui corsi di formazione.
Una grandissima testimonianza di come, durante la grande guerra, era organizzato il servizio di intercettazioni telefoniche, fu quella dell’ufficiale della seconda armata Aurio Carletti. Fu il primo documento in Italia a svelare i segreti e le tecniche di intercettazione, servizio all’epoca ai più sconosciuto.

Nell’articolo pubblicato il Carletti scrisse:
« Già da tempo volevo comunicare ai soci della A.E.I. alcune notizie sopra un servizio quasi a tutti sconosciuto, ma che ha avuto una grande importanza durante la nostra guerra: cioè quello delle intercettazioni telefoniche. Il servizio I.T. presso le Armate era in generale organizzato in modo seguente. Il Comando del Genio di Armata aveva la direzione e la sorveglianza tecnica del servizio, curava gli impianti e la manutenzione delle stazioni, approntava apparecchi di ogni genere, organizzava brevi corsi di istruzione per gli ufficiali e militari, interpreti elettricisti e guardiafili addetti alle stazioni. Alla Seconda Armata questa parte tecnica era completamente affidata al Gabinetto I.T. alla dipendenza diretta dell’Ispettore Telegrafico Militare. Il Comando dell’Armata, per mezzo dell’Ufficio di informazioni, aveva l’esercizio propriamente detto I.T. Il perfetto accordo fra i due enti e la loro mutua collaborazione per la parte di loro competenza, permisero di organizzare il servizio di intercettazione in modo da ricavarne un’utilità veramente straordinaria. Il Comando dell’Armata riceveva dai vari centri di raccolta le notizie intercettate dalle singole stazioni e pubblicava un riassunto delle notizie più importanti in bollettino giornaliero, che veniva diramato presso tutti i comandi. »

Nel dopo guerra, in pieno regime fascista, Mussolini mise in atto uno scenario già proposto dal Governo Giolitti, dando indicazioni al Servizio d’Intercettazione di mettere sotto controllo i telefoni di politici di opposizione, militari, giornalisti, avvocati e diplomatici stranieri con assoluta assenza di principi garantisti. Il servizio di intercettazione fu utilizzato come strumento di regime. Nel 1924, a seguito del delitto Matteotti, furono sottoposti ad intercettazione i telefoni dei principali organi di stampa al fine di possedere il controllo capillare delle informazioni. All’epoca, come già ricordato, le intercettazioni venivano stenografate e numerate in appositi blocchetti con l’indicazione degli interlocutori e il contenuto sommario delle conversazioni. Anche Papa Pio XI, che fondò la radio Vaticana avvalendosi della collaborazione di Guglielmo Marconi, fu oculato all’utilizzo della comunicazione telefonica. Uno dei passaggi del discorso preparato nel 1939 per la ricorrenza dei dieci anni dei Patti Lateranensi, che purtroppo non fece in tempo a diffondere per la prematura morte avvenuta il 10 febbraio 1939, recitava «vi raccomandiamo, non affidate mai al telefono ciò che vi preme che non si sappia. Voi credete che la vostra parola vada al lontano corrispondente e invece essa viene avvertita ed intercettata»
Durante la seconda guerra mondiale gli eserciti utilizzarono due metodi per comunicare a distanza: il telefono e la radio. Per evitare di essere intercettati furono ideati i primi sistemi di cifratura. La macchina “Enigma”, nata già nel 1918 per eludere gli spionaggi industriali, criptava le comunicazioni per sottrarle alle intercettazioni nemiche.

A distanza di poco più quindici anni dalla fine della guerra, sempre per scopi di difesa e controspionaggio tra Stati Uniti ed Unione Sovietica nasceva la rete delle reti: “internet” che, più di qualsiasi altro sistema, cambiò il modo di comunicare e di produrre l’informazione. Anche la telefonia si evolse; nel 1973 ebbe la comparsa il telefono cellulare, nel tempo capace di collegare in mobilità chiunque e in qualsiasi posto nel mondo. Ovviamente con l’avvento dei nuovi sistemi di comunicazione e delle reti informatiche anche il modo di intercettare cambiò radicalmente. Oggi il captatore informatico, molto dibattuto con sentenze di cassazione e nuove proposte legislative, è un vero e proprio agente intrusore (virus informatico) capace di penetrare in modo molto invadente, perquisendo i PC e gli smartphone inoculati.

2. Intercettazioni: le riforme legislative dall’unità d’Italia ad oggi
Dalla nascita del Regno d’Italia, avvenuta il 17 marzo 1861, si sono succeduti ben quattro codici di procedura penale, rispettivamente negli anni 1865, 1913, 1930 e il vigente c.p.p. emanato nel 1988.
Posteriormente la prima unificazione del Regno, il territorio italiano era suddiviso in tanti staterelli dotati di autonome normative. Nel 1865 ci fu una vera e propria involuzione giuridica che portò all’emanazione di ben sei codici.

La legge n. 2215 del 2 aprile 1865 autorizzò il Governo del Re a pubblicare il codice di procedura penale nonché le disposizioni transitorie necessarie per la completa attuazione dello stesso. Il codice, pubblicato il 30 novembre 1865 dal Re Vittorio Emanuele II e dall’allora Guardasigilli Cortese, entrò in vigore l’ 1 gennaio 1866. Era diviso in tre libri e formato da 857 articoli. Il libro I dell’istruzione preparatoria, il libro II del Giudizio, il libro III di alcune procedure particolari e di alcune disposizioni regolamentari. Al suo interno, visto il periodo e per ovvie ragioni tecnologiche, non vi era traccia legislativa sulle intercettazioni.
A distanza di quarantasette anni dal primo c.p.p. si avvertì l’esigenza di creare un nuovo modello di codificazione e così – con la legge n. 598 del 20 giugno 1912 il governo del Re fu autorizzato a pubblicare il nuovo codice di procedura penale. Con Regio Decreto n. 127 del 27 febbraio 1913 fu approvato il testo definitivo, pubblicato in pari data nella GU n. 48.
Il secondo c.p.p., formato da quattro libri, era suddiviso in 653 articoli. Il libro I disposizioni generali, il libro II istruzione, il libro III giudizio, il libro IV esecuzione e alcuni procedimenti speciali.

Nel codice di procedura penale del 1913 troviamo il primo cenno legislativo alle intercettazioni con riferimento limitatamente a quelle telefoniche. In particolare gli artt. 170 e 238 c.p.p. disciplinavano le intercettazioni di comunicazioni a distanza tra privati, non menzionando assolutamente quelle “inter praesentes”. L’utilizzo di tale istituto a quei tempi era molto raro, motivato anche dalla quasi nulla conoscenza di strumenti tecnici poco efficaci allo scopo probatorio.
Siamo quasi all’inizio di un regime fascista molto repressivo e non incline alle regole giudiziarie, men che meno al diritto alla riservatezza. Il c.p.p. del 1913, che fu considerato un codice di ispirazione liberale ben fatto, rimase in vigore per soli diciassette anni.
In pieno periodo fascista, l’allora Guardasigilli Alfredo Rocco presentò nel 1925 un disegno di legge per modificare tutta la legislazione penale all’epoca vigente. Il 19 ottobre 1930 con Regio Decreto n. 1399 venne promulgato il terzo codice di procedura penale formato da 404 articoli divisi in cinque libri: disposizioni generali, istruzione, giudizio, esecuzione, rapporti giurisdizionali con autorità straniere.

All’interno del libro secondo delle istruzioni, agli articoli 226 e 339 il legislatore provò a disciplinare l’istituto delle intercettazioni che venivano realizzate in totale assenza di principi garantisti e conservavano un fortissimo potere da parte della Polizia Giudiziaria e del Giudice, riproponendo in pratica la disciplina del codice del 1913.
La normativa prevedeva che le intercettazioni venissero effettuate direttamente presso gli impianti telefonici di pubblico servizio per mezzo di registratori collocati presso l’operatore telefonico sotto l’osservazione della Polizia Giudiziaria.
L’art. 226 al terzo comma recitava «gli ufficiali di polizia giudiziaria, per fini del loro servizio, possono accedere agli uffici o agli impianti di pubblico servizio per trasmettere, intercettare o impedire comunicazioni prenderne cognizioni o assumere altre informazioni». L’art. 339 riproponeva le stesse funzioni attribuite alla polizia giudiziaria anche ai magistrati, «il giudice può accedere agli uffici o impianti telefonici di pubblico servizio e trasmettere, intercettare o impedire comunicazioni, assumere cognizione. Può anche delegare un ufficiale di polizia giudiziaria».

La Commissione parlamentare, in sede di verifica, propose la soppressione dell’articolo, perché la disposizione non era confacente alla dignità dei magistrati. Nella relazione presentata all’udienza del 19 ottobre 1930 per l’approvazione del codice penale e del codice di procedura penale il Guardasigilli scrisse:
«Ma se il magistrato istruttore può procedere personalmente, ad esempio, alla perquisizione personale o domiciliare, senza che per ciò si ritenga diminuita la sua dignità, non vedo perché codesta menomazione dovrebbe invece ravvisarsi nell’ipotesi di cui si tratta. La funzione inquirente non deve subire limitazioni di questa specie. Lo scopo della funzione stessa, e il modo con cui: viene esercitata dal magistrato, nobilita ogni atto della medesima. Possono poi presentarsi casi gravissimi e delicatissimi, come, ad esempio, quando si tratti di taluni reati contro la personalità dello Stato, in cui convîene che il magistrato compia egli stesso gli atti in discorso. Del resto è lasciato alla sua discrezione il giudicare se debba intervenire personalmente o incaricare invece un ufficiale di polizia giudiziaria».
L’articolo fu approvato.

Il 2 giugno 1946, a seguito di un referendum costituzionale in cui i cittadini italiani scelsero la forma repubblicana per il nuovo Stato Italiano, nasceva l’Assemblea Costituente con il compito di scrivere la Costituzione.
Il Capo Provvisorio dello Stato, vista la deliberazione dell’Assemblea Costituente del 22 dicembre 1947, approvò e promulgò la Costituzione della Repubblica Italiana. Fra i principi fondamentali l’art. 15 recita: «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge».

A distanza di otto anni dall’emanazione della Costituzione il legislatore con la Legge n. 517 del 18 giugno 1955 apportò una parziale riforma del processo penale che riguardò un centinaio di articoli. L’articolo 7 della predetta legge, cagionò inoltre alcune modifiche alla normativa delle intercettazioni. Nel codice di procedura penale fu inserito un quarto comma all’art. 226 che limitava il potere della Polizia e vincolava l’Autorità Giudiziaria a motivare tutte le operazioni di intercettazione, ancora senza specifica dei reati che rendevano possibile il ricorso alle stesse.

Art. 226, comma 4 «Per intercettare o impedire comunicazioni telefoniche o prenderne cognizione gli ufficiali di polizia giudiziaria devono munirsi di autorizzazione dell’autorità giudiziaria più vicina, che la concede con decreto motivato».
Nel 1973, a seguito di continue violazioni sulla segretezza delle comunicazioni tutelate dall’art. 15 della Costituzione, vi fu un severissimo intervento della Corte Costituzionale che nel corso dell’udienza del 21 marzo 1973 sancì un tassativo divieto di utilizzo all’interno del processo di prove acquisite in violazione dei diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione. La sentenza n.34 del 4 aprile 1973 fu pubblicata due giorni dopo nella G.U. A distanza di un anno il legislatore, per porre riparo, emanò la Legge n. 98 del 8 aprile 1974 a tutela della riservatezza, della libertà e segretezza delle comunicazioni. La predetta legge apportò una vera rivoluzione nella disciplina delle intercettazioni e fu considerata la più grande riforma intervenuta sulla materia.

Delle disposizioni previste all’interno dell’originario codice Rocco non rimase quasi nulla. L’ultimo comma dell’art. 226 fu abrogato e l’art. 339 completamente sostituito. Dopo l’art. 226 fu introdotto un 226-bis, un ter, un quater e un quinquies.
Con l’art. 226-bis, rubricato facoltà relative alle comunicazioni o conversazioni, fu introdotta la specifica dei reati per i quali era possibile attivare l’istituto delle intercettazioni, nonché l’impedimento di effettuare captazioni presso i difensori e i loro ausiliari nell’esercizio delle loro funzioni nell’ambito del procedimento.

Altra importantissima novità introdotta dall’art. 226-bis fu l’istituzione presso tutti gli Uffici di Procura della Repubblica o del Giudice Istruttore del «registro riservato dei decreti e delle ordinanze che dispongono le intercettazioni di comunicazioni o conversazioni telefoniche e telegrafiche». Il primo registro delle intercettazioni aveva una numerazione progressiva annuale ed era composto da sette colone. Al suo interno trovavano collocazione tutti i provvedimenti che disponevano le intercettazioni, gli estremi dell’apparecchio sottoposto a captazione, l’utilizzatore, la data di comunicazione del provvedimento al Procuratore Generale nonché il numero del fascicolo processuale iscritto al Registro Generale Affari Penali.
L’art. 226-ter, intitolato autorizzazioni all’impedimento o intercettazione di comunicazione o conversazioni, oltre a ribadire la necessità della motivazione dei decreti, fissò i termini di durata massima delle operazioni di intercettazioni. Ad un termine iniziale di 15 giorni disposto con decreto potevano essere accordate con ordinanza ulteriori due proroghe della durata ciascuno di 15 giorni, al perdurare delle stesse condizioni.

L’art. 226-quater, rubricato esecuzione delle operazioni di impedimento, interruzione o intercettazione di comunicazioni o conversazioni, apportò rilevanti novità. Furono formalmente istituite le sale intercettazioni presso gli Uffici di Procura disciplinando nel contesto i metodi di registrazione e conservazione dei flussi di conversazioni. Vi fu una prima tutela relativa al diritto di difesa e alla garanzia individuale con il deposito degli atti.

Nell’art.226-quinquies, intitolato divieto di utilizzazione delle intercettazioni illecite, troviamo al suo interno il primo accenno legislativo sulla circostanza di ricercare la prova a mezzo di intercettazione ambientale. Nel predetto articolo infatti viene enunciata la possibilità di eseguire operazioni di captazione nei modi di cui all’art. 615-bis c.p.. Quest’ultimo articolo, tuttora vigente, punisce infatti le interferenze illecite sulla vita privata con strumenti visivi o sonori. Questa disposizione posta all’interno dell’art.226-quinquies portò all’epoca non poche incertezze all’interno dei processi. Solamente con l’introduzione del nuovo codice di procedura penale il legislatore disciplinerà in modo chiaro le intercettazioni ambientali.
Nel 1978, in piena emergenza antiterrorismo, fu varata la Legge n. 59 del 21 marzo 1978. Questa nuova disposizione legislativa, considerata un’altra importante riforma della disciplina delle intercettazioni, applicò scelte molto discutibili al limite della incostituzionalità. Gli artt. 226-ter e 226-quater subirono modifiche e venne aggiunto, ex novo, l’art. 226-sexies.
Successivamente la disciplina delle intercettazioni, come abbiamo visto più volte riformata sotto l’influenza del momento storico vissuto, rimase invariata fino all’entrata in vigore dell’attuale nuovo codice di procedura penale.
Nel febbraio del 1987, dopo i tentativi del 1982 e del 1984, iniziò l’iter legislativo che il 22 settembre 1988, DPR n. 447 portò alla promulgazione del nuovo codice di procedura penale entrato in vigore il primo gennaio nel 1989.

Diviso in undici libri, è formato da 746 articoli. Il titolo III del terzo libro è interamente dedicato ai mezzi di prova. L’intero capo IV, artt. 266 a 271, disciplina l’istituto delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni. Altri riferimenti legislativi sul tema delle intercettazioni sono contenuti nel 5° comma dell’art. 103, nel comma 3° e 3°-bis dell’art. 295 e negli artt. 89, 90 e 226 disp. att..

Con l’avvento del nuovo c.p.p. è cambiato anche il sistema processuale, passando dal modello prettamente istruttorio a quello accusatorio misto. L’intercettazione, divenuta mezzo di ricerca della prova, è atto di indagine del Pubblico Ministero e non più della Polizia Giudiziaria. Nella fase delle indagini preliminari vi è la presenza di un giudice che si pone a garanzia e controllo delle procedure. Altra importantissima novità rispetto alla precedente normativa fu l’introduzione e la disciplina della captazione tra presenti, prevista dal secondo comma dell’art. 266, solamente quando vi è il sospetto che si stia svolgendo una attività criminosa.
A causa dell’escalation di reati commessi dalla criminalità organizzata, il legislatore emanò il D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 1991, n. 203. Successivamente con l’emanazione del D.L. 20 novembre 1991 n. 367,  convertito con modificazioni in legge 20 gennaio 1992 n. 8,  si istituì la figura del Procuratore Nazionale Antimafia e presso ogni sede di Corte di Appello le Direzioni Distrettuali Antimafia.

Il capo VII del D.L. n. 152 apportò modifiche alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni. Per i reati di criminalità organizzata furono allungati i termini delle operazioni di intercettazione fino a quaranta giorni, per il primo decreto, e fino a venti per ogni eventuale e successiva proroga. Nei casi di urgenza, il P.M. oltre all’emissione del primo decreto, può provvedere direttamente all’emanazione del decreto di proroga, fermo restando per entrambi la convalida del G.I.P. nelle successive 48 ore. Per le fattispecie criminose di cui all’art. 51 commi 3-bis e 3-quater, la norma in deroga all’art. 266 e 267 cpp non vincola per le operazioni di intercettazione inter praesentes il sospetto dello svolgimento dell’attività criminosa.
Con l’avvento dei sistemi informatici e telematici cambiò anche il modo di comunicare e di delinquere. Il legislatore con la Legge n. 547 del 23 dicembre 1993 introdusse infatti modificazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di Cybercrime. L’art. 11 della predetta legge aggiunse nel c.p.p. la fattispecie di cui all’art. 266 bis . che prevede l’intercettazione dei flussi telematici.

3. I principi e le criticità della c.d. riforma Orlando
Nel corso dei successivi anni, in mancanza di evidenti riforme legislative, vi fu un proliferare di prassi giurisprudenziali e dottrinali che supplirono il vuoto del legislatore allargando l’area di discrezionalità del giudice. Le intercettazioni ebbero un nuovo slancio tecnologico e una notevole capacità intrusiva. Ciò sollecitò l’intervento del Garante per Protezione dei dati personali che impose severe prescrizioni alle Procure al fine di salvaguardare la privacy e la sicurezza. Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sottolineò la necessità di una maggiore attenzione alla vita privata del singolo individuo al fine di contrastare le nuove tecnologie della comunicazione che permettono di archiviare e trattare dati personali. Gli uffici requirenti, che dovettero adattarsi alle disposizioni impartite, emanarono al loro interno circolari relative ai criteri direttivi in tema di intercettazioni rilevanti, irrilevanti e inutilizzabili nonché al rilascio di copia e modalità di ascolto ai difensori. Le varie circolari furono di seguito riassunte dal Consiglio Superiore della Magistratura che in data 29 luglio 2017 emanò una delibera sulla ricognizioni e sulle buone prassi in materia di intercettazioni di conversazioni.

…continua su EDICOLeA

 

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