È INAMMISSIBILE LA PROVA TESTIMONIALE PER DIMOSTRARE LA NON ATTENDIBILITÀ DEL CTU

di Pietro Errede

Corte di Cassazione, Sezione III Civile, sentenza n. 8406 dell’11 febbraio 2014 e depositata il 10 aprile 2014

È inammissibile la prova testimoniale volta a dimostrare l’inattendibilità del CTU, venendo in rilievo l’affidabilità personale del consulente soltanto come sintomo della sua carenza di imparzialità, da far valere mediante procedimento di ricusazione.


 

La consulenza tecnica di ufficio ha sempre avuto il ruolo di supporto all’operato del Giudice il quale, seppure per definizione è il “peritus peritorum”, ha spesso necessità di appurare aspetti tecnici ad esempio di tipo medico, meccanico o contabile. In sostanza il CTU viene nominato ogni volta che occorre un approccio scientifico per l’accertamento dei fatti di causa e uno dei suoi requisiti fondamentali è l’imparzialità in quanto strumento al servizio della Giustizia e non mezzo istruttorio nella disponibilità delle parti. Infatti il suo intervento nel processo è nell’esclusiva discrezionalità del Giudice, unico a poterne valutare la necessità.

L’istituto della CTU è specificatamente regolamentato in diversi capi del Codice di Procedura Civile, gli articoli principali vanno dal 61 al 64 e dal 191 al 201. Sono anche intervenute delle modifiche con la Legge n. 69/2009 il cui intento era di snellire l’iter della nomina e dell’attività del consulente d’ufficio, in quanto questa fase istruttoria ha spesso comportato consistenti dilatazioni temporali. Si è così sancito che il provvedimento di ammissione della CTU deve contenere, fra l’altro, oltre all’indicazione del nome del consulente (nella vecchia norma definito “tecnico”) anche la formulazione dei quesiti da sottoporre allo stesso. Ciò consente al consulente, che riceve la notifica del provvedimento, di apprendere prima l’oggetto dell’accertamento e di poter subito valutare la propria competenza e/o eventuali impedimenti per l’accettazione dell’incarico in modo da poter decidere preventivamente di fare istanza di astensione (da potersi depositare fino a tre giorni prima dell’udienza fissata per il giuramento, entro lo stesso termine, le parti possono presentare istanza di ricusazione). All’udienza fissata per il giuramento i quesiti potranno comunque essere modificati o ampliati anche su proposta delle parti, fermo restando che sarà il Giudice in ultima analisi a stabilire se sia opportuno accogliere tali istanze.

Quanto allo svolgimento dell’attività, l’altra novità introdotta nel 2009 è la modifica dell’art. 195 c.p.c. in cui si stabilisce che, prima del deposito della relazione in Cancelleria, l’elaborato deve essere trasmesso dal consulente alla parti costituite entro un termine stabilito dal Giudice il quale fisserà un ulteriore termine entro cui le parti dovranno far pervenire le proprie osservazioni nonché il termine ultimo entro il quale il CTU dovrà depositare l’elaborato in Cancelleria. A questo punto la norma prevede non solo il deposito della relazione ma anche delle suddette osservazioni di parte con una sintetica valutazione del consulente sulle stesse.
In questo modo si è inteso evitare lungaggini di rinvii per esame CTU e successive richieste delle parti di termine per controdeduzioni alle osservazioni del contraddittore. Non avendo però indicato come perentori i suddetti termini, nulla esclude che vengano non rispettati o si utilizzino facili richieste di proroga. Né vi sono modifiche in merito alla facoltà del Giudice di sostituire il consulente, ove ricorrano gravi motivi, oppure di ordinare accertamenti integrativi o una vera e propria rinnovazione delle indagini o anche di sentire a chiarimento il consulente medesimo.
In ogni caso, il Giudice non è vincolato alle risultanze della CTU e in sentenza dovrà motivare comunque l’iter della sua decisione che potrà tenere conto delle conclusioni della consulenza tecnica di ufficio ma dovrà anche valutare le risultanze complessive della causa ivi comprese le osservazioni dei consulenti tecnici di parte e tutte le altre prove ed indizi formatisi nel processo.

Sulla base di questa normativa, con la sentenza n. 8406/2014, la Corte di Cassazione ha dovuto analizzare diversi motivi di ricorso relativi alla validità di una consulenza tecnica d’ufficio in ambito medico per diverse questioni procedurali fra cui, in particolare, il problema delicato dell’imparzialità del consulente e conseguentemente dell’attendibilità del suo operato.
Il fatto scaturisce da una prestazione odontoiatrica nei confronti di una donna, la quale assumendo di aver subito lesioni da tale prestazione citava lo studio medico associato nonché i singoli componenti dinanzi al Tribunale di Rimini avanzando una domanda di risarcimento danni per responsabilità professionale.

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