di Giovanni Nazzaro
Nella realizzazione di progetti rivolti alla collettività al fine di tutelare i suoi diritti o anche solo la sua incolumità, è necessario che alla base ci sia un processo decisionale ed evolutivo che sia trasparente e democratico in tutti i suoi passaggi. Al di là delle leggi e delle norme che in parte già lo impongono, questo approccio dovrebbe essere dettato dal buon senso civico. Al contrario, se alcune dinamiche si chiariscono solo tramite approfondimenti diretti, facendo le domande ai referenti coinvolti e interessati, semmai perché sorgono proprio dubbi e sospetti su possibili illeciti, su possibili preferenze, allora il processo decisionale e gestionale ha certamente difettato di trasparenza e democrazia.
Ancor di più se la prova è fornita dall’attività di un programma di giornalismo investigativo.
Riportando un esempio concreto, l’app Immuni è stata scelta tra 319 soluzioni concorrenti che, almeno sulla carta, avrebbero potuto tracciare tutte la diffusione del Covid-19. Proprio questa selezione avrebbe dovuto far tacere ogni dubbio o polemica al riguardo. Eppure così non è stato.
Le sue origini coincidono con la nascita della task force per l’utilizzo dei dati contro l’emergenza Covid-19 a marzo 2020, in pieno lockdown. Molte task force sono nate durante questo periodo e forse nessuna tramite selezione pubblica, ma solo per chiamata diretta, un modo di fare a cui la politica italiana ci ha abituati soprattutto in periodi nei quali sono assenti emergenze che impongono tempi ristretti per le azioni. Anche il nome sembra essere non coerente, task force indica un’unità di “pronto intervento” che non è la prima idea che associ alla figura del professionista che a casa sua valuta aspetti tecnici e legali di soluzioni già in commercio. Sarebbe stato più corretto chiamarle consulenze o commissioni di studio. Infatti, la task force è costituita da un gruppo di 74 figure con competenze multidisciplinari, scelte in collaborazione con il Ministero della Salute, l’ISS e l’OMS, il cui obiettivo è stato quello di effettuare una ricognizione delle diverse soluzioni tecnologiche data driven, insomma una attività di mappatura, analisi e studio appunto. Le attività della task force sono state organizzate in 8 sottogruppi.
Dal 24 al 26 marzo 2020 sono state raccolte le soluzioni possibili per un contact tracing digitale tramite una fast call for proposals, soluzioni utili a interrompere le catene di trasmissione del contagio di casi di Covid-19. La task force ha poi selezionato l’app Immuni e la società Bending Spoons S.p.A. per la sua realizzazione a titolo gratuito. L’app Immuni è divenuta quindi un progetto gestito dal governo, che si avvale di una licenza perpetua, irrevocabile e senza limitazioni su tutto il codice sorgente, le grafiche, i testi e la documentazione. Per conto del governo, lavorano al progetto le società pubbliche SoGEI S.p.A. e PagoPA S.p.A.
Dopo l’interesse sulla vicenda da parte della trasmissione Report, il Ministero dell’Innovazione ha precisato che l’app è stata selezionata dai sottogruppi n.6 e n.8, il primo ha ristretto la decisione finale su due app: Immuni e CovidApp. Il codice sorgente è stato rilasciato sulla piattaforma Github per essere analizzato da chiunque, ma non è stata pubblicata la parte che raccoglie i dati (back end). Tutto molto chiaro, meno esplicita è stata invece la risposta fornita a Report alla domanda se sapesse il Ministero chi siano i soci finanziatori della società.
L’app Immuni è stata scaricata a fine giugno da 4 milioni di persone, numero che non tiene conto di quanti l’hanno solo provata per curiosità e poi disinstallata, evidente che non è stata ben accolta dagli italiani. Leggendo l’opinione espressa sull’app nei social networks emergono due fronti, coloro che la considerano inutile e quelli che invece non sono affatto preoccupati della privacy, dal momento che condividono quasi tutti i loro dati con i big di Internet. Tuttavia sul piano privacy, occorre ricordare che la valutazione da fare è diversa poiché l’effetto finale è diverso: Google o Apple non busseranno mai alla nostra porta perché abbiamo mangiato in un ristorante o abbiamo percorso una determinata strada.
L’aspetto che ha influito maggiormente sul giudizio espresso dalla maggioranza degli italiani verso l’app Immuni è solo culturale, uno scetticismo generale verso ciò che è nuovo, promosso dalla politica con le sue diverse correnti.
C’è infine come sempre anche un aspetto tecnico, perché ormai usiamo le tecnologie ma non le conosciamo.
La raccolta centralizzata di dati a livello governativo ha spaventato molti. Vale la pena ricordare che nella vicina Svizzera c’è un modello totalmente opposto che invece ha ottenuto un discreto successo: l’app svizzera SwissCovid si avvale di un sistema decentralizzato di registrazione dei dati. Tutte le operazioni sensibili dal punto di vista della privacy vengono conservate direttamente sullo smartphone per un massimo di 14 giorni. Solamente in caso di infezione confermata da un test, le informazioni sono trasferite su un server centrale.
In definitiva, potremmo dire che per l’app Immuni ci sono dinieghi e mancati gradimenti, sottesa la differenza che esiste e l’effetto che produce questo tipo di valutazione quando è rivolta alle persone, che hanno alle spalle una lunga e stimata vita professionale, rispetto ad un software.