Come spesso accade nel nostro paese, purtroppo, per fatti che interessano alla politica non si interviene quasi mai ex ante ma quasi sempre ex post, in pratica in un momento in cui è così evidente che le regole non funzionino più che il rinvio diventa davvero inderogabile. Non che prima non fosse evidente che le stesse regole non funzionassero, ma per logiche di opportunità diciamo che non è “più possibile buttare la palla in tribuna” volendo utilizzare una metafora calcistica utilizzata recentemente sul tema della riforma del Consiglio Superiore della Magistratura e dell’ordinamento giudiziario.
Sembra strano ma, anche in momento storico economicamente disastroso per via del COVID-19, tiene banco ancora una volta il tema della giustizia (non quella con la G maiuscola), perché sempre di giustizia si parla se ci si riferisce alle regole che devono riformare il massimo organo di governo autonomo della magistratura ordinaria. In un precedente editoriale abbiamo già commentato la figura del magistrato e quello che da tale figura, di massimo rispetto, ci aspettiamo. Con l’attuale testo di riforma il magistrato sarà libero di entrare in politica ma non potrà candidarsi nel territorio dove esercitava le sue funzioni di magistrato. Inoltre, perdendo i requisiti di terzietà, non potrà più tornare in magistratura.
Il Guardasigilli ha chiarito che uno degli obiettivi del provvedimento è “scardinare quanto più possibile il sistema creato con le degenerazioni del correntismo”, e sembra come se riprendesse l’opinione, diffusa tra i più, secondo cui andrebbero completamente eliminate le correnti con la conseguenza che i membri del Csm dovranno essere scelti da tutti i magistrati tramite elezioni, presentando il proprio curriculum e le proprie idee, nonché l’opinione secondo cui occorrerebbe separare le correnti dall’elezione tramite un sistema a sorteggio, con la conseguenza che in effetti le correnti non avrebbero più senso e la magistratura così potrebbe essere ancor più indipendente.
Scorrendo il testo del disegno di legge, all’articolo 37 si legge che per accedere a incarichi direttivi il magistrato dovrà essere in ruolo da almeno due anni e la regola non si applicherà a coloro già fuori ruolo. Il passaggio potrebbe essere interpretato come punitivo nei confronti della struttura colpita dal recente scandalo delle nomine per colpa di alcuni singoli esponenti, e che non può essere giustificato come una “scelta di politica legislativa”, perché se fosse davvero il frutto di una “scelta” allora vorrebbe dire che nel processo decisionale sono intervenuti interessi e parametri decisionali. Molto interessante anche l’art. 25 che apre la possibilità anche ad avvocati e professori universitari – con determinati requisiti – di far parte dell’ufficio Studi e documentazione del CSM.
Ci auguriamo che nel processo parlamentare il disegno di legge sarà migliorato. Lo riteniamo, comunque, un primo passo verso la riforma di un sistema cardine nel nostro ordinamento e che non può rimanere disattesa visto quanto di recente accaduto.
A questo punto, visto che di giustizia abbiamo accennato, non possiamo sottacere il recente rapporto di valutazione UE della giustizia (Justice Scoreboard in EU, edition 2020) che permette di ottenere una visione del nostro sistema giudiziario confrontata tramite dati oggettivi con quella degli altri paesi UE. L’obiettivo non è la promozione di un modello perfetto, ma la valutazione dei tre parametri di efficienza, qualità e indipendenza considerati essenziali per tutti i sistemi giudiziari. Il quadro di valutazione prende le mosse dal 2012 principalmente su controversie civili e commerciali, nonché su cause amministrative.
Riallacciandoci al tema precedente, nel 2019 il diritto processuale ha continuato ad essere un’area di particolare attenzione in un gran numero di Stati membri con una quantità significativa di attività legislativa in corso o pianificata. Anche le riforme riguardanti lo status dei giudici e le norme per i pubblici ministeri hanno visto un’elevata attività.
Il carico di lavoro dei sistemi giudiziari nazionali è diminuito nella maggior parte degli Stati membri e rimane al di sotto dei livelli del 2012. L’Italia si colloca nella parte bassa della classifica mentre ai primi posti restano confermati Danimarca e Austria. Positivamente, il nostro paese è penultimo nel numero di cause amministrative. Purtroppo, la nota dolente che conosciamo, viene confermata dalla stima della durata dei procedimenti, dove maggiore è il valore, maggiore è la probabilità che il tribunale impieghi più tempo per raggiungere una decisione. Esclusi Cipro e Malta che sono ai primi posti, subito dopo viene l’Italia. Occorre rilevare che alcuni paesi hanno fornito dal 2012 solo parziali informazioni, come ad esempio sulla durata dei soli processi di primo e secondo grado, oppure nel numero complessivo delle controversie amministrative. Tra questi spiccano la Germania, il Belgio, il Lussembrugo e soprattutto l’Irlanda, meta preferita dai colossi di Internet e scelta anche da Tik Tok per il suo data center europeo. Nel quadro di valutazione del diritto della concorrenza l’Irlanda non viene nemmeno citata oppure nel campo delle campo delle comunicazioni elettroniche i dati che la riguardano sono fermi al 2013. E così potremmo proseguire in altri settori.
L’impatto benefico del buon funzionamento dei sistemi giudiziari nazionali per l’economia è supportato da un’ampia gamma di studi e letteratura accademica. In pratica, sistemi giudiziari efficaci che sostengono lo Stato di diritto sono stati identificati come aventi un impatto economico positivo, quindi, capaci di attrarre investimenti. Inoltre, maggiore è il numero di imprese che considerano il sistema giudiziario come indipendente, maggiore è la prospettiva di un fatturato più alto e di una crescita della produttività. La sensazione allora che si può avere leggendo questo rapporto è la stessa che abbiamo percepito durante l’emergenza CODID-19, quando il numero di contagiati pubblicati dai singoli paesi spesso non teneva conto del numero di tamponi effettuati. In realtà, dal 2012 alcuni paesi della UE adottano la stessa metodologia per attrarre le imprese ad investire nel loro territorio, solo che in questo caso non forniscono le rilevazioni oggettive dello stato di salute della loro giustizia mentre l’Italia, sia pure con i pro ed i contro, a testa alta continua a farlo.
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