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Europa: l’energia della resilienza

di Sacha Mauro De Giovanni

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Di fronte alle avvisaglie di allargamento e alle tattiche di potere che giungono da alcuni leader mondiali – solo per citarne alcuni Xi Jinping, Erdogan e Putin – i capi di governo dei Paesi membri e i leader dell’Ue continuano a interrogarsi per cercare soluzioni quanto più condivise da tutto il blocco continentale. Al di là della retorica, la visione a lungo termine auspicata da più parti può essere racchiusa in alcuni interventi e iniziative dei principali leader europei. Mentre il presidente francese Macron ha invocato a gran voce una maggiore sovranità europea e una maggiore presa di coscienza, il capo degli Affari esteri dell’Ue, Borrell, e la Presidente della Commissione europea, Von der Leyen, hanno espresso una posizione ancora più radicale e incisiva sul nuovo approccio geopolitico alle questioni. La difesa dello stato di diritto e il rafforzamento delle relazioni commerciali – hanno affermato Borrell e Von der Leyen – da sole non bastano se non vengono rinforzate da politiche e investimenti sulla sicurezza, specialmente nelle infrastrutture strategiche. Se da un lato Borrell ha chiesto all’Unione europea di superare le proprie divisioni interne per cominciare a imparare il linguaggio del potere, dall’altro lato Von der Leyen ha parlato di risveglio geopolitico, dopo anni di dannoso immobilismo, per non assistere più debolmente alle trame delle altre superpotenze. Una possibile rinascita dopo decenni di insidie e minacce alla stabilità dell’Ue che sono arrivate e continuano ad arrivare da più fronti: dalle incertezze sull’euro alla Brexit, dalle ondate migratorie alla recente crisi sanitaria internazionale e, di recente, dalle stesse ambizioni geopolitiche e commerciali di alcuni Paesi Ue. Quasi sempre, però, si è fatto ricorso a piani improvvisati per scongiurare i pericoli nell’immediato, mancando una reale consapevolezza e una visione condivisa; l’impreparazione e la paura, poi, hanno portato i Paesi membri a rifugiarsi in politiche di accentramento dei poteri.
Ancora una volta la scarsa reattività con cui si è agito negli anni passati è stata recentemente messa a dura prova da alcuni eventi decisivi per gli equilibri dell’Unione. La presidenza Trump ha interrotto i fili del dialogo e della collaborazione che duravano dalla Pax americana mettendo a dura prova l’alleanza transatlantica. Con la presidenza Biden, invece, la diplomazia statunitense ha impresso un’accelerazione ai negoziati per ricucire i rapporti Usa-Europa allo scopo di rilanciare l’atlantismo in piena crisi, di respingere le prove di forza della Cina e, non ultime, le minacce della Russia. Nel mezzo, le ambizioni geopolitiche dichiarate dal presidente cinese Xi Jinping che continuano a tenere occupati gli Usa in una battaglia per il mantenimento del primato nella politica internazionale, senza esclusione di colpi.
Per farsi attore geopolitico maturo – o Commissione geopolitica per usare le parole di Ursula Von der Leyen – l’Unione deve imparare a decifrare i codici del potere soprattutto se implica l’abbandono del proprio retaggio universalista e oramai anacronistico. Ciò non significa liberarsi del proprio patrimonio identitario e culturale. La combinazione identità/cultura è indispensabile se si vuole arginare fenomeni come l’individualizzazione e la frammentazione, oppure, ancora peg­gio, l’insorgere di pseudo-culture avversative.
La visione di Bruxelles imperniata sul primato dell’economia di mercato, almeno per il momento, non ha funzionato; lo dimostrano gli stravolgimenti provocati dalla crisi energetica. Sul fronte interno, invece, la governance dell’Ue deve fare i conti con la capacità democratica delle sue istituzioni, non tanto perché il funzionamento dei suoi organismi sia carente sotto questo punto di vista, quanto più perché i leader europei non sono stati concordi sull’efficacia dei primi pacchetti di misure per affrontare la crisi energetica. Tuttavia, hanno condiviso all’unisono l’analisi sulle linee di azione fondamentali per contrastarla: ridurre la domanda, garantire la stabilità dei prezzi dell’energia alle famiglie e alle imprese e rafforzare la sicurezza delle infrastrutture di approvvigionamento. Nel Consiglio europeo del 20 e del 21 ottobre i leader dell’Unione hanno discusso e concordato di agire riguardo alla crisi russo-ucraina con iniziative tese ad arginare l’impatto sul mercato dell’energia, più in generale sull’economia dell’Europa e, di recente, sulla sicurezza alimentare. L’escalation dell’aggressione russa – a seguito di attacchi indiscriminati sferrati con droni e missili contro le infrastrutture civili nella capitale Kiev e in altre città ucraine – ha provocato la reazione dei leader europei, preoccupati per le conseguenze sulla sicurezza. L’ennesima incursione da parte di Mosca nei pressi della centrale nucleare attiva di Zaporizhzhia e l’uso di droni Shahad-136 di fabbricazione iraniana hanno risvegliato l’unitarietà dell’Ue che non si è solo limitata a invocare il proprio sostegno all’Agenzia internazionale per l’energia atomica per la protezione di questa tipologia di impianti, ma ha ribadito la propria ferma condanna e il rifiuto, perfettamente in linea con la risoluzione delle Nazioni Unite, dell’annessione delle regioni di Luhansk, Donetsk, Kherson e Zaporizhzhia.
La guerra in Ucraina ha evidenziato tutte le fragilità dell’Ue, ma al contempo ha riacceso il tema della sovranità, della difesa e della sicurezza degli Stati, specie in riferimento alle loro infrastrutture civili, determinando una presa di posizione da parte di tutti i Paesi membri che, superate le prime indecisioni, hanno trovato una direzione comune. In quest’ottica l’invasione russa e le minacce di Mosca sulle limitazioni alle forniture energetiche hanno convinto ancora di più i leader europei a diversificare le fonti (RePowerEu), ma soprattutto a garantire la sicurezza degli impianti già in funzione e a investire in nuove infrastrutture strategiche. Se nel primo caso la partita si giocherà nel lungo periodo, nelle altre due fattispecie occorrono scelte veloci e pragmatiche, non più ideologiche; tuttavia, il braccio di ferro energetico in atto tra Bruxelles e Mosca svela le radici geopolitiche della contesa tra i Paesi occidentali e la Russia. Recentemente, l’atto deliberato di sabotaggio dell’infrastruttura europea Nord Stream 1 – come l’ha definito Ursula von Der Leyen il 27 settembre 2022 – porterà delle conseguenze, dal momento che i danni ai gasdotti e l’interruzione dei flussi hanno causato l’impennata dei prezzi del gas. L’ulteriore causa della fibrillazione dei mercati è stata causata dal blocco dei lavori del Nord Stream 2, sin dai primi esordi delle ostilità tra la Russia e l’Ucraina.
La sicurezza degli impianti e delle infrastrutture energetiche resta uno dei dossier sul tavolo dell’Ue che, per quanto si voglia esorcizzare lo spettro del ricorso all’atomica nel conflitto, richiede una maggiore resilienza da parte dei Paesi membri – ha più volte ricordato Von der Leyen – sia in termini di accelerazione verso l’indipendenza energetica sia sul piano della protezione e controllo degli apparati infrastrutturali: preparazione, stress test sulle infrastrutture critiche, addestramento delle protezioni civili degli Stati nelle ipotesi di interruzione delle forniture energetiche, sorveglianza satellitare e rafforzamento della cooperazione internazionale (Nato, Stati Uniti).
Tale visione appare indispensabile se si considera l’altro aspetto fondamentale della questione, ossia la sicurezza delle nuove infrastrutture strategiche. Il rischio di transito è stato al centro delle valutazioni in fase di progettazione dell’EastMed-Poseidon Pipeline, un Progetto d’Interesse Comunitario dal 2013 giunto al termine di un lungo iter autorizzatorio e ingegneristico (si concluderà entro il 2022), peraltro inserito nel piano RePowerEu, con entrata in funzione prevista per il 2027. In linea con la transizione energetica la costruzione della nuova infrastruttura consentirà di ampliare il ventaglio delle fonti energetiche mediante il trasporto di idrogeno, oltre al gas.
La competizione globale sull’energia sta ridisegnando gli equilibri geopolitici nel continente euroasiatico che, tra non molto, dovrà riassorbire le quote di produzione di energia russa ricusate dall’Ue, compreso gli scossoni che ne deriveranno.
Il successo o il fallimento dei piani strategici degli Stati dipenderà dalla loro capacità di stabilire interconnessioni di lungo periodo in cui la difesa e la sicurezza delle infrastrutture energetiche, non più solo reti geografiche di installazioni, costituiranno veri propri asset politico-economici.

 

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