Il fattore tempo nella valutazione di rilevanza delle intercettazioni ed oneri a carico della Polizia Giudiziaria nella prospettiva di riforma

di Giuseppe Anzalone

Atti dell’Incontro-Studio “Nuova disciplina delle intercettazioni: tutela della privacy ed incisività dell’azione giudiziaria” organizzato dalla Procura di Cassino e dalla rivista “Sicurezza e Giustizia” il 13 aprile 2018 presso l’Abbazia di Montecassino.


 

Calato il vento che ha agitato il dibattito mediatico nei mesi che hanno preceduto la pubblicazione del Decreto Legislativo n.216 del 29 dicembre 2017, caratterizzato dal paventato timore di una posizione di “strapotere” della Polizia Giudiziaria in relazione alla valutazione sulla rilevanza o meno delle conversazioni o comunicazioni oggetto di intercettazioni, rimane per converso aperta una necessaria riflessione sugli effetti che tale riforma produrrà nelle prassi operative e nei rapporti tra Pubblico Ministero e Polizia Giudiziaria, per l’indubbio trasferimento di ulteriori oneri a carico degli organi investigativi ed il rischio, concreto, che l’insorgere di nuovi adempimenti possa produrre l’effetto, questo si negativo, di un rallentamento e di un abbassamento qualitativo delle operazioni d’indagine.

E’ utile, in via preliminare, osservare che la valutazione del materiale informativo acquisibile mediante le attività di intercettazione deve essere effettuata in chiave dinamica e non statica, come per converso la riforma sembrerebbe alludere.
Il tema centrale del presente intervento risiede nel segmento delle attività di indagine che verrà disciplinato attraverso le modifiche introdotte al comma 4 dell’art.267 c.p.p. e con l’introduzione dei nuovi commi 2 bis e 2 ter dell’art.268 c.p.p.
L’incidenza del tempo nella fase delle indagini è strutturale e costituisce, spesso, il fattore determinante per il buon esito delle attività: procedimentalizzare con forme piuttosto rigide le operazioni connesse ai servizi di intercettazione potrebbe richiedere un impiego dispendioso di energie che vengono sottratte alla delicata fase della costruzione degli elementi di prova. Esiste il rischio concreto che proprio il tempo diventi il più grande nemico degli operatori dell’indagine penale.

Come vedremo, gli elementi di innovazione introdotti nelle modalità di comunicazione al P.M. degli esiti delle attività di intercettazione inducono a ragionare sulla funzione e sull’utilità stessa del c.d. verbale delle operazioni.

In effetti, il decreto legislativo, intervenendo anche sulle fasi processuali, abrogando in particolare la c.d. udienza stralcio, disciplina le nuove modalità di deposito degli atti riguardanti le intercettazioni e la selezione del materiale raccolto con una procedura “bifasica” per costituire il fascicolo, con l’acquisizione, nel contradditorio delle parti, solo delle conversazioni ritenute rilevanti ed utilizzabili e stralciare, con la loro collocazione nel c.d. archivio riservato, delle conversazioni ritenute irrilevanti od inutilizzabili.
In tal modo, nel fascicolo non fa immediato accesso tutto il materiale delle intercettazioni, ma soltanto quello ritenuto rilevante ed utilizzabile. Tuttavia, il raggiungimento di tale obiettivo, certamente apprezzabile per lo sforzo di introdurre forme di maggiore tutela della riservatezza, potrebbe determinare un aumento del carico di lavoro della Polizia Giudiziaria nella fase delle indagini, con possibili effetti pregiudizievoli.
L’equilibrato rapporto tra l’esigenza di tutelare la riservatezza dei dati personali e la raccolta, il trattamento e l’utilizzazione di essi per fini d’indagine costituisce la linea di demarcazione tra il necessario presidio di civiltà sulle libertà fondamentali della persona ed il dovere di non far arretrare il sistema del contrasto alla criminalità in tutte le sue manifestazioni.
Il tema della riservatezza ha assunto una dimensione di grande rilevanza, soprattutto se teniamo conto di quanto i dati informatici ed elettronici siano di fondamentale importanza per il nostro Paese nelle attività di contrasto alla criminalità ed al terrorismo.
In materia di conservazione dei dati, nel 2008, con Decreto Legislativo n.108, è stata recepita la Direttiva europea 2006/24/CE, in base alla quale è stato possibile modificare l’art.132 del Codice della Privacy, estendendo il periodo di conservazione dei dati a 24 mesi.

In realtà, ad oggi, per effetto dell’art.24 della Legge n.167 del 20 novembre 2017, è stata prevista l’estensione fino a 72 mesi del termine di conservazione dei dati del traffico telefonico e telematico, nonché dei dati relativi alle chiamate senza risposta, al fine di garantire strumenti di indagini efficaci a fronte delle esigenze straordinarie di contrasto al fenomeno del terrorismo, anche internazionale. Tuttavia, nel 2015, per iniziativa di un cittadino austriaco, è intervenuta la Corte di Giustizia europea con la Sentenza Digital Rights che ha dichiarato invalida la Direttiva 2006/24/CE, poiché non conforme agli artt. 7, 8 e 52 della Carta Europea dei Diritti.
Successivamente, nel 2016, la Corte di Giustizia europea è intervenuta nuovamente con la Sentenza Tele 2 per affermare che la conservazione generalizzata ed indifferenziata dei dati è contraria alla normativa europea e che tale principio deve trovare applicazione negli Stati membri. Quindi, anche l’Italia, ove il problema non è ancora emerso sul piano giudiziale, dovrà trovare una soluzione normativa che tenga conto di questi principi, contemperando l’esigenza fondamentale di un accesso ai tabulati telefonici ed a tutte le comunicazioni elettroniche ed informatiche.

In questo momento, il gruppo di lavoro DAPIX – DATA RETENTION sta cercando, all’interno dell’Unione Europea, di individuare una posizione condivisa che miri ad una conservazione “ristretta”, mediante l’individuazione di talune tipologie di dati che possano essere escluse dalla conservazione in quanto ritenute irrilevanti ai fini delle indagini e, per altro verso, che in fase di accesso sia previsto un ulteriore vaglio dell’Autorità giudiziaria che delimiti le tipologie di dati da utilizzare.
Per tale ragione, sono stati previsti due seminari, organizzati da Europol, che prevedono la partecipazione di esperti investigatori per ciascun Stato Membro che, con la propria esperienza, si confrontino su tali tematiche ed, in particolare, sulla elaborazione di una matrice che contenga la distinzione tra dati ritenuti rilevanti e dati irrilevanti, da sottoporre all’attenzione della Commissione europea.
In tale cornice normativa deve essere collocato anche il recentissimo Decreto del Presidente della Repubblica n.15 del 15 gennaio 2018 che ha disposto il “Regolamento a norma dell’art.57 del D. Lgs. 30 giugno 2003 n.196, recante l’individuazione delle modalità di attuazione dei principi del Codice in materia di protezione dei dati personali relativamente al trattamento dei dati effettuato, per finalità di polizia, da organi, uffici e comandi di polizia”. La pubblicazione, in tempi recenti, di fatti e circostanze provenienti da materiale d’indagine, spesso non rilevante, ma interessante per la cronaca, sia essa giudiziaria o politica, ha certamente innescato un meccanismo di accelerazione sulla necessità di interventi legislativi in materia, auspicati da tempo, per disciplinare con maggiore rigore il rischio di far trapelare e divulgare informazioni che violano il diritto alla riservatezza.
Tuttavia, al di là di ogni possibile soluzione normativa volta a contenere il fenomeno, la divulgazione di informazioni provenienti da attività di indagine costituisce sempre un momento patologico che proviene da condotte illecite, che possono essere poste in essere anche in presenza di norme processuali volte a prevenirne od arginarne il verificarsi.

Già nel 1973, la Corte Costituzionale, con la sentenza n.34, evidenziando la necessità di trovare un punto di equilibrio tra la tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni e l’esigenza della prevenzione e repressione dei reati, entrambi beni giuridici di rango costituzionale, si era soffermata sull’opportunità di prevedere un sistema che consentisse l’eliminazione del materiale non pertinente “.. in base al principio secondo cui non può essere acquisito agli atti se non il materiale probatorio rilevante per il giudizio”.
Le conversazioni o comunicazioni che ricadono nell’alveo generale della cornice normativa della riforma sono attinenti alle intercettazioni irrilevanti ed inutilizzabili, vale a dire quelle contenenti dati sensibili, dei difensori o di altri depositari di segreto professionale, ai sensi dell’art.200 c.p.p., di parlamentari, ed infine di quelle intercorrenti per motivi di servizio, ai sensi dell’art.270 bis c.p.p., con soggetti appartenenti al Dipartimento ed a Servizi di Informazione per la Sicurezza.

Per tornare ai giorni nostri, a partire dal 2015, numerose Procure della Repubblica hanno adottato delle circolari in materia di trattamento dei dati personali provenienti da attività di intercettazioni, dettando le linee di prassi operative per la polizia giudiziaria, sul solco di quanto previsto dall’art.268 c.p.p., in ordine alle conversazioni non rilevanti o inutilizzabili.
In sintesi, i principi ricavabili dalle varie circolari possono così sintetizzarsi:

Con delibera del 29 luglio 2016 il Consiglio Superiore della Magistratura ha svolto un monitoraggio sulle circolari e sulle direttive che le Procure della Repubblica hanno adottato sul tema delle intercettazioni in relazione alla tutela della riservatezza dei dati personali, con l’obiettivo di impedire l’indebita diffusione di conversazioni non rilevanti, attesa la necessità di individuare il necessario bilanciamento tra importanti principi, tutti di rango costituzionale, quali il diritto alla difesa, il giusto processo ed il diritto-dovere dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Affermata la posizione di assoluta centralità del Pubblico Ministero in ordine alla direzione delle indagini, sia nel quadro delle norme processuali attualmente in vigore, sia di quelle che entreranno in vigore per effetto del decreto legislativo di riforma, una questione di preminente interesse, connessa alla necessità di introdurre nuove prassi investigative, è rappresentata dagli indiscutibili effetti che si determineranno nel rapporto tra i tempi dell’indagine ed il necessario giudizio di rilevanza che il titolare delle indagini dovrà esprimere sulle conversazioni sottoposte alla sua attenzione.

Il tema sviluppato nella citata risoluzione del C.S.M., nonché il contenuto delle circolari delle varie Procure della Repubblica richiamate, sembra costituire un’anticipazione di quanto previsto dalla legge delega n.103 del 23 giugno 2017, ai sensi dell’art.1 comma 82, 83 e 84, lettere a), b), c), d) ed e), e ci consente di porre in evidenza, tuttavia, talune osservazioni, con particolare riferimento agli effetti sulle indagini delle norme contenute nel testo del Decreto Legislativo n.216 del 29 dicembre 2017, provvedimento che, una volta entrato in vigore, determinerà l’insorgere di specifici adempimenti a carico della Polizia Giudiziaria, qualificabili come veri e propri oneri che potrebbero avere un’incidenza negativa sia sul piano della progressione delle indagini che del rischio della perdita irreversibile di dati.

Da una sommaria ricognizione delle circolari adottate da talune Procure della Repubblica in epoca successiva alla menzionata delibera del Consiglio Superiore della Magistratura, emerge la condivisione di un analogo protocollo di lavoro e di buone prassi in materia di tutela della riservatezza dei dati emergenti dalle intercettazioni.
In estrema sintesi, si ritiene che i vari protocolli di lavoro sinora adottati attraverso le descritte circolari, tenendo conto dell’attuale disciplina processuale in materia di utilizzabilità delle intercettazioni e loro acquisizione al fascicolo del P.M. e conseguente conservazione, in particolare con riferimento alle intercettazioni irrilevanti, di conversazioni contenenti dati sensibili, di conversazioni dei difensori e di altri soggetti garantiti, di parlamentari, di conversazioni di servizio previste dall’art.270 bis c.p.p., costituiscano un apprezzabile punto d’incontro tra la necessità di garantire la non dispersione degli elementi di prova e quella di impedire la illegittima divulgazione di conversazioni non rilevanti o inutilizzabili o contenenti dati sensibili e, non ultima, per ciò che attiene al peculiare compito della polizia giudiziaria, la necessità di dare agli organi investigativi le opportune direttive che consentano di soddisfare le menzionate esigenze senza determinare ulteriori carichi di lavoro.
In ordine ai compiti della Polizia Giudiziaria, le norme del decreto legislativo n.216/2017, nella prospettiva della loro futura applicazione, sollecitano alcuni interrogativi che traggono origine da dubbi interpretativi.

Con riferimento all’art.2, punti a) e c) del decreto legislativo, in ordine alle modificazioni da apportare all’art.103, comma 7 ( a) all’art.103, comma 7, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Fermo il divieto di utilizzazione di cui al primo periodo, quando le comunicazioni e conversazioni sono comunque intercettate, il loro contenuto non può essere trascritto, neanche sommariamente, e nel verbale delle operazioni sono indicate soltanto la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta.») ed all’art.267, comma 4 del codice di procedura penale ( c) all’articolo 267, comma 4, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «L’ufficiale di polizia giudiziaria provvede a norma dell’art.268, comma 2-bis, informando preventivamente il pubblico ministero con annotazione sui contenuti delle comunicazioni e conversazioni.»), si rileva che non consentire di riportare nel verbale delle operazioni almeno l’indicazione dei nomi degli interlocutori determina la conseguenza, forse anche irreversibile, di non poter recuperare i dati investigativi contenuti in quelle conversazioni nel momento in cui, come sovente accade, anche a distanza di anni, esse diventano rilevanti nell’ambito dello stesso procedimento penale o di altre indagini, e ciò sia sotto il profilo delle esigenze dell’accusa che a garanzia della difesa.
A ciò si aggiunga che, come risulta possibile leggere in varie circolari delle Procure della Repubblica sul tema, nonché nella cennata delibera del Consiglio Superiore della Magistratura, emerge chiaro che viene considerata una buona prassi assicurare che “… quanto meno in termini sommari, gli elementi essenziali delle captazioni in oggetto siano riportate nel brogliaccio, con riferimento ai dati estrinseci della conversazione (indicazioni sull’identità dei conversanti, sull’orario e sull’oggetto del colloquio)”.

Con riferimento al punto c), che prevede la modifica dell’art.267, comma 4 nella parte in cui “L’ufficiale di polizia giudiziaria provvede a norma dell’art.268, comma 2 bis, informando preventivamente il pubblico ministero con annotazione sui contenuti delle comunicazioni e conversazioni.”, giuridicamente legato al precedente punto a), ed al punto d), che prevede l’introduzione del comma 2 bis all’art.268 c.p.p, devono porsi ulteriori osservazioni, così schematicamente evidenziate:

Il riferimento, di indubbia chiarezza interpretativa, all’obbligo incombente sull’ufficiale di polizia giudiziaria di informare “preventivamente” il pubblico ministero con annotazione, evidenzia che la conversazione su cui si ritiene debba essere condotta una valutazione di rilevanza, colloca tale attività in un periodo cronologicamente ben definito, vale a dire a partire dalla registrazione della conversazione e prima che di essa vengano riportati i dati completi nel c.d. brogliaccio; tale norma, sul piano dei rapporti tra organi investigativi e Pubblico Ministero, determina un forte aggravio di lavoro, sia per gli organi investigativi che per il P.M., dato dalla moltiplicazione esponenziale di note informative contenenti i dati delle conversazioni da rimettere alla valutazione del P.M. e dalla conseguente necessità di svolgere pressocché diuturni incontri, con un conseguente, notevole rallentamento delle attività di indagine; ciò ove si tenga anche conto che sia i magistrati che gli organi investigativi svolgono più indagini contestualmente;

Nella Relazione Illustrativa allo schema di decreto legislativo è correttamente argomentato che l’ufficiale di polizia giudiziaria è un mero delegato all’ascolto e, pertanto, il Pubblico Ministero organo delegante, avendo il dovere di non trascrivere nei c.d. brogliacci le conversazioni irrilevanti o inutilizzabili, può dettare le opportune istruzioni e direttive al delegato, per concretizzare l’obbligo di informazione preliminare sui contenuti delle conversazioni di cui possa apparire dubbia la rilevanza; rimane, tuttavia, al di là della prevedibile adozione in ciascuna Procura di disposizioni esplicative, il rilievo di un incremento non facilmente prevedibile e quantificabile della trasmissione delle annotazioni al titolare delle indagini; basti por mente alla circostanza che, sinora, le conversazioni ritenute irrilevanti, rimanendo nel brogliaccio, non hanno impegnato il personale nella trascrizione, limitandosi a riportare i dati salienti degli interlocutori e l’estrema sintesi del contenuto o, come richiesto da talune Procure, mere diciture (conversazione non rilevante, non utilizzabile, etc.); basti por mente alla circostanza che un solo servizio di intercettazione può determinare la registrazione di decine di migliaia di conversazioni;

Domande: l’annotazione deve riportare il testo integrale della conversazione o solo la sintesi? Deve essere redatta al momento in cui si registra la conversazione o anche al termine delle indagini, quando il giudizio di rilevanza può essere corroborato da un patrimonio informativo più completo? Le annotazioni rimarranno al fascicolo del P.M.? Se si, non si perpetua il rischio di diffusione di informazioni non rilevanti o non utilizzabili che il decreto legislativo di riforma vorrebbe superare? Se no, dove si conservano le annotazioni di conversazioni ritenute irrilevanti?

I dati irrilevanti o inutilizzabili possono essere contenuti all’interno di una conversazione rilevante sul piano probatorio. In questo caso oltre all’omissione della parte irrilevante o inutilizzabile nella trascrizione, si pone anche un problema tecnico di eliminazione della parte audio di conversazione non rilevante o inutilizzabile;

La dilatazione inevitabile dei tempi necessari alla redazione di annotazioni ed ai relativi giudizi di rilevanza, che devono avvenire in occasione di diretti incontri con il P.M., può determinare un nocivo rallentamento delle indagini;

L’obbligo di informazione preventiva può determinare un’erronea valutazione sulla rilevanza di una captazione che, invece, va compiuta in una fase avanzata delle indagini o addirittura alla sua conclusione, quando il quadro investigativo è più completo.
All’art.2, comma 1, lettera d) si legge:

d) all’art.268:
1)dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti: «2-bis. E’ vietata la trascrizione, anche sommaria, delle comunicazioni o conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini, sia per l’oggetto che per i soggetti coinvolti, nonché di quelle, parimenti non rilevanti, che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge. Nel verbale delle operazioni sono indicate, in tali casi, soltanto la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta.
2-ter. Il pubblico ministero, con decreto motivato, può disporre che le comunicazioni e conversazioni di cui al comma 2 bis siano trascritte nel verbale quando ne ritiene la rilevanza per i fatti oggetto di prova. Può altresì disporre la trascrizione nel verbale, se necessarie ai fini di prova, delle comunicazioni e conversazioni relative dati personali definiti sensibili dalla legge.»

L’art.268, comma 6 c.p.p., norma attualmente in vigore, soggetta ad abrogazione unitamente ai commi 5, 7 ed 8 secondo il punto d) dell’art.2 del decreto, prevede l’acquisizione delle conversazioni “…che non appaiano manifestamente irrilevanti …”. L’avverbio sottolineato consente l’introduzione di quelle conversazioni che, per converso, secondo il decreto non potranno comunque essere acquisite e che, eventualmente, potranno trovare ingresso nel fascicolo del P.M. soltanto con suo decreto motivato.

L’inserimento nel verbale delle operazioni soltanto della data, ora e dispositivo determina la perdita, forse anche irreversibile, di conversazioni che, ritenute irrilevanti in quel procedimento, possono diventare utili in altri procedimenti, in un momento cronologicamente distante. Come trovare tali conversazioni se non sarà possibile neppure indicare i dati anagrafici essenziali degli interlocutori?

Gli operatori di polizia giudiziaria, delegati all’ascolto delle conversazioni oggetto di intercettazione da parte del P.M., potrebbero attribuire rilevanza a talune di esse provvedendo, erroneamente ma nel convincimento di procedere nell’adempimento di un proprio dovere, alla trascrizione nel verbale delle operazioni del loro contenuto incorrendo nella violazione di un espresso divieto.

Ai sensi dell’art.268 c.p.p. comma 2 ter, il Pubblico Ministero, con decreto motivato, può disporre la trascrizione delle comunicazioni e conversazioni di cui al comma 2 bis, ove ne riconosca la rilevanza in ordine ai fatti oggetto di prova, e anche di quelle relative a dati personali definiti sensibili dalla legge se lo ritenga, oltre che rilevanti, necessarie sempre ai fini di prova.
Come si ricava dalla Relazione Illustrativa allo schema di decreto legislativo, nel rispetto di quanto testualmente richiesto dall’art.84 lettera a) n.5 dell’art.1 della legge 103/2017, può essere recuperato, con provvedimento motivato, il materiale raccolto, comunque custodito in archivio riservato, se effettivamente funzionale alla prova. Ove si tratti di dati sensibili, essi possono essere recuperati solo se anche “necessari” ai fini di prova: “ciò vuol dire che, di regola, i dati sensibili emergenti dalle comunicazioni intercettate sono destinati a rimanere del tutto riservati, quando non sia possibile stabilire un nesso essenziale tra la loro conoscenza e l’attività probatoria”.

Nella menzionata Relazione Illustrativa è espressamente indicato che così è stato inteso dare attuazione alla legge delega.
Tuttavia, sul piano più squisitamente operativo, ove il Pubblico Ministero intenda recuperare tali dati per fini di prova che, evidentemente, siano sopraggiunti in un momento successivo ad un primo giudizio di irrilevanza, come sarà possibile recuperare dall’archivio riservato le conversazioni o comunicazioni di cui è rimasto soltanto il riferimento della data, ora e dispositivo autorizzativo?

E’ possibile prevedere che la Polizia Giudiziaria, solo ai fini della possibilità di recuperare le conversazioni, si crei una raccolta delle annotazioni o altro strumento di gestione di informazioni a tale scopo?

Il Decreto Legislativo di riforma sollecita, per gli aspetti cui si è fatto cenno, la individuazione di soluzioni applicative, con l’adozione di circolari dispositive ed esplicative, che consentano di disciplinare nuove prassi operative per la Polizia Giudiziaria, con lo scopo di raggiungere almeno due obiettivi: individuare un criterio di contemperamento tra i nuovi oneri a carico degli investigatori ed i tempi dell’indagine e salvaguardare, nel rispetto delle nuove norme, un patrimonio informativo che, anche a posteriori, nella medesima o in successive indagini consenta di attingere importanti elementi di cognizione o di riscontro, sia nell’interesse dell’accusa che della difesa. ©

 

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