di Susanna Casacchia, Piero Del Prete, Caterina Petrini, Mariella Terzoli
Il libro, nato con l’invenzione della scrittura, è stato per millenni l’unico mezzo di comunicazione sicuro a distanza, avente un ruolo centrale nello sviluppo della civiltà umana. Eppure, oggi il libro nel mondo in cui viviamo, almeno nella sua fisicità, sta avendo un ruolo sempre più marginale nella vita di tutti noi (ovviamente le eccezioni a quest’ultimo assioma sono sempre presenti, fortunatamente); il libro, infatti, è stato affiancato dalle sue versioni digitali (come l’e-book). Compito di questo contributo è quello di riflettere intorno a vari aspetti aventi come centro propulsore il libro, per cercare di ridare, seppure in minima parte, dignità ad un oggetto che è stato e continua ad essere un veicolo importantissimo del sapere. È nostra ferma convinzione che conoscere le sue sfumature e il contesto storico/culturale nel quale è nato permette di avere più consapevolezza della sua importanza e più familiarità nei confronti di strutture bibliotecarie che non sono altro che patrimoni preziosi da conservare. In questo senso, particolarmente importante si rivela la conoscenza del percorso che i materiali, librari e non, seguono prima di entrare in una biblioteca, vale a dire la loro origine e la loro eventuale appartenenza a un fondo testimoniata, come vedremo nel corso di questo lavoro, da vari elementi come il registro di ingresso cartaceo ma sempre più frequentemente elettronico e il catalogo cartaceo ma soprattutto online.
Il seguente articolo è frutto della cooperazione tra vari autori: il Dott. Del Prete è l’autore del primo paragrafo e delle conclusioni, le Dott.sse Casacchia e Terzoli dell’introduzione e del secondo paragrafo mentre la Dott.ssa Petrini del terzo
1. Il libro antico
Con la stampa a caratteri mobili e il primo libro stampato da Gutenberg intorno al 1455, viene realizzata un’invenzione che rivoluziona il modo di comunicare tra gli uomini. In questo periodo si assiste a una lenta, ma graduale circolazione degli scritti e della cultura umanistica sotto la forma del “libro antico”. Tale oggetto è stato definito così solo per comodità, ma si tratta di una definizione che va chiarita accuratamente. Innanzitutto, quando si adotta il termine “libro antico” si intende libro a stampa antico, dove “a stampa” esclude tutto il precedente, ovvero il libro (codice o rotolo) manoscritto, mentre con “antico” si intende l’oggetto prodotto manualmente, senza l’intervento meccanico nella sua creazione. Tale formulazione, quindi, individua una categoria di oggetti che si qualificano essenzialmente mediante una tecnica messa a punto in Europa nel XV secolo. Dare una definizione puramente cronologica non è sufficiente; il trapasso da una tecnica ad un’altra non è avvenuto in maniera contemporanea. Si è passati prima dalla copia manuale alla stampa e, successivamente, dalla stampa manuale a quella meccanica. Si tratta in entrambi i casi di un passaggio fluido, con un lungo periodo di tempo entro il quale entrambe le tecniche hanno coesistito. Mediante la composizione manuale i caratteri venivano a formare le parole, righe e pagine di testo: cioè, una forma pronta per la stampa.
Fatte queste doverose premesse per “libro antico” si può genericamente intendere quello prodotto dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili, intorno agli anni quaranta del Quattrocento, da Johannes Von Gutemberg che mise a punto una tecnica per scrivere artificialmente libri in più copie e fino ai primi decenni dell’Ottocento, quando la macchina continua per la produzione della carta, la macchina piana da stampa, la rotativa e la monotype trasformarono la produzione del libro in un processo quasi esclusivamente meccanico. Il primo impiego commerciale di un torchio meccanico risale alla notte fra il 28 ed il 29 novembre del 1814 per la stampa del quotidiano londinese The Times. L’uso della produzione meccanica, iniziata per la stampa dei giornali, solo lentamente si estese anche alla produzione di libri. La prima macchina stampatrice importata in Italia cominciò a funzionare a Torino nell’officina di Giuseppe Pomba nel 1830, ma ancora nel 1850, a parte Torino, l’industria tipografica italiana era essenzialmente un’attività artigianale. Così, per ben quattro secoli, i libri si stamparono a mano, e con procedimenti quasi inalterati, tale era la perfezione dei mezzi di produzione raggiunta nei primi decenni della storia della tipografia. All’interno di questi quattro secoli gli studiosi, sempre per comodità, hanno operato ulteriori distinzioni: la prima, e più importante, è quella tra gli incunaboli e tutto il resto dei libri. Nel momento in cui comparvero i primi incunaboli la carta veniva confezionata da stracci di tela tritati e fermentati all’interno di un mulino ad acqua e ridotti in una sorta di pasta. Con il passare del tempo la categoria del libro antico si è allargata sempre di più sino a comprendere manufatti librari prodotti con altre modalità comparsi in epoca più tarda. Ulteriori distinzioni (cinquecentine, seicentine ecc.) nascono più per comodità di definizione che da un vero effettivo rapporto con l’oggetto, giacché non ci sono sostanziali mutamenti nel processo di produzione che rimane invariato, come osservato precedentemente, per quasi quattrocento anni; è il caso delle cinquecentine e seicentine che prendono il loro nome dal secolo in cui sono state create. Presto si arriverà a identificare come libri antichi quelli con caratteri tipografici immediatamente precedenti alla fotoriproduzione.
Un importante ambito di riflessione metodologica relativa al libro antico, manoscritto e a stampa comincia ad assumere un significativo interesse attraverso le iniziative finora realizzate. Gli innumerevoli progetti internazionali, volti alla valorizzazione delle collezioni storiche e speciali di prestigiose biblioteche europee, sono parte di una strategia condivisa che cerca di ricostruire attraverso i patrimoni culturali una comune memoria storica nel rispetto delle diverse etnie e delle differenze religiose e linguistiche. Alcuni di questi progetti mirano ad un accesso integrato alle testimonianze documentali di un immenso patrimonio di beni culturali. Le quantità e varietà di iniziative di digitalizzazione forniscono alla comunità dei lettori e degli studiosi la piena disponibilità di documenti finora inaccessibili e rendono possibile la loro fruizione senza che luogo di conservazione e luogo di lettura coincidano necessariamente. Alcuni segnali di questa digitalizzazione in atto provengono dai fondi della Biblioteca Apostolica Vaticana, dalla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze e dalle biblioteche tedesche che arricchiscono le informazioni catalografiche con un gruppo di metadati utili ad aggregare quanti più dati possibili in un complesso e articolato sistema di relazione fra le stesse in campo descrittivo e semantico.
2. Il libro moderno e le rivoluzioni della lettura
Come già accennato nel paragrafo precedente, l’Ottocento rappresenta un vero e proprio spartiacque tra il libro antico e quello moderno: in questo secolo, infatti, la struttura del libro moderno muta gradualmente. La parte esterna vede la coperta, il dorso, i tagli, le carte di guardia, la sovraccoperta con alette e la fascetta, mentre quella interna il frontespizio, il Colophon (la formula alla fine del libro che contiene alcune notizie che si riferiscono al libro, come il nome dello stampatore e la data di stampa) e l’occhietto. Malgrado questi mutamenti, molte caratteristiche del libro moderno hanno precedenti diretti nel libro antico: l’idea e il nome della collana editoriale risalgono al XVI secolo, l’uso delle segnature, l’idea di anteporre a un testo classico una prefazione critica. Per quanto riguarda la catalogazione del libro moderno a livello della copia, essa prevede la timbratura, la collocazione, l’assegnazione del numero di ingresso o di inventario; per la catalogazione a livello bibliografico invece sono previste delle regole specifiche che distribuiscono la descrizione bibliografica in nove aree di pertinenza.
Al di là di tali considerazioni tecniche, che potrebbero apparire familiari per lo più agli specialisti del settore, per comprendere l’essenza del libro moderno (e anche del libro antico), occorre soffermarsi non solo sulla sua descrizione fisica ma anche sulle ricadute che il passaggio dal libro antico a moderno ha avuto sulle pratiche di lettura nel mondo occidentale. Secondo lo storico Roger Chartier, tra il XVI e il XIX secolo, quest’ultime sono state profondamente influenzate dagli eventi storici, che si riflettono nell’attività editoriale, nel commercio e nel mercato del libro. Queste cesure storiche sono accompagnate da tre rivoluzioni della lettura: la prima, avvenuta tra il Medioevo e l’inizio dell’età moderna, ha reso la lettura silenziosa e una pratica comune; la seconda, tra il XVIII e il XIX secolo, ha permesso ai lettori di disporre più ampiamente e accessibilmente di testi grazie alle rivoluzioni nel mondo della stampa e la conseguente espansione del mondo editoriale; la terza, nel XX secolo, con la trasmissione elettronica dei testi, ha ulteriormente trasformato le pratiche di lettura. Le parole che seguono si concentrano sulle due ultime rivoluzioni, occorse dall’Illuminismo ad oggi.
Nel Settecento, con il passaggio dalla lettura “intensiva” a quella “estensiva”, si verifica la seconda rivoluzione. Il lettore “intensivo” si confronta con un corpus limitato di libri, tendenzialmente memorizzati e recitati, tramandati di generazione in generazione. Al contrario, i lettori “estensivi” si relazionano con una varietà di materiali stampati, che leggono rapidamente. La lettura diviene più libera e irriverente e un nuovo generale letterario, il romanzo, inizia a pervadere la fantasia e il tempo del lettore, sostituendo il ruolo che precedentemente avevano avuto i testi religiosi. Il romanzo viene costantemente riletto, memorizzato, e citato. Il lettore si identifica con i personaggi e decifra la propria vita attraverso i fitti intrecci della trama. Contemporaneamente, la rivoluzione nei meccanismi di stampa e produzione del libro unitamente ad un cambiamento nella lettura stimolano la moltiplicazione nella produzione dei libri, con i piccoli formati che diventano sempre più popolari tra i lettori.
Nel XX secolo, con l’avvento della trasmissione elettronica dei testi e i nuovi modi di lettura si verifica la terza rivoluzione nella lettura. La nuova rappresentazione della parola scritta modifica innanzitutto il rapporto con lo spazio, sostituendo la contiguità fisica tra i testi presenti in un singolo oggetto (libro, rivista, giornale) con la loro posizione e distribuzione all’interno di strutture digitali, quali banche dati, i file elettronici, le directory e le parole chiave che facilitano l’accesso alle informazioni. Questa rivoluzione ridefinisce inoltre anche la materialità delle opere, spezzando il legame fisico tra l’oggetto stampato e il testo, attribuendo al lettore – e non più all’autore o all’editore – il controllo sul layout e sull’aspetto del testo visualizzato sullo schermo. Ne deriva una trasformazione radicale del sistema di identificazione e gestione dei testi. Inoltre, la rappresentazione elettronica dei testi, permettendo la produzione, la trasmissione e la lettura, unisce i compiti fino ad ora distinti di scrittura, pubblicazione e distribuzione, con conseguente ridefinizione dei concetti giuridici associati allo status della scrittura (diritto d’autore, proprietà letteraria, diritti dell’autore, ecc.), delle categorie estetiche che hanno caratterizzato le opere fin dal XVIII secolo (integrità, stabilità, originalità) e dei concetti normativi (deposito legale, biblioteca nazionale) nonché bibliotecari (catalogazione, classificazione, descrizione bibliografica) che sono stati concepiti per un diverso modo di produrre, conservare e comunicare la parola scritta.
3. Tracciabilità dei materiali nelle biblioteche
Conoscere il “percorso” che i libri e i materiali non librari hanno fatto per arrivare in una biblioteca è stata ed è un’esigenza sia del bibliotecario che dello studioso: sapere l’origine del libro e del materiale non librario permette di conoscere il contesto in cui sono stati acquisiti e le motivazioni del loro arrivo in biblioteca, oltre che fornire informazioni utili in sede di catalogazione. In molte biblioteche sono presenti sia il catalogo a schede, diffusosi nel Settecento in Francia e successivamente anche in Italia, che quello elettronico, nato in America negli anni ’50 grazie alla diffusione del computer ed arrivato nel nostro Paese negli anni ’60 e ‘70. In Italia all’inizio solo le grandi strutture (come, ad esempio, le Biblioteche nazionali di Roma e di Firenze) dove c’erano risorse economiche e culturali e gli istituti di ricerca ebbero le condizioni per sperimentare l’automazione di alcune delle attività gestionali per eseguire più velocemente e a costi ridotti le attività tradizionali così come era avvenuto all’estero. Nella seconda metà degli anni ’70 ci fu il trasferimento delle competenze in materia di biblioteche dallo Stato alle Regioni e la creazione di nuove biblioteche di pubblica lettura. Nacquero così le prime esperienze di automazione legate alla nascita dei sistemi bibliotecari e dei consorzi attraverso i quali le biblioteche pubbliche locali cominciarono a cooperare tra loro. In sinergia ci furono anche la nascita dei centri di calcolo dei Comuni e delle aziende di produzione di software che proponevano i primi prodotti per biblioteche. Nel 1985 poi in Italia vengono costituiti i primi due poli del Sistema Bibliotecario Nazionale (quelli delle Biblioteche Nazionali Centrali di Roma e Firenze), risultato importante per le biblioteche italiane e gli utenti che ne usufruiscono, in quanto SBN è stato caratterizzato fin dalle sue origini dalla cooperazione fra istituzioni, da una prospettiva ormai internazionale e non più solo locale e dalla cooperazione tecnologica. Il catalogo, sia elettronico che online, nasce dall’esigenza di comunicare più dati del libro possibili al potenziale lettore/fruitore e di aprirsi all’esterno informando il pubblico e le altre biblioteche che la biblioteca possiede quel testo o materiale non librario acquisito o donato da una certa persona in un determinato periodo, in un tot di copie e in un certo stato di conservazione. Nell’Ottocento la soppressione di molti ordini religiosi e delle relative biblioteche con la conseguente aumentata disponibilità di volumi antichi, l’incremento della produzione libraria dovuta alla meccanizzazione del processo di stampa conducono all’esigenza di standardizzare il metodo di descrizione dei libri. Si sviluppano quindi nuove tecniche di catalogazione: esempi sono il metodo di Panizzi del 1841 e la prima edizione della Classificazione decimale Dewey del 1876. Nel 1895 vedrà invece la luce il primo catalogo collettivo internazionale a Bruxelles ad opera dell’Istituto internazionale di Bibliografia. In Italia nasce nel 1918 una ‘Scuola speciale per archivisti e bibliotecari’ presso la facoltà di lettere dell’Università di Roma ‘La Sapienza’ e la riforma Gentile del 1923 prevederà l’autonomia statutaria. Le Università di Bologna e Padova istituiranno l’insegnamento della biblioteconomia.
Riguardo alla tracciabilità, ovvero l’origine di un libro/materiale non librario, è possibile conoscere la provenienza di un libro/materiale grazie a molte fonti: il libro/materiale stesso innanzitutto. Ci possono essere dediche, appunti, timbri, firme ed etichette con vecchie collocazioni o segnature che ci indicano il motivo (donazione o acquisto) per il quale la biblioteca possiede quel tipo di materiale, chi lo ha donato ed in quale data/periodo e occasione: tali elementi possono trovarsi sul frontespizio del documento, ma anche nelle pagine successive, soprattutto gli appunti o annotazioni. Il timbro della biblioteca invece si trova di solito sul verso del frontespizio, su un numero di pagina convenzionale, alla fine del testo accanto al numero d’ingresso e su ciascuna tavola fuori testo. Il timbro rettangolare comunicherà i dati riguardanti la data di ingresso, la collocazione, il fornitore o donatore e il prezzo indicato sul registro d’ingresso. L’acquisto inoltre sarà testimoniato dalle fatture dei fornitori. La vecchia collocazione che reca la precedente catalogazione invece può essere scritta su un’etichetta posta sul dorso o sul retro della copertina (o comunque su un posto ben visibile) del libro/materiale non librario. Può essere rimossa se non si danneggia il libro/materiale non librario oppure la nuova etichetta può essere sovrapposta. In certi casi invece la collocazione presente sulla vecchia etichetta può essere stata barrata o può essersi scolorita a causa dell’usura e del tempo. Ci sono poi altre fonti che consentono di conoscere la provenienza dei materiali librari e sono quindi utili a tracciare il percorso di un libro o materiale non librario: i registri di ingresso cartacei o elettronici. I registri dovrebbero contenere autore, titolo, editore, anno di pubblicazione, valore inventariale, donatore, modo di acquisizione e numero cronologico d’ingresso del materiale di cui vogliamo conoscere la provenienza. Il donatore e il fornitore inoltre possono comparire sia nel catalogo cartaceo che in quello online. In alcuni casi i donatori chiedono di segnalare il proprio nome e/o cognome in entrambi i cataloghi e sull’etichetta apposta sui materiali in possesso della biblioteca, in quanto il catalogo è non solo lo strumento di comunicazione fra la biblioteca e gli utenti, ma anche il primo accesso che il lettore ha con la biblioteca e i suoi materiali.
Notizie relative a donazioni ed acquisizioni si possono trovare anche in altri libri o materiali non librari che fanno parte di un’intera collezione acquistata o donata: esempi possono essere opere in più volumi o enciclopedie. In più anche le bibliografie, nella particolare accezione di elenco di libri, saggi, riviste, articoli su un particolare argomento o su uno specifico autore, possono dare informazioni preziose a colui che ha necessità di conoscere il percorso di un libro/materiale non librario. Il personale specializzato delle biblioteche infatti può, anche su richiesta specifica di un utente, compilare una bibliografia su un determinato argomento, autore o tema estraendo dai cataloghi i materiali che corrispondono alla ricerca precedentemente effettuata a seconda delle indicazioni ricevute dal committente e delle parole chiave utilizzate. Se vengono trovati libri/materiali non librari che sono stati segnalati soprattutto come donati, il bibliotecario segnalerà il fatto nel documento finale da consegnare al richiedente. Tutte le fonti precedentemente esaminate possono segnalare anche l’appartenenza a un fondo, raccolta o collezione di libri, manoscritti, fotografie, disegni ed altri materiali creata sulla base di donazione da parte di privati prevalentemente dalla seconda metà del secolo scorso o per volontà specifica della biblioteca. L’appartenenza di un libro/materiale non librario ad un fondo infatti sarà stata segnalata a cura dei bibliotecari nel catalogo e sul materiale stesso con un’apposita dicitura e comporterà limitazioni al prestito e alla consultazione, soprattutto in caso di cattiva conservazione.
4. Conclusioni
Gli interventi legislativi prodotti dallo stato italiano in favore delle biblioteche sono quasi sempre frutto di emergenze, ma mai predisposti nell’ambito di una linea politica bibliotecaria dettata dall’esigenza di salvaguardare, valorizzare e far fruire al pubblico l’ingente patrimonio bibliografico del paese. La biblioteca in Italia non ha superato ancora la soglia dell’essere considerata un punto di raccolta e conservazione di un bene culturale nello specifico di tipo librario. É comunque opportuno sottolineare come qualcosa stia cambiando mettendo in evidenza due elementi:
– un significativo, seppur lento, spostamento dall’idea di biblioteca per lo studio, all’idea di biblioteca per l’informazione più vicina ai modelli organizzativi dei paesi più avanzati nel settore dei servizi bibliotecari;
– l’accresciuta importanza e centralità delle biblioteche pubbliche che hanno ormai acquisito nel nostro paese, uscite da una posizione di marginalità e di sudditanza, con l’idea che i cittadini possono trovare in esse facilità di accesso ai servizi di informazione e documentazione di base.
Il concetto di biblioteca, radicato nella tradizione culturale italiana come luogo e modo di conservazione di libri e documenti, sta subendo una fase di cambiamento.
Dal punto di vista legislativo le biblioteche sono legiferate insieme ai musei, dall’art. 117 della Costituzione italiana riconoscendo alle regioni le competenze legislative. Ma l’effettiva attuazione dell’ordinamento regionale è stata lentissima e si dovrà aspettare il 1970 con l’emanazione dei decreti legislativi di trasferimento delle funzioni.
L’istituzione di un Ministero dei Beni Culturali avviene solo nel 1975: prima le competenze in campo culturale erano distribuite in strutture e forme piuttosto diversificate tra i vari organi dello stato. La creazione di questo ministero non fu accettata da parte delle regioni che in questa soluzione intravedevano di non essere adatte all’evoluzione moderna dei servizi bibliotecari.
La creazione del Ministero fu dunque una mancata occasione per una corretta e coerente ricomposizione del quadro istituzionale di competenze e funzioni tra stato e regioni. Non vi è dubbio che tutte le biblioteche pubbliche italiane sarebbero dovute rientrare fra quelle di competenza regionale già in forza di una corretta lettura del dettato costituzionale. Invece la creazione di un servizio territoriale di biblioteche pubbliche gestite da amministrazioni locali non ebbe maturazione neppure in un momento così importante. Anche l’AIB (Associazione Italiana Biblioteche), in vista della nascita delle regioni, auspicava che si adeguasse il sistema bibliotecario del paese alle concrete esigenze dello sviluppo della cultura di tutti i cittadini e della ricerca scientifica e tecnica come previsto dalla costituzione.
Noto per la sua proverbiale prolificità in campo legislativo, per il comparto delle biblioteche, lo Stato ha emanato un’unica legge specifica di settore il DPR 05/07/1995 n.417: regolamento recante norme sulle biblioteche pubbliche statali”. L’enorme mole di modulistica lascia trasparire la concezione delle biblioteche come organi periferici del Ministero. Il regolamento tenta un poco riuscito aggiornamento in un’ottica di riferimento per biblioteche che faticano a stare al passo con una società profondamente trasformata anche per quanto riguarda l’avvento delle nuove tecnologie. Anche se composto da 65 articoli il regolamento delinea una nuova forma di servizi bibliotecari sempre in presenza di una concezione di biblioteca tradizionale. Con l’avvento del codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004 si raggruppa tutta la legislazione riferita ai beni culturali a cui fanno riferimento anche le biblioteche considerate patrimonio culturale e in esse sono raccolti, conservati e valorizzati i beni culturali che presentano interesse bibliografico.
Per fare un confronto con altre realtà a noi vicine, lo Stato della Città del Vaticano, attraverso la legge del 25/07/2001 n. CCCLV riguardante la tutela dei beni culturali, in considerazione delle specifiche finalità istituzionali e delle rispettive competenze e specializzazioni, decretava alla Direzione generale dei Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie e alla Biblioteca Apostolica Vaticana di assumersi la funzione di coordinamento e di indirizzo tecnico in quanto attiene all’inventariazione del materiale di rispettiva competenza agendo di concerto per tutti gli aspetti che riversano un interesse comune.
Si auspica che in futuro possa esserci da parte del legislatore una maggiore attenzione e sensibilità sull’immenso patrimonio librario dello Stato italiano e che possa essere attuata una legislazione nazionale prendendo anche spunto dalla legislazione vaticana ed estera.
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