di Elvira Anna Pasanisi
Lo scorso 19 giugno è entrato in vigore il nuovo Regolamento recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, emanato con D.P.R. 16/04/2013, n. 62, in attuazione di quanto previsto dall’art. 54 del D.Lgs. 30/03/2011, n. 165, nella nuova formulazione introdotta dall’art. 1, comma 44, L. n. 190/2012.
Si tratta di un importante provvedimento normativo, che si inserisce in un più articolato e complesso quadro di strategie e misure di prevenzione e contrasto della corruzione, introdotte dalla cd. Legge anticorruzione, la quale ultima, operando nella direzione più volte sollecitata dagli organismi internazionali di cui fa parte l’Italia(1), dà attuazione nel nostro ordinamento all’art. 6 della Convenzione dell’ONU contro la corruzione (ratificata ai sensi della L. n.116/2009) ed agli artt. 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione (conclusa a Strasburgo il 27/01/99 e ratificata ai sensi della L. n. 110/2012).
Tra le misure definite dalle legge anticorruzione quali strumenti preordinati a prevenire, arginare e reprimere il fenomeno corruttivo(2), un rilievo particolare è stato attribuito dal legislatore ai “doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare”, con ciò confermando e sottolineando il ruolo determinante dell’intregrità nell’agere del pubblico dipendente, ai fini dell’efficace attuazione delle politiche di contrasto della corruzione introdotte dalla legge e dell’affermazione della cultura della legalità.
La Costituzione impone di svolgere le funzioni pubbliche con “disciplina e onore” (art. 54, comma 2), in modo che siano assicurati “il buon andamento e l’imparzialità” dell’amministrazione (art. 97), sancendo che i pubblici impiegati “sono al servizio esclusivo della Nazione” (art. 98). È evidente, tuttavia, che le dimensioni della “corruzione” amministrativa – intesa in senso lato, come abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati o, comunque, come malfunzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso improprio delle funzioni attribuite (a prescindere dalla rilevanza penale del comportamento) – ha fatto emergere tutte le problematiche connesse alla mancata spontanea adesione del dipendente ai principi ed ai valori stabiliti dalla Costituzione. Di talché, il legislatore ha ritenuto necessario giuridicizzare e declinare tali principi e valori in altrettanti doveri, in particolare “codificandone” quelli di natura etica, ed attribuendo rilievo disciplinare alla violazione degli stessi.
Il nuovo Codice di Comportamento abroga e sostituisce il precedente, di cui al DM Funzione Pubblica del 28/11/2000, e dalla comparazione di entrambi, evidenti appaiono le sostanziali differenze e, soprattutto, le significative novità introdotte dal DPR n. 62/2013, rispetto ai contenuti del precedente codice di condotta.
Il primo elemento di novità attiene sicuramente al piano formale: invero, l’emanazione dell’attuale codice nelle forme previste per i regolamenti governativi …
…continua su EDICOLeA