Il suolo “mangiato”

di Giovanni Nazzaro

La maggior parte dei prati verdi e dei campi di grano gialli che vediamo nelle pubblicità in tv sono purtroppo ormai solo ricostruzioni fatte al computer. La perfezione dei dettagli e la vividezza dei colori sono un segnale inconfondibile di un’immagine che nella realtà sta diventando oramai sempre più rara, a causa del sempre più suolo “mangiato” dal cemento e dei suoi effetti.

L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) ha recentemente pubblicato l’edizione 2015 del consumo del suolo in Italia, un monitoraggio aggiornato sul fenomeno della cosiddetta impermeabilizzazione del suolo, ovvero la copertura permanente con materiali artificiali quali asfalto o calcestruzzo, conosciuta maggiormente come cementificazione. Tralasciando casi particolari, per suolo “mangiato” si intende quello coperto ad esempio con edifici, capannoni, strade asfaltate o sterrate, discariche, cantieri, cortili, piazzali e aree pavimentate o in terra battuta, serre e altre coperture permanenti, aeroporti e porti, aree e campi sportivi impermeabili, ferrovie ed altre infrastrutture, pannelli fotovoltaici. Il consumo di suolo in Italia continua a crescere in modo significativo, pur segnando un rallentamento negli ultimi anni: tra il 2008 e il 2013 il fenomeno ha riguardato mediamente 55 ettari al giorno, con una velocità compresa tra i 6 e i 7 metri quadrati di territorio che, nell’ultimo periodo, sono stati irreversibilmente persi ogni secondo.

Con dati certi che si fermano al 2013, l’area più colpita risulta essere il Settentrione: in 15 regioni viene superato il 5% di suolo consumato, con il valore percentuale più elevato in Lombardia e in Veneto (intorno al 10%) e in Campania, Puglia, Emilia Romagna, Lazio e Piemonte dove troviamo valori compresi tra il 7 e il 9%. A livello provinciale, la provincia di Monza e della Brianza, risulta quella con la percentuale più alta di suolo consumato rispetto al territorio amministrato, con quasi il 35%. Seguono Napoli e Milano, con percentuali comprese tra il 25 e il 30%, quindi Varese e Trieste, che sfiorano il 20%.
A livello nazionale, le infrastrutture di trasporto rappresentano circa il 41% del totale del suolo consumato, le aree coperte da edifici costituiscono il 30%. Il consumo di suolo ha inciso prevalentemente sulle aree agricole e, in particolare, quasi il 60%, tra il 2008 e il 2013 è avvenuto a discapito di aree coltivate.

Nel confronto con gli altri paesi europei, la quota di territorio con copertura artificiale in Italia è stimata al 7,8% del totale, contro il 4,6% della media dell’Unione Europea. Grazie ai dati del programma europeo Copernicus, che studia il territorio per mezzo di satelliti di osservazione, sensori di terra, di mare e aerei, l’Italia si colloca così al quinto posto di questa classifica dopo Malta (32,9%), il Belgio (13,4%), i Paesi Bassi (12,2%), il Lussemburgo (11,9%), e di poco sopra a Germania, Danimarca e Regno Unito (7,7%, 7,1% e 6,5) (Istat, 2013a; Eurostat, 2013).

Un suolo compromesso dall’espansione delle superfici artificiali e impermeabilizzato, con una ridotta vegetazione e con presenza di superfici compattate non è più in grado di trattenere una buona parte delle acque di precipitazione atmosferica e di contribuire, pertanto, a regolare il deflusso superficiale. Il pericolo del dissesto idrogeologico diventa quindi maggiormente reale. Sempre secondo l’ISPRA, il “Rapporto di sintesi sul dissesto idrogeologico in Italia” aggiornato a marzo 2015 riporta che nel 2014 sono stati 211 gli eventi franosi principali in Italia, che hanno causato 14 vittime, feriti, evacuati e danni a edifici e infrastrutture lineari di comunicazione primarie. La superficie delle aree a pericolosità elevata di alluvioni è di 12.186 km2 (4% del territorio nazionale).

La legislazione italiana vigente e relativa alla cosiddetta “difesa del suolo” (D.lgs. 152/06) è incentrata sulla protezione del territorio dai fenomeni di dissesto geologico-idraulico più che sulla conservazione della risorsa suolo. Oggi, tuttavia, è in discussione presso le commissioni riunite Agricoltura e Ambiente della Camera il disegno di legge C.2039 in materia di contenimento del consumo e riuso del suolo, che consentirebbe il consumo di suolo esclusivamente nei casi in cui non esistano alternative consistenti nel riuso delle aree già urbanizzate e nella rigenerazione delle stesse, riconoscendo gli obiettivi stabiliti dall’Unione europea circa il traguardo del consumo netto di suolo pari a zero da raggiungere entro il 2050. La discussione del ddl è iniziata il 6 marzo 2014 a cui poi sono seguiti 16 esami e rinvii, l’ultimo il 24 giugno 2015.

Il suolo è di fatto una risorsa che non si può rinnovare considerando i tempi molto lunghi per ripristinarla. Da esso traggono sostentamento tutti, è l’anello che unisce il mondo animale e vegetale, è essenziale per l’esistenza delle specie presenti sul nostro pianeta. Anche la nostra Costituzione ne riconosce l’importante all’articolo 9 “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Data la straordinaria importanza che riveste il nostro suolo sotto il profilo socioeconomico e ambientale, ci auguriamo che la politica abbia quella competenza e quella sensibilità tali da operare le più opportune e rapide misure operative, sulla base del principio secondo cui “il suolo, come ogni altra risorsa naturale, ha necessità di essere amministrato in modo da fornire i prodotti di oggi, ma nello stesso tempo in modo da preservare il suo potenziale produttivo e il suo valore ricreativo per la posterità” (R.E. White, 1979), affermato nella Carta Europea del suolo. ©

 

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