Corte di Cassazione, Sezione III Penale, sentenza n.2576 del 06/11/2018 e depositata il 21/01/2019
Le foto scattate durante un’ispezione (nel caso igienico sanitaria dei N.A.S.) dello stato dei luoghi da parte della P.G., e allegate al verbale di ispezione e di sequestro devono considerarsi atti irripetibili, come tali non più riproducibili, con la conseguenza che, essendo legittimo il loro inserimento nel fascicolo per il dibattimento, possono essere valutate dal giudice come fonte di prova, senza che sia necessaria una conferma da parte dei verbalizzanti in sede dibattimentale.
Di recente la Corte di Cassazione si è espressa in merito al valore probatorio delle foto allegate ad un verbale di ispezione.
La sentenza origina dal ricorso presentato da un imprenditore avverso la condanna inflittagli dal Tribunale di Biella nel 2018. A seguito di questa, egli era stato sanzionato con euro 2.000 di ammenda per il reato di cui all’art. 5, comma 1, lett. D, della L. n. 238 del 1962, in quanto nella qualità di legale rappresentante di un panificio industriale aveva impiegato nella preparazione di alimenti prodotti da forno delle farine di vario tipo insudiciate nonché invase da parassiti (quali blatte e farfalline della farina).
Le condizioni degli alimenti erano state riferite dagli operatori di polizia intervenuti per un controllo e risultanti dal verbale di ispezione igienico-sanitaria oltre che evidenziate dalle numerose foto dei luoghi scattate dalla stessa Polizia Giudiziaria nel corso dell’attività di accertamento.
Nel richiedere l’annullamento della sentenza, l’imprenditore appellante contestava alcune carenze procedurali, e nel merito che:
- i testimoni escussi in dibattimento non avevano precisato dove precisamente erano collocati i sacchi della farina (se nei luoghi destinati alla panificazione o in altri settori del panificio);
- la condanna si era fondata anche sulla base delle foto prodotte dal Pubblico Ministero in supporto informatico, aggiungendo che le stesse non sarebbero mai state sottoposte in visione ai testi per la loro conferma.
Nella propria pronuncia la Corte di Cassazione si è dovuta soffermare sull’ispezione, che qui merita un preliminare accenno di collocazione e definizione prima di proseguire nel riportare i ragionamenti conclusivi dei giudici.
Le ispezioni, insieme alle perquisizioni, ai sequestri, alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, sono mezzi di ricerca della prova, cioè quelle attività processuali – regolamentati nel Libro terzo, Titolo III, del codice di procedura penale – finalizzate ad individuare e assicurare le fonti di prova utilizzabili nel processo, acquisendo cose materiali, tracce o dichiarazioni dotate di attitudine probatoria.
Nel dettaglio, le ispezioni si possono concretizzare in una generica attività di osservazione, constatazione e rilevazione delle tracce e degli altri effetti materiali del reato e consistono nell’inspicere quanto immediatamente visibile, ma in concreto possono sfociare in un controllo accurato di tutte le parti, esterne ed interne, di un luogo, di una persona o dei suoi effetti personali.
Ora, tornando alla sentenza in commento, per costante giurisprudenza, l’accertamento del reato di cui all’art. 5, co.1, lett. b) e d), L. 30 aprile 1962, n. 283 (in tema di disciplina igienica delle sostanze alimentari), inerente la condotta di detenzione per la vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione, non richiede di procedere al prelievo di campioni ove i prodotti alimentari si presentino all’evidenza mal conservati.
Come costantemente ritenuto dalla Corte di Cassazione, per la configurabilità del reato, di fatto, non è necessario l’accertamento di un danno alla salute in quanto l’oggetto giuridico tutelato dalla norma è il leale e scrupoloso comportamento nell’esercizio dell’attività commerciale con riferimento alla qualità dei prodotti.
Infatti, il reato di detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione è configurabile quando è accertato che le concrete modalità di conservazione siano idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento dell’alimento, senza che rilevi a tal fine l’effettiva e concreta produzione di un danno alla salute, attesa la sua natura di reato di danno a tutela del c.d. ordine alimentare, volto ad assicurare che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura (Cass., Sez. III, n. 40772 del 05/05/2015).
Gli atti di indagine possono essere utilizzati per le decisioni che il giudice assume durante la fase delle indagini preliminari e, per il principio della “separazione delle fasi” e del “contraddittorio nella formazione della prova” stabilito dall’art. 111, co. 4, c.p.p., tendenzialmente non possono rappresentare prova nel dibattimento. Tuttavia, per il principio del “divieto di dispersione dei mezzi di prova” gli atti in questione possono essere utilizzati – seppur con precisi limiti e condizioni – tutte le volte in cui essi non possono essere ‘ripetuti’. In tali casi, si dice che l’atto ha utilizzazione piena. Pertanto, essi vengono inseriti nel fascicolo per il dibattimento (art. 431, comma 1, lett. b, c.p.p.) e possono essere lette in dibattimento (art. 511 c.p.p.), risultando così pienamente conosciuti dal giudice che li utilizzerà per la sua decisione.
Per questo non deve stupire che la contestazione operata dall’appellante sulle prove fotografiche – e sulla mancanza di sottoposizione delle stesse ai verbalizzanti – è stata giudicata dalla Suprema Corte “generica e manifestamente infondata”.
Ciò nella considerazione giuridica che le foto effettuate sono da valutarsi parte integrante del verbale di ispezione dei luoghi, in quanto sono state effettuate durante l’ispezione (come, peraltro, riferito in dibattimento dagli operatori di polizia giudiziaria).
Nessun dubbio, quindi, sulla loro utilizzabilità e sulla certezza (come evidenziato dalla sentenza impugnata) della loro riferibilità allo stato dei luoghi.
Ora, è condiviso da dottrina e giurisprudenza che le relazioni di servizio, che riproducono l’attività di constatazione ed osservazione effettuata dalla polizia giudiziaria in relazione a fatti e persone in situazioni soggette a mutamento (e, come tali, non più riproducibili) costituiscono atti irripetibili ad alto impatto probatorio, con la conseguenza che, essendo legittimo il loro inserimento nel fascicolo per il dibattimento, possono essere valutate dal giudice come fonte di prova.
Pur se il legislatore non ha individuato né definito espressamente gli atti ripetibili/non ripetibili, sono tradizionalmente fatti rientrare fra questi ultimi quelle attività (come, appunto, quelle previste agli artt. 348, 352 e 354 c.p.p.) ad alto impatto probatorio, tra cui le ispezioni.
Se tale atti (compresa la relazione di servizio) sono corredati da alcune fotografie per meglio descrivere fatti oggetto di percezione diretta, essi non si differenziano da quelle attività che, pur potendo essere oggetto di testimonianza, sono pacificamente incluse nel novero degli atti irripetibili (Cass., Sez. II, n. 2353 del 12/01/2005).
La Suprema Corte (Sez. III, 06-11-2018/21-01-2019, n. 2576) ne conclude sentenziando che le foto scattate durante un’ispezione (nel caso trattato, di natura igienico-sanitaria dei N.A.S.) dello stato dei luoghi da parte della Polizia Giudiziaria, e allegate al verbale di ispezione e di sequestro devono considerarsi atti irripetibili, come tali non più riproducibili; ne consegue che, essendo legittimo il loro inserimento nel fascicolo per il dibattimento, possono essere valutate dal giudice come fonte di prova, senza che sia necessaria una conferma da parte dei verbalizzanti in sede dibattimentale. ©
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