Daniela GentileGiurisprudenzaII_MMXV

INADEMPIMENTO ALLE NORME COMUNITARIE IN MATERIA DI RIFIUTI

di Daniela Gentile

Corte di Giustizia UE, Sezione Grande, sentenza n. C-196/13 del 2 dicembre 2014

La Corte di giustizia europea ha condannato l’Italia a versare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell’Unione europea» una penalità semestrale calcolata, un importo iniziale fissato in 42,8 milioni di euro per il primo semestre successivo alla sentenza, dal quale saranno detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi e 200.000 euro per ogni altra discarica messa a norma conformemente alla sentenza. Le sanzioni pecuniarie sono dovute per non avere dato esecuzione alla condanna inflitta nel 2007 (Corte di Giustizia UE, sez. III, sentenza n. C-135/05 del 26 aprile 2007) per inadempienza alle direttive europee in materia di rifiuti.


 

Intervenendo nuovamente sulla non corretta gestione dei rifiuti e delle discariche nel nostro paese, La Corte di Giustizia UE con sentenza del 2 dicembre 2014 della Sez. Grande n. C-196/13 ha inflitto una pesante condanna all’Italia colpevole di non aver correttamente eseguito la precedente decisione risalente al 2007 relativa alle inadempienze alle Direttive Europee in materia di rifiuti.
In quell’occasione si era osservato come l’Italia fosse venuta meno, in maniera generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti – direttamente discendenti dalla Direttiva 75/442/CEE del 15 luglio 1975 relativa ai rifiuti (in particolare gli artt. 4, 8 e 9) così come modificata dalla Direttiva 91/156/CEE del 18 marzo 1991 – al trattamento dei rifiuti pericolosi – art. 2 paragrafo 1 Direttiva 91/689/CEE del 12 dicembre 1991 – nonché alla gestione delle discariche – art. 14 lettere da a) a c) della Direttiva 1999/31/CE del 26 aprile 1999 e non avesse adottato alcun provvedimento idoneo, ad esempio, ad “assicurare che i rifiuti fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti”. Le contestazioni della Commissione che condussero alla condanna nel 2007 si fondavano, non rinvenendosi alcun sistema ufficiale di “catasto” delle discariche, su ricostruzioni tratte da interrogazioni parlamentari e da un rapporto del Corpo Forestale dello Stato risalente al 2002 che operava un censimento per regione.

La sentenza della Corte poggiava le basi, in via essenziale, su tre aspetti:

  • il richiamo di alcuni dati negativi ammessi dalla difesa del Governo italiano, ovvero da quest’ultimo non contestati “con argomenti e prove specifiche al fine di contraddire le affermazioni della Commissione”;
  • “l’esistenza di una tale situazione per un periodo prolungato di tempo che ha necessariamente per conseguenza un degrado rilevante per l’ambiente”;
  • la precisazione che l’evidenziato “degrado ambientale per un periodo prolungato nel tempo, “senza l’intervento delle autorità competenti” (…), costituisce circostanza idonea a dimostrare “l’abuso del potere discrezionale da parte dello Stato membro”.

L’intolleranza della Corte UE al mancato rispetto dei diktat comunitari ed alla persistenza dell’inadempimento, puntualizzata in “oltre 7 anni”, traspare in maniera lapidaria dalla condanna inflitta: somma forfettaria di euro 40.000.000,00 cui va aggiunta, a titolo di penalità per ogni semestre di ritardo nell’attuazione di tutte le misure prescritte, la somma di euro 42,8 milioni.

 

 

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