INTEGRA IL DELITTO DI FAVOREGGIAMENTO PERSONALE IL TENTATIVO DEL SACERDOTE DI DISSUADERE DALLA DENUNCIA PER VIOLENZA SESSUALE

di Pietro Errede

Corte di Cassazione, Sentenza VI Penale, sentenza n. 16391 del 21 marzo 2013 e depositata il 10 aprile 2013

La VI sezione ha ritenuto integrato il delitto di favoreggiamento personale nel tentativo di un sacerdote di dissuadere una sua parrocchiana dallo sporgere denuncia per una violenza sessuale subita dalla figlia minorenne.


 

Il favoreggiamento personale (art. 378 c.p.) è composto da due elementi essenziali quali la previa commissione di un delitto da parte di un terzo (elemento oggettivo) e la consapevolezza dell’agente il favoreggiamento che con la propria condotta sta aiutando l’autore del reato a sfuggire alla giustizia (elemento soggettivo). Quindi trattasi di dolo generico rinvenibile dai vari elementi di fatto e comportamentali del suddetto agente. Il reato di favoreggiamento personale è aggravato se chi è aiutato è indagato per il delitto di associazione di stampo mafioso (art. 416-bis c.p.). Fra le principali scriminanti: essere stato costretto dalla necessità di salvare se stesso od un prossimo congiunto (art. 384 c.p.) o aver riferito fatti senza avere la consapevolezza della sussistenza di indagini a carico di qualcuno, cioè in assenza dell’elemento soggettivo. Viceversa, il favoreggiamento sussiste anche quando la persona aiutata non è imputabile o risulta che non ha commesso il delitto. In questi casi, diviene rilevante la valutazione dell’elemento soggettivo, ossia l’intenzione del favoreggiatore.

Per costante orientamento della Cassazione, il favoreggiamento personale comprende ogni atteggiamento, anche negativo, idoneo ad eludere o fuorviare le investigazioni o ad intralciare le ricerche degli organi di polizia. Per la configurabilità del delitto non si richiede però che la giustizia venga effettivamente fuorviata, né che l’intento di eludere le indagini sia stato concretamente realizzato, giacché il reato è ipotizzabile anche quando l’autorità sia a conoscenza della verità dei fatti ed abbia già conseguito la prova contro la persona aiutata (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 773 del 23/09/1998, Rv. 212345). Dunque non è necessaria la dimostrazione dell’effettivo vantaggio conseguito dal soggetto favorito, occorrendo solo la prova della oggettiva idoneità della condotta favoreggiatrice ad intralciare il corso della giustizia. A nulla rileva che le investigazioni dell’autorità siano effettivamente eluse, in quanto è sufficiente che la condotta dell’agente abbia l’attitudine, sia pure astratta, ad intralciare il corso della giustizia, sicché nessun rilievo scriminante può essere attribuito alla loro ininfluenza nel caso concreto (Sez. 6, n. 24161 del 24/10/2006, dep. 20/06/2007, Rv. 236688; v., inoltre, Sez. 6, n. 3523 del 07/11/2011, dep. 27/01/2012, Rv. 251649). Pertanto, “la condotta del reato di favoreggiamento personale, che è un reato di pericolo, deve consistere in un’attività che abbia frapposto un ostacolo, anche se limitato o temporaneo, allo svolgimento delle indagini, che abbia, cioè, provocato una negativa alterazione – quale che sia – del contesto fattuale all’interno del quale le investigazioni e le ricerche erano in corso o si sarebbero comunque potute svolgere” (Corte d’Appello Napoli, Sezione 1 penale, Sentenza 21 marzo 2013, n. 954).

Dunque il favoreggiamento è un delitto a forma libera e con la casistica giurisprudenziale si è, volta per volta, individuato il significato concreto del termine “aiuto” usato dalla legge nei confronti dell’autore del reato. Ad es. ogni pressione esercitata su un terzo, per indurlo a ritrattare le accusa formulate a carico del soggetto o dei soggetti che si intende favorire (Cass. Pen., Sez. II, 11.12.1989), o ancora, l’intestazione di un appartamento locato a persona diversa dall’effettivo utente, su specifica richiesta di quest’ultimo (Cass. Pen., Sez. VI, 05.05.1988). L’ancor più recente Cassazione, Sezione 6 penale, 3 maggio 2013, n. 19199 oltre a confermare tutti i suddetti principi, precisa in merito all’elemento psicologico dell’agente che deve trattarsi di “una attività, consapevole e volontaria”. È sufficiente il dolo generico, essendo irrilevanti i motivi del comportamento.

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