di Giovanni Nazzaro
Ricorre spesso in questi giorni la frase della Vicepresidente Viviane Reding, Commissaria europea per la Giustizia, “Justice delayed is Justice denied” ovvero una Giustizia differita o lenta equivale ad una Giustizia negata. Questa frase è stata pronunciata in occasione della presentazione della II edizione del quadro di valutazione europeo della giustizia da parte della Commissione europea, ma non è nuova poiché è stata riportata già in occasione della pubblicazione della prima edizione lo scorso anno (2013, ndr).
La frase in sé è assolutamente corretta anche se la Giustizia è tale, sempre e indipendente dal tempo con cui la si ottiene.
Contestualizzando la dichiarazione, tuttavia, è utile rilevare che la valutazione è espressa nei confronti dei cittadini e delle imprese, per le quali avere una Giustizia celere significa effettivamente poter contare su un Sistema che tutela la gestione dei rapporti di lavoro, e allo stesso modo significa efficienza nelle vertenze commerciali, di lavoro o fiscali o in procedure d’insolvenza. Questo vale in particolare per le imprese straniere che vedono come ostacolo all’insediamento sul territorio nazionale una burocrazia pesante, le infrastrutture carenti e, appunto, una Giustizia lenta.
Il Comunicato stampa di Bruxelles, che accompagna la pubblicazione, specifica appunto come il quadro di valutazione nel 2014 si concentra sul contenzioso civile, commerciale e amministrativo, insomma non penale. Alla frase sopra menzionata sono seguiti ragionamenti in qualche modo impermeati di pessimismo, che hanno rimarcato un dato relativo al nostro paese, cioè che l’Italia è in coda alla classifica per velocità della Giustizia. In realtà, i risultati dello studio si basano su ben 7 indicatori distinti, afferenti a tre macro caratteristiche: quali efficienza, qualità e indipendenza. Cerchiamo, quindi, di chiarire alcuni passaggi sul tema.
Innanzitutto va precisato che il quadro fa riferimento a dati provenienti da varie fonti, per la maggior parte provenienti dalla Commissione per la valutazione dell’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa (CEPEJ), che ha raccolto i dati dagli Stati membri relativi al 2012, operando un confronto dal 2010. Unica nota a favore, soprattutto per il nostro paese, che nell’ambito giudiziario è spesso sanzionata, è che le graduatorie del quadro generale soprarichiamato non sono aggiornate, poiché si riferiscono al periodo antecedente all’avvio di alcuni progetti finalizzati all’efficientamento della Giustizia. Si pensi alla semplificazione dei riti civili (d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150), alla mediazione (d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, unito e legge 9 agosto 2013, n. 98), alla razionalizzazione dei criteri di smaltimento dell’arretrato (legge 15 luglio 2011, n. 111). Riforme che, a dire il vero, non sembra abbiano rivoluzionato i vari settori, ma che comunque sono applicate nel nostro paese da poco tempo per poter effettuare un’analisi completa e comparativa. L’adozione di questi troppo recenti interventi legislativi non è contemplata dal quadro della UE. Infatti, dalla relazione del Presidente della Corte Suprema di Cassazione del 24 gennaio 2014, relativa all’amministrazione della giustizia nell’anno 2013, emerge che la durata del processo civile tendenzialmente va verso una significativa riduzione.
Continuando nell’analisi del quadro di valutazione europeo della giustizia, tutti i raffronti tra i diversi Paesi della UE hanno riguardato procedimenti di primo grado. Da qui è emerso che nel 2012 nella graduatoria relativa al tempo necessario per definire le cause non penali (le cause civili e commerciali, le cause relative alle misure di esecuzione, le cause relative al catasto, le cause relative al registro delle imprese e le cause di diritto amministrativo) l’Italia è risultata quint’ultima, terz’ultima in quella relativa al tempo necessario per definire i contenziosi civili e commerciali, mentre è dodicesima davanti la Francia nella graduatoria per il tempo necessario ai creditori per recuperare il loro credito (meno di 2 anni). È importante, ai fini della valutazione della lentezza della Giustizia, il posizionamento dell’Italia nelle prime posizioni delle graduatorie per il tasso dei casi non penali decisi e per il tasso dei contenziosi civili e commerciali decisi. I valori superiori al 100%, come nel caso dell’Italia, indicano che è stato deciso un numero di casi maggiore rispetto a quello dei nuovi casi avviati.
L’efficienza della Giustizia non dipende solo dalla durata dei procedimenti ma anche dal “tasso di ricambio” o “indice di smaltimento” (clearance rate) ovvero il rapporto tra i casi decisi e i nuovi processi iscritti a ruolo, e dal numero di cause ancora in attesa di definizione ovvero dalle cause pendenti. Per quest’ultime, purtroppo, l’Italia risulta nelle ultime posizioni in classifica. I sistemi ICT per la registrazione e la gestione delle cause possono essere gli strumenti per migliorare il ritmo al quale un tribunale può trattare le cause e, quindi, per ridurre la durata complessiva dei procedimenti. Su questo fronte l’Italia segna un netto miglioramento passando dalla 20a posizione nel 2010 alla 13a posizione nel 2012. Dall’altra parte una mediazione efficace e altri metodi alternativi di risoluzione delle controversie possono ridurre il numero delle cause pendenti e possono, quindi, avere un importante effetto positivo sul carico di lavoro dei tribunali.
La durata dei procedimenti civili in Italia è, purtroppo, un dato strutturale, non episodico. La società civile è così cambiata che oggi, con numeri alla mano, è tanto evidente come i Codici di riferimento siano ormai obsoleti. Siamo testimoni di un cambiamento culturale, dovuto in gran parte alle nuove tecnologie, che permea qualunque strato della società civile e che permette di diffondere la consapevolezza che ognuno di noi può chiedere che sia fatta Giustizia, indipendentemente dalla sua estrazione sociale. Il che si traduce in un aumento della domanda di Giustizia rispetto al passato che, accompagnata all’inadeguatezza degli strumenti legislativi, provoca l’effetto esaminato. Da più parti arriva il monito che spetterebbe alla Politica trovare la “ricetta” a questo problema ormai organico, ma è opportuno riformulare diversamente l’auspicio: spetterebbe alla Politica ascoltare chi conosce il sistema giudiziario dall’interno e che può suggerire i contenuti della “ricetta”, mettendoli poi in pratica.
In conclusione, si deve dare atto che il quadro di valutazione europeo della giustizia risulta un ottimo strumento comparativo agli effetti pratici, che contribuisce a individuare le possibili carenze e i modelli da prendere a riferimento. Una critica allo strumento deve essere fatta in ordine all’incapacità di considerare gli effetti delle riforme in corso negli Stati membri, imponendo, quindi, la pratica di questo tipo di esercizio regolarmente, affinché tali effetti siano visibili nelle successive revisioni.