Antonio DItullioGiurisprudenzaIII_MMXVII

La cassazione si adatta alla depenalizzazione del reato di scrittura privata falsa e di uso di atto falso

di Antonio Di Tullio DElisiis

Corte di Cassazione, Sezione II Penale, sentenza n. 4951 del 17 gennaio 2017 e depositata il 2 febbraio 2017

I decreti legislativi n. 7 ed 8 del 2016 hanno depenalizzato una serie di reati prevedendo per alcuni (tra cui quelli puniti con la sola ammenda o la sola pena pecuniaria) l’invio degli atti all’autorità amministrativa competente e per altri (come l’ingiuria, la scrittura privata falsa o l’uso dell’atto falso) la condanna ad una sanzione civile pecuniaria, che varia da euro cento ad euro 8.000 ovvero da euro 200 ad euro 12.000. La Corte di Cassazione ha dovuto quindi confermare che non è più reato realizzare una scrittura privata falsa, come un contratto di affitto tra le parti, e che non è più illecito penale l’uso di un atto falso.

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1.     Il fatto
La Corte di Appello di Trento ha confermato la sentenza del Tribunale di Trento che aveva dichiarato l’imputata colpevole dei reati di tentata truffa e di uso di atto falso e, riconosciute alla stessa le circostanze attenuanti generiche, la condannava a pena ritenuta di giustizia con i doppi benefici di legge. La condotta contestata verteva nel fatto che costei, in concorso con altre persone rimaste ignote, aveva utilizzato artifizi e raggiri (consistiti nel fare uso di una scrittura privata relativa ad una richiesta di inserzione sul Registro Italiano Internet con firma falsa del notaio e dell’impronta contraffatta del suo timbro) al fine di procurarsi l’ingiusto profitto consistente nella richiesta di saldo di una fattura.

2.     La principale questione giuridica trattata dalla Cassazione
La sentenza emessa dalla Cassazione nel caso di specie, e segnatamente la decisione n. 4951 del 2017, si rileva di particolare interesse per quanto attiene il tema inerente l’individuazione di quali delitti di falso debbano considerarsi abrogati per effetto del decreto legislativo n. 7 del 2016. Al riguardo gli ermellini, in relazione al fatto contestato al ricorrente, una volta rilevato che dalla “lettura del capo di imputazione contenuto nella sentenza impugnata emerge una contestazione alternativa con riguardo ai riferimenti normativi (artt. 485 “o” 489 c.p.) anche se poi dal testo dell’imputazione stessa e dalla sentenza di primo grado risulta chiarito che all’odierna ricorrente si contesta di aver fatto “uso” di una scrittura privata con firma falsa (condotta per la quale è intervenuta quindi la condanna)”, hanno compiuto una attenta disamina sul modo in cui gli effetti di questo decreto legislativo hanno avuto sul reato di uso di atto falso. In particolare i giudici di piazza Cavour, dopo avere rilevato, per un verso, che il D.Lgs. n. 7 del 2016 ha abrogato il reato di falso in scrittura privata di cui all’art. 485 c.p., nonché ha cancellato l’art. 489 c.p., comma 2, che così recitava “Qualora si tratti di scritture private chi commette il fatto è punibile soltanto se ha agito al fine di procurare a sè o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno”, per altro verso, che “il testo vigente della norma di cui all’art. 489 c.p., è rimasto il seguente: “Chiunque senza essere concorso nella falsità, fa uso di un atto falso soggiace alle pene stabilite negli articoli precedenti, ridotte di un terzo””, sono giunti a formulare la seguente conclusione: “è del tutto evidente dal contesto normativo sopra richiamato che anche l’uso di scrittura privata falsa non è più previsto dalla legge come reato”.

La Corte di Cassazione è addivenuta a enunciare questo principio di diritto sulla scorta delle seguenti considerazioni logiche e giuridiche: “a) mentre l’art. 489 c.p., comma 2, faceva espresso richiamo alle “scritture private” il testo normativo oggi vigente fa un più generico riferimento all’atto falso; b) nel concetto come detto più generico di “atto falso” non possono più essere ricomprese le “scritture private” sia per espressa eliminazione della parte della norma che le riguardava, sia per il fatto che la norma stessa prevede un trattamento sanzionatorio (“soggiace alle pene stabilite dagli articoli precedenti ridotte di un terzo”) che è venuto meno attraverso l’abrogazione dell’art. 485 c.p., così facendo perdere il parametro normativo di riferimento; c) sarebbe a dir poco illogico (se non addirittura incostituzionale) che il Legislatore abbia stabilito che non è più reato falsificare una scrittura privata mentre continuerebbe ad esserlo la condotta – indubbiamente meno grave – del fare uso della scrittura falsa; d) mentre secondo il testo dell’art. 489 c.p., vigente all’epoca delle condotte qui in esame il Legislatore aveva richiesto per la punibilità dell’uso della scrittura privata falsa un elemento ulteriore – il dolo specifico (il “fine di procurare a sè o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno”) attualmente l’uso della scrittura privata falsa sarebbe punibile a mero titolo di “dolo generico” così addirittura estendendo in fatto le ipotesi di punibilità dell’uso di tale scrittura”.

E infatti, proprio in virtù di queste osservazioni, la Cassazione è giunta a ritenere che “l’unica lettura possibile e costituzionalmente orientata del contesto normativo sopra descritto nel quale il Legislatore aveva in origine deciso di ben differenziare l’ipotesi specifica dell’uso della “scrittura privata” falsa rispetto a quella più generica dell’uso di un “atto falso” ed ha, con l’intervento operato con il D.Lgs. n. 7 del 2016, addirittura eliminato ogni riferimento alla “scrittura privata” è quella di ritenere che anche l’uso di scrittura privata falsa oggi non è più previsto dalla legge come reato”. Orbene, tale approccio ermeneutico, complessivamente considerato, si palesa sicuramente condivisibile in quanto frutto, sia di un ragionamento giuridico equilibrato, sia, da un lato, di un’attenta lettura delle modifiche apportate per effetto del decreto legislativo n. 7 del 2016, dall’altro, di una logica analisi delle differenze intercorrenti il precedente quadro normativo e quello attualmente venutosi a creare per effetto di tale novità legislativa. Infatti, il venir meno, nell’ambito del penalmente rilevante, delle falsità in scrittura privata rappresenta un dato normativo di chiara evidenza, e ciò proprio attraverso l’abrogazione dell’art. 485 c.p. e la contestuale riformulazione dell’art. 489 c.p.

Del resto, come giustamente rilevato dalla stessa Corte, non avrebbe senso, e quindi sarebbe irragionevole, il continuare a perseguire un fatto meno grave (qual è l’uso di un atto falso), quando quello più grave (ossia la falsificazione in sé e per sé considerata) non è più penalmente rilevante. Del resto, come parimenti rilevato sempre in sede di legittimità, operando in tal guisa si avrebbe un ampliamento della portata applicativa del’art. 489 c.p. diventando, ove si reputasse detta norma valevole ancora per l’uso di falsità in scrittura privata, sufficiente il dolo generico, e non più invece quello specifico (senza che una emenda di questo genere sia stata prevista ex lege).

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3.     Conclusioni
La sentenza in argomento è sicuramente condivisibile sul punto. Se difatti la ratio, cha ha indotto il legislatore ha depenalizzare e abrogare una serie di illeciti penali, è stata sicuramente quella di dare attuazione ad una visione sussidiaria del diritto penale quale strumento repressivo da doversi configurare come estrema ratio, non avrebbe senso, in assenza di modifiche di legge che permettano di pensare il contrario, mantenere la vigenza di norme incriminatrici meno gravi di quelle non più considerate tali dal legislatore. Una opzione ermeneutica di segno diverso, difatti, rendere la stessa normativa su emarginata irragionevole in quanto si andrebbe a considerare ancora penalmente rilevante un fatto meno grave di quello che è stato abrogato. ©

 

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