Diritto InternetElena BassoliIV_MMXIX

La corte di giustizia europea e la deindicizzazione geografica del motore di ricerca nel diritto all’oblio

di Elena Bassoli

Corte di Giustizia Europea – Sentenza del 24 settembre 2019 – Causa C 507/17
Il gestore di un motore di ricerca, nel dare seguito a una richiesta di cancellazione, non è tenuto ad eseguire tale operazione su tutti i nomi di dominio del suo motore, talché i link controversi non appaiano più indipendentemente dal luogo dal quale viene effettuata la ricerca avviata sul nome del richiedente. Il gestore di un motore di ricerca è tenuto a sopprimere i link controversi che appaiono in esito a una ricerca effettuata, a partire dal nome del richiedente, da un luogo situato all’interno dell’Unione europea. In tale contesto, detto gestore è tenuto ad adottare tutte le misure a sua disposizione per garantire una cancellazione efficace e completa. Ciò include, in particolare, la tecnica detta del «blocco geografico» da un indirizzo IP che si ritiene localizzato in uno degli Stati membri assoggettato alla direttiva 95/46, e ciò indipendentemente dal nome di dominio utilizzato dall’utente di Internet che effettua la ricerca.

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 La sentenza emessa il 24 settembre 2019 dalla Corte di Giustizia europea nella Causa C 507/17 affronta gli obblighi territoriali del motore di ricerca in caso di richiesta di cancellazione di link da parte di soggetti interessati, affermando che il gestore del motore di ricerca non è tenuto ad eseguire tale operazione su tutti i nomi a dominio del suo motore urbi et orbi, talché i link controversi non appaiano più indipendentemente dal luogo dal quale viene effettuata la ricerca avviata sul nome del richiedente, bensì egli è tenuto a sopprimere i link controversi che appaiono in esito a una ricerca effettuata, a partire dal nome del richiedente, da un luogo situato all’interno dell’Unione europea.

In particolare la pronuncia parte da una puntuale disamina della disciplina applicabile, analizzando prima l’abrogata Dir. 95/46 sulla tutela dei dati personali in base al principio tempus regit actum, e poi il vigente Reg. EU/2016/679, non senza essersi soffermata sulla legge francese di tutela dei dati personali, Loi n. 17 del 1978.
La questione viene sollevata pregiudizialmente nell’ambito di una controversia che vede contrapposti la CNIL, l’Autorità di controllo per la tutela dei dati personali francese, e Google Inc (ora Google LLC) in ordine al diritto di una persona fisica di ottenere la soppressione di taluni link. La CNIL intimava a Google di procedere alla cancellazione richiesta su tutte le estensioni del nome di dominio del suo motore di ricerca, ma Google si rifiutava di dar seguito a detta diffida, limitandosi a sopprimere i link dai soli risultati visualizzati in esito a ricerche effettuate sulle declinazioni del suo motore il cui nome di dominio corrisponde a uno Stato membro.

La CNIL reputava insufficiente la proposta complementare di un cosiddetto «blocco geografico», formulata da Google dopo la scadenza del termine fissato nella diffida, consistente nel sopprimere la possibilità di accedere, da un indirizzo IP (Internet Protocol) che si considera localizzato nello Stato di residenza dell’interessato, ai risultati controversi in esito ad una ricerca effettuata a partire dal nome di quest’ultimo, e ciò indipendentemente dalla declinazione del motore di ricerca richiesta dall’utente di Internet.
Dopo aver preso atto del fatto che Google non si era conformata alla diffida entro il termine impartito, con deliberazione del 10 marzo 2016, la CNIL infliggeva a detta società una sanzione, resa pubblica, di € 100 000.
Con ricorso proposto dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato), Google chiedeva l’annullamento di detta deliberazione, e il Consiglio di Stato osservava che il motore di ricerca gestito da Google si declina in nomi di dominio diversi attraverso estensioni geografiche, al fine di adattare i risultati visualizzati alle specificità, in particolare linguistiche, dei diversi paesi in cui tale società svolge la propria attività.
Così, quando la ricerca è effettuata a partire da «google.com», Google procederebbe, in linea di principio, a un reindirizzamento automatico della suddetta ricerca verso il nome di dominio corrispondente allo Stato a partire dal quale si ritiene, in base all’identificazione dell’indirizzo IP dell’utente Internet, che sia stata effettuata la ricerca. Tuttavia, a prescindere dalla sua localizzazione, l’utente di Internet rimane libero di effettuare le proprie ricerche sugli altri nomi di dominio del motore di ricerca. Peraltro, anche se i risultati possono differire a seconda del nome a dominio a partire dal quale viene effettuata la ricerca sul motore in questione, sarebbe pacifico che i link visualizzati in risposta a una ricerca provengono da banche dati e da operazioni di indicizzazione comuni.

Sebbene alla data di presentazione della domanda di pronuncia pregiudiziale fosse vigente la direttiva 95/46, essa è stata abrogata con effetto dal 25 maggio 2018, data a partire dalla quale è applicabile il regolamento 2016/679.
La Corte quindi passa ad esaminare le questioni sollevate tanto alla luce di tale direttiva quanto del suddetto regolamento per garantire che le sue risposte siano, in ogni caso, utili al giudice del rinvio.
Nel corso del procedimento dinanzi alla Corte, Google ha dichiarato che, successivamente al rinvio pregiudiziale, ha introdotto una nuova presentazione delle versioni nazionali del suo motore di ricerca, nell’ambito della quale il nome di dominio introdotto dall’utente di Internet non determinerebbe più la versione nazionale del motore di ricerca a cui questi ha accesso. In tal modo, l’utente di Internet sarebbe oramai automaticamente diretto verso la versione nazionale del motore di ricerca Google che corrisponde al luogo a partire dal quale si presume questi stia effettuando la ricerca e i risultati della ricerca sarebbero visualizzati in funzione di tale luogo, il quale sarebbe determinato da Google grazie ad un processo di geolocalizzazione.
Dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera a) della direttiva 95/46 e dall’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento 2016/679, risulta che tanto la direttiva quanto il regolamento summenzionati consentono agli interessati di far valere il loro diritto alla deindicizzazione nei confronti del gestore di un motore di ricerca che ha uno o più stabilimenti nel territorio dell’Unione, nell’ambito delle attività dei quali effettua un trattamento di dati personali che riguardano tali interessati, indipendentemente dal fatto che il trattamento sia effettuato o meno nell’Unione.

A tal riguardo, la Corte ha affermato che un trattamento di dati personali viene effettuato nel contesto delle attività di uno stabilimento del responsabile di tale trattamento nel territorio di uno Stato membro qualora il gestore di un motore di ricerca apra in uno Stato membro una succursale o una controllata destinata alla promozione e alla vendita degli spazi pubblicitari proposti da tale motore di ricerca e l’attività della quale si dirige agli abitanti di detto Stato membro (sentenza del 13 maggio 2014, Google Spain e Google, C‑131/12, EU:C:2014:317, punto 60).
Infatti, in circostanze del genere, le attività del gestore del motore di ricerca e quelle del suo stabilimento situato nell’Unione sono inscindibilmente connesse, dal momento che le attività relative agli spazi pubblicitari costituiscono il mezzo per rendere il motore di ricerca in questione economicamente redditizio e che tale motore è, al tempo stesso, lo strumento che consente lo svolgimento di dette attività, poiché la visualizzazione dell’elenco dei risultati è accompagnata, sulla stessa pagina, da quella di pubblicità correlate ai termini di ricerca (v., in tal senso, sentenza del 13 maggio 2014, Google Spain e Google, C‑131/12, EU:C:2014:317, punti 56 e 57).

Pertanto, il fatto che il suddetto motore di ricerca sia gestito da un’impresa di uno Stato terzo non può avere come conseguenza che il trattamento di dati personali effettuato per le esigenze del funzionamento del motore di ricerca stesso, nel contesto dell’attività pubblicitaria e commerciale di uno stabilimento del responsabile di tale trattamento nel territorio di uno Stato membro, venga sottratto agli obblighi e alle garanzie previsti dalla direttiva 95/46 e dal regolamento 2016/679 (v. in tal senso, sentenza del 13 maggio 2014, Google Spain e Google, C‑131/12, EU:C:2014:317, punto 58).

Nel caso di specie, dalle informazioni fornite nella decisione di rinvio risulta, da un lato, che lo stabilimento di cui dispone Google nel territorio francese svolge attività, in particolare attività commerciali e pubblicitarie, che sono inscindibilmente connesse al trattamento di dati personali effettuato per le esigenze del funzionamento del motore di ricerca in questione e, dall’altro, che il suddetto motore di ricerca deve essere considerato – tenuto conto, in particolare, dell’esistenza di applicazioni-ponte (gateway) tra le sue diverse versioni nazionali – un soggetto che procede ad un unico trattamento di dati personali.
Il giudice del rinvio ritiene che, in tali circostanze, il suddetto trattamento sia effettuato nel contesto dello stabilimento di Google situato in territorio francese. Appare quindi che tale situazione rientri nell’ambito di applicazione territoriale della direttiva 95/46 e del regolamento 2016/679.
Al riguardo la sentenza tenta di sciogliere il nodo relativo alla determinazione della portata territoriale che occorre attribuire a una deindicizzazione in una siffatta situazione, posto che una deindicizzazione effettuata su tutte le versioni di un motore di ricerca risulterebbe senz’altro idonea a soddisfare pienamente tale obiettivo.
In un mondo globalizzato l’accesso da parte degli utenti di Internet, in particolare quelli localizzati al di fuori dell’Unione, all’indicizzazione di un link, che rinvia a informazioni concernenti una persona il cui centro di interessi si trova nell’Unione, può quindi produrre effetti immediati e sostanziali sulla persona in questione anche all’interno dell’Unione.
Tali considerazioni sono atte a giustificare l’esistenza di una competenza del legislatore dell’Unione a prevedere un obbligo, per il gestore di un motore di ricerca, di procedere, quando accoglie una richiesta di deindicizzazione formulata da una persona fisica, alla deindicizzazione su tutte le versioni del suo motore di ricerca.

Lawful Interception per gli Operatori di Tlc

Occorre, tuttavia, sottolineare che molti Stati terzi non riconoscono il diritto alla deindicizzazione o comunque adottano un approccio diverso per tale diritto e dal tenore letterale delle disposizioni dell’articolo 12, lettera b), e dell’articolo 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 o dell’articolo 17 del regolamento 2016/679 non risulta affatto che il legislatore dell’Unione abbia scelto di attribuire ai diritti sanciti da tali disposizioni una portata che vada oltre il territorio degli Stati membri e che abbia inteso imporre a un operatore che, come Google, rientra nell’ambito di applicazione della direttiva o del regolamento suddetti, un obbligo di deindicizzazione riguardante anche le versioni nazionali del suo motore di ricerca che non corrispondono agli Stati membri.
Inoltre, mentre il regolamento 2016/679 fornisce, agli articoli 56 e da 60 a 66, alle autorità di controllo degli Stati membri gli strumenti e i meccanismi che consentono loro, se del caso, di cooperare per raggiungere una decisione comune basata su un bilanciamento tra, da un lato, il diritto alla tutela della vita privata dell’interessato e la protezione dei dati personali che lo riguardano e, dall’altro, l’interesse del pubblico di diversi Stati membri ad avere accesso alle informazioni, si deve necessariamente rilevare che il diritto dell’Unione non prevede attualmente strumenti e meccanismi di cooperazione siffatti per quanto riguarda la portata di una deindicizzazione al di fuori dell’Unione.
Ne consegue che, allo stato attuale, non sussiste, per il gestore di un motore di ricerca che accoglie una richiesta di deindicizzazione presentata dall’interessato, eventualmente, a seguito di un’ingiunzione di un’autorità di controllo o di un’autorità giudiziaria di uno Stato membro, un obbligo, derivante dal diritto dell’Unione, di effettuare tale deindicizzazione su tutte le versioni del suo motore.

Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, il gestore di un motore di ricerca non può essere tenuto, ai sensi dell’articolo 12, lettera b) e dell’articolo 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 e dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento 2016/679, a procedere ad una deindicizzazione in tutte le versioni del suo motore.
Per quanto riguarda la questione se una deindicizzazione del genere debba essere effettuata nelle versioni del motore di ricerca corrispondenti agli Stati membri o nella sola versione di tale motore corrispondente allo Stato membro di residenza del beneficiario della deindicizzazione, dal fatto, in particolare, che il legislatore dell’Unione ha ormai scelto di fissare le norme sulla protezione dei dati mediante un regolamento, direttamente applicabile in tutti gli Stati membri, e ciò, come sottolineato dal considerando 10 del regolamento 2016/679, al fine di assicurare un livello coerente ed elevato di protezione in tutta l’Unione e di rimuovere gli ostacoli alla circolazione dei dati all’interno della stessa risulta che si ritiene che la deindicizzazione in questione sia da effettuare, in linea di principio, per tutti gli Stati membri.
Dagli articoli 56 e 60 del regolamento 2016/679 risulta, in particolare, che, per i trattamenti transfrontalieri, ai sensi dell’articolo 4, punto 23, del suddetto regolamento, e fatto salvo l’articolo 56, paragrafo 2, le varie autorità di controllo nazionali considerate devono cooperare, secondo la procedura prevista da tali disposizioni, al fine di raggiungere un consenso e una decisione unica che vincoli tutte queste autorità, il cui rispetto deve essere garantito dal responsabile del trattamento per quanto riguarda le attività di trattamento effettuate nell’ambito di tutti i suoi stabilimenti nell’Unione.

Inoltre, l’articolo 61, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 obbliga le autorità di controllo a scambiarsi, in particolare, le informazioni utili e a prestarsi l’assistenza reciproca al fine di attuare e applicare il presente regolamento in maniera coerente in tutta l’Unione e l’articolo 63 di tale regolamento prevede a tal fine il meccanismo di coerenza, di cui agli articoli 64 e 65 del medesimo regolamento. Infine, la procedura d’urgenza di cui all’articolo 66 del regolamento 2016/679 consente – in circostanze eccezionali, qualora un’autorità di controllo interessata ritenga che urga intervenire per proteggere i diritti e le libertà degli interessati – di adottare immediatamente misure provvisorie intese a produrre effetti giuridici nel proprio territorio, con un periodo di validità determinato che non supera i tre mesi.
Tale quadro normativo fornisce pertanto alle autorità di controllo nazionali gli strumenti e i meccanismi necessari per conciliare i diritti alla tutela della vita privata e alla protezione dei dati personali dell’interessato con l’interesse di tutto il pubblico degli Stati membri all’accesso alle informazioni in questione e, quindi per adottare, se del caso, una decisione di deindicizzazione che riguardi tutte le ricerche effettuate in base al nome di tale persona a partire dal territorio dell’Unione.
È compito, inoltre, del gestore del motore di ricerca adottare, se necessario, misure sufficientemente efficaci per garantire una tutela effettiva dei diritti fondamentali della persona interessata. Tali misure devono soddisfare tutte le esigenze giuridiche e avere l’effetto di impedire agli utenti di Internet negli Stati membri di avere accesso ai link in questione a partire da una ricerca effettuata sulla base del nome di tale persona o, perlomeno, di scoraggiare seriamente tali utenti (v., per analogia, sentenze del 27 marzo 2014, VUPC Telekabel Wien, C‑314/12, EU:C:2014:192, punto 62 e del 15 settembre 2016, Mc Fadden, C‑484/14, EU:C:2016:689, punto 96).
Spetterà poi al giudice del rinvio verificare se, alla luce anche delle recenti modifiche apportate al suo motore di ricerca, le misure adottate o proposte da Google soddisfino tali esigenze.

Occorre infine sottolineare che il diritto dell’Unione, pur se non impone, allo stato attuale, che la deindicizzazione accolta verta su tutte le versioni del motore di ricerca in questione, neppure lo vieta. Pertanto, un’autorità di controllo o un’autorità giudiziaria di uno Stato membro resta competente ad effettuare, conformemente agli standard nazionali di protezione dei diritti fondamentali (v., in tal senso, sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 29, e del 26 febbraio 2013, Melloni, C‑399/11, EU:C:2013:107, punto 60), un bilanciamento tra, da un lato, il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e, dall’altro, il diritto alla libertà d’informazione e, al termine di tale bilanciamento, richiedere, se del caso, al gestore di tale motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni di suddetto motore.
Alla luce di tutto quel che precede, la Corte risponde alle questioni poste dichiarando che l’articolo 12, lettera b), e l’articolo 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 e l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 devono essere interpretati nel senso che il gestore di un motore di ricerca, quando accoglie una domanda di deindicizzazione in applicazione delle suddette disposizioni, è tenuto ad effettuare tale deindicizzazione non in tutte le versioni del suo motore di ricerca, ma nelle versioni di tale motore corrispondenti a tutti gli Stati membri, e ciò, se necessario, in combinazione con misure che, tenendo nel contempo conto delle prescrizioni di legge, permettono effettivamente di impedire agli utenti di Internet, che effettuano una ricerca sulla base del nome dell’interessato a partire da uno degli Stati membri, di avere accesso, attraverso l’elenco dei risultati visualizzato in seguito a tale ricerca, ai link oggetto di tale domanda, o quantomeno di scoraggiare seriamente tali utenti.©

 

 


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di Elena Bassoli (N. IV_MMXV)
Il mondo è pieno di decisioni algoritmicamente guidate. Un’informazione errata o discriminatoria può rovinare irrimediabilmente le prospettive di lavoro o di credito di qualcuno. Gli algoritmi rimangono impenetrabili agli osservatori esterni perché protetti dal segreto industriale. Risulta quindi fondamentale che i cittadini possano conoscere e contribuire alla regolamentazione della pratiche commerciali dei giganti dell’informazione.
ACCESSO ABUSIVO A SISTEMA INFORMATICO: IL LOCUS COMMISSI DELICTI COINCIDE CON QUELLO DEL SOGGETTO CHE ACCEDE -
di Elena Bassoli (N. III_MMXV)
Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza n. 17325 del 26 marzo 2015 e depositata il 24 aprile 2015. Con sentenza depositata il 24 aprile 2015, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, risolvendo un conflitto di competenza, hanno affermato che “il luogo di consumazione del delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico di cui all’art. 615-ter cod. pen. coincide con quello nel quale si trova il soggetto che effettua l’introduzione abusiva o vi si mantiene abusivamente”.
VALENZA GIURIDICA DEL TWEET DI UN MINISTRO -
di Elena Bassoli (n.II_MMXV)
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 769/2015, si è pronunciato sulla natura dell’atto amministrativo emesso verso l’esterno nel caso in cui si utilizzi il servizio di Twitter, osservando che “gli atti dell’autorità politica debbono pur sempre concretarsi nella dovuta forma tipica dell’attività della pubblica amministrazione... “.
LE BEST PRACTICES SULL’ATTENDIBILITÀ DELLA PROVA DIGITALE ENTRANO ANCHE NEL GIUDIZIO CIVILE -
di Elena Bassoli (n.I_MMXV)
Tribunale Napoli, Ordinanza 29/04/2014. L’ordinanza analizza il valore probatorio dei file di log, con le relative operazioni di conservazione ed estrazione, sancendo, anche per il diritto civile e non solo per quello penale, il principio dell’inattendibilità probatoria delle semplici copie di prove digitali.
GLI STATI MEMBRI NON POSSONO OBBLIGARE LE SOCIETÀ STABILITE IN UN ALTRO STATO A CREARE SUL LORO TERRITORIO SUCCURSALI O FILIALI -
di Elena Bassoli (N.III_MMXIV)
Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza nella causa C-475/12 del 30 aprile 2014: gli Stati membri non possono imporre a tali fornitori la creazione di una succursale o di una filiale sul loro territorio, in quanto un siffatto obbligo sarebbe contrario alla libera prestazione dei servizi.
GOOGLE VIDEO NON HA L’OBBLIGO DI SORVEGLIANZA DEI DATI IMMESSI DA TERZI -
di Elena Bassoli (N. I_MMXIV)
Corte di Cassazione, Sezione III Penale, sentenza n. 5107 del 17 dicembre 2013 e depositata il 3 febbraio 2014. La Suprema Corte ha affermato che l’Internet Hosting Provider, per la mancanza di un obbligo generale di sorveglianza, non è responsabile della liceità del trattamento dei dati personali memorizzati a richiesta degli utenti su una piattaforma video accessibile sulla rete Internet.
GOOGLE HA UN RUOLO DI MERO INTERMEDIARIO NELLA PUBBLICAZIONE DI CONTENUTI RITENUTI DIFFAMATORI -
di Elena Bassoli ( n.IV_MMXIII )
Opinione of Advocate General- Case C 131/12 - Google Spain SL, Google Inc. v Agencia Española de Protección de Datos (AEPD). Il 25 giugno 2013 l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha riconosciuto a Google un ruolo di semplice intermediario rispetto ai contenuti ritenuti diffamatori immessi da terzi.
PROPOSTA DI LEGGE DI RATIFICA ED ESECUZIONE DEL TRATTATO DI NEW YORK SUL COMMERCIO DELLE ARMI -
di Elena Bassoli ( n.III_MMXIII )
Camera dei Deputati, proposta di legge n. 1239 del 12 luglio 2013. Il 12 luglio 2013 il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge di ratifica ed esecuzione del Trattato sul commercio delle armi “Arms Trade Treaty” (ATT), adottato nel marzo 2013 dall’Assemblea Generale delle Nazioni unite e firmato a New York il 2 aprile 2013. L’ATT risponde alla urgente necessità di colmare le lacune del commercio non regolamentato di armi convenzionali e di intensificare gli sforzi volti al consolidamento della pace e dell’assistenza umanitaria, perseguendo l’obiettivo di rendere il commercio, l’esportazione e il trasferimento delle predette armi più responsabili e trasparenti. L’Italia, pur disponendo in materia di una delle normative più avanzate a livello mondiale, ha svolto un ruolo importante in ogni fase del negoziato per raggiungere, sul piano legislativo, il migliore risultato possibile. Con riferimento alla compatibilità del Trattato con la normativa europea, l’Italia, come gli altri Paesi membri, ha firmato l’ATT previa autorizzazione del Consiglio europeo, il quale sta ora procedendo all’elaborazione della decisione che autorizzerà gli Stati al deposito dello strumento di ratifica presso il Segretariato generale delle Nazioni unite.
RIORDINO DELLA DISCIPLINA CIRCA GLI OBBLIGHI DI PUBBLICITÀ, TRASPARENZA E DIFFUSIONE DA PARTE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI -
di Elena Bassoli ( n.II_MMXIII )
Decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Con il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, entrato in vigore il 20 aprile 2013, in attuazione della delega conferita al Governo dall’art.1, comma 35, Legge 190/2012, il legislatore ha provveduto al riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.
Rapporto sulla trasparenza di Google: statistiche delle richieste di rimozione Url per violazione Copyright nel II semestre 2012 -
di Elena Bassoli (N. I_MMXIII)
Google riceve da titolari del copyright e organizzazioni di reporting che li rappresentano richieste di rimozione di risultati di ricerca che rimandano a materiali in presunta violazione dei copyright. In ogni richiesta sono riportati gli URL specifici da rimuovere.

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