di Andrea Girella
Corte di Cassazione, Sezione III Penale, sentenza n. 3465 del 3.10.2019 e depositata il 28 gennaio 2020.
La Terza sezione ha affermato che la disciplina penale in materia di contrabbando di tabacchi lavorati esteri di cui all’art. 291-bis, comma 2, d.P.R. n. 43 del 1973 trova applicazione, in forza dell’art. 62-quater, commi 1-bis e 7-bis, d.P.R. n. 504 del 1995, anche ai liquidi per sigarette elettroniche, secondo i criteri di equivalenza tra liquido da inalazione e tabacco lavorato estero determinati con provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in forza dei quali 1 ml di prodotto liquido corrisponde a 5,63 sigarette convenzionali.
La disciplina giuridica delle “sigarette elettroniche”, locuzione con cui ci si vuol riferire ai prodotti da inalazione senza combustione da sostanze liquide, è incardinata in un sistema complesso di disposizioni normative, soggetto a modifiche frequenti attesi gli interessi erariali sottostanti verso forme di consumo che diventano diffuse e popolari (quindi appetibili sotto il profilo del gettito) o, di contraltare, in risposta a gettiti tributari (quelli dei tabacchi tradizionali) erosi da queste nuove forme di consumo.
Va ricordato che l’accisa sui tabacchi, pur se considera questi ultimi come beni di tipo voluttuario, il cui consumo (cioè) è di per sé manifestazione di ricchezza, ha come ulteriore (e nobile) finalità quella di ridurre il consumo di prodotti che creano dipendenza (e, quindi, l’impatto negativo sulla collettività).
Il quesito qui in trattazione attiene alla vendita al dettaglio nel territorio italiano delle sigarette elettroniche e alle possibili incidenze sotto l’aspetto doganale atteso la non remota eventualità di poter contestare il reato di contrabbando.
Quest’ultimo, con riferimento ai tabacchi lavorati esteri (t.l.e.), è disciplinato dal d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (testo unico delle leggi doganali, oltre t.u.l.d.), all’art. 291-bis, comma 1.
Al di là dell’espressione testuale della norma, con il termine contrabbando si intende la violazione di leggi finanziarie recanti norme impositive di dazi sulle merci estere ovvero norme relative a divieti di entrata e di uscita delle stesse nel e dal territorio nazionale ovvero norme afferenti a dazi interni di consumo e a monopoli di stato.
Va ricordato che in generale i t.l.e. devono assolvere gli obblighi tributari (doganali/imposta di consumo).
Oggi, dopo un travagliato iter giuridico (di natura legislativa prima e interpretativa dopo), i t.l.e. sono da considerare equiparati ai liquidi da inalazione per sigarette elettroniche, e sottoposti all’imposta di consumo.
Le eccezioni mosse dagli indagati per reato di contrabbando hanno sempre riguardato l’erronea applicazione del t.u.l.d. in quanto non si tratterebbe di t.l.e., ma di sostanza equiparata. Infatti, la disposizione non prevederebbe espressamente un meccanismo di equivalenza tra liquido da inalazione e t.l.e., ma un mero rinvio a tale scopo all’equivalenza di consumo convenzionale determinata sulla base di apposite procedure tecniche, definite con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
In merito, il riferimento al Decreto direttoriale – ad oggi direttiva doganale n. 11038/RU del 25 gennaio 2018 del Direttore dell’Agenzia delle dogane e monopoli – sarebbe valido solo per quantificare l’imposta di consumo. Quindi, ne deriverebbe che eventuali violazioni al t.u.l.d. andrebbero sanzionate in via amministrativa dall’art. 295-bis dello stesso testo unico (diritti di confine per beni diversi dai t.l.e).
Di recente, la Corte di Cassazione, investita della questione, con sentenza del 28-01-2020, n. 3465 ha ritenuto non accettabile la tesi difensiva secondo cui nel determinare detta equivalenza, le menzionate direttive direttoriali erano dirette al solo fine di fornire parametri utili alla quantificazione dell’imposta sul consumo.
Ciò sulla constatazione che esse richiamano entrambe il d.P.R. n. 504/1995, art. 62-quater, comma 1-bis (il quale è a sua volta richiamato dal successivo comma 7-bis) al più ampio scopo di estendere ai prodotti da inalazione ivi contemplati la disciplina penale dei tabacchi, di cui al d.P.R. n. 43/1973, art. 291-bis.
In tale quadro, i commi 1-bis e 7-bis dell’art. 62-quater T.U.A. rappresenterebbero, quindi, norme penali in bianco, le quali, ai fini dell’applicazione dell’art. 291-bis t.u.l.d., sono integrate da provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle dogane e monopoli, che si basano sul raffronto fra i tempi medi per il consumo di sigarette tradizionali (con un campione composto dalle cinque marche più vendute) e quelli per il consumo di sigarette elettroniche (con un campione composto da dieci marche di liquido in commercio).
Si tratterebbe, pertanto, di una tecnica normativa che deve essere ritenuta consentita, perché, in linea di principio, le norme penali possono essere rivestite di contenuti in base a norme extrapenali integratrici del precetto penale, che possono essere emanate anche da autorità amministrative o sovranazionali, le quali dettano disposizioni regolatrici od impongono divieti anche in base ad accertamenti scientifici relativi a situazioni storiche determinate, come avviene, infatti, nel caso del raffronto fra sigarette tradizionali e sigarette elettroniche in commercio in un determinato momento.
Nel caso di specie, poi, l’indagato non può invocare la scarsa conoscibilità del quadro normativo, perché i criteri di corrispondenza di cui sopra sono ampiamente noti agli operatori e ai consumatori, anche in quanto pubblicizzati sul sito Internet dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
La Suprema Corte ha ritenuto, altresì, rispettati i presupposti individuati dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. C. Cost., n. 21/2009) per l’introduzione, nella descrizione del fatto incriminato, del riferimento ad elementi esterni al precetto, con funzione integratrice dello stesso; elementi che possono consistere anche in un richiamo a circolari amministrative. ©
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