di Mario Antinucci, Carmelo Ferrante, Alberto Di Taranto, Andrea Demozzi
Un recente brevetto made in Italy apre un nuovo orizzonte per la conservazione del reperto digitale nelle indagini penali, prevedendo la coesistenza di più firmware sullo stesso supporto (hard disk, memoria USB, CD, ecc.).
In questo numero: 1. L’inquadramento sistematico, 2. L’algoritmo di Hash e la c.d. impronta digitale, 3. L’utilizzo dell’impronta di Hash e le criticità nell’acquisizione dei reperti digitali.
Nel prossimo numero: 4. I nuovi orizzonti per la conservazione delle prove digitali, 5. Data di rilascio ed altre applicazioni.
1. L’inquadramento sistematico
Il mestiere del giurista rifugge dai “giardini di pietra” e si nutre di ciclici rivolgimenti, capaci di squadernare i copioni interpretativi, pigramente sedimentati dalla pratica giudiziale e dalla vulgata dei commentatori.
I recenti approdi delle scienze penalistiche nella “tempesta” digitale, l’emergere di fattori che scuotono categorie e orientamenti ermeneutici devono essere salutati come una benefica ventata di freschezza, capace di spingere l’interprete verso inediti itinerari speculativi, ovvero verso una nuova consapevolezza degli approdi teorici già raggiunti nel passato.
L’Unione Europea lavora da tempo all’introduzione di nuove norme per accelerare e rendere più sicuro l’accesso ai dati digitali utilizzati per indagare e perseguire i reati, indipendentemente dalla loro ubicazione nel cyberspazio.
La delicata questione giuridica dell’accesso transfrontaliero alle c.d. prove elettroniche è stata recentemente affrontata e disciplinata in data 5 maggio 2022 in sede di adozione del II° Protocollo addizionale alla Convenzione di Budapest sulla criminalità informatica, introdotto dal Consiglio d’Europa in data 19 novembre 2021, importante novella legislativa foriera di solide garanzie e requisiti in materia di protezione dei dati digitali, applicabili in tutti i paesi membri dell’UE.
All’indomani degli attentati di Bruxelles del 2016, nell’ambito di un’efficacie politica di contrasto alla criminalità nel cyberspazio, la Commissione ha presentato diverse proposte per facilitare la circolazione delle c.d. prove elettroniche nel processo penale, segnatamente con riguardo al terrorismo ed ai crimini transnazionali di maggiore allarme sociale.
Inserendosi nel cammino già tracciato, la Commissione Europea ha depositato, il 17 aprile 2018, la proposta COM (2018)225 di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo agli Ordini europei di produzione e di conservazione di prove elettroniche in materia penale, l’O.P.E. (ordine europeo di produzione) e l’O.C.E. (ordine europeo di conservazione delle prove elettroniche nei procedimenti penali).
La novità risiede innanzitutto nello strumento utilizzato: il regolamento, direttamente applicabile all’interno di ciascuno Stato membro senza l’intermediazione degli stessi.
In estrema sintesi, la proposta della Commissione prevede che l’autorità giudiziaria inquirente ordini direttamente al prestatore di servizi del sistema informatico o telematico, localizzato in un altro Stato, la conservazione o la produzione degli e-data in proprio possesso, al fine di velocizzare l’acquisizione degli stessi nell’era digitale.
L’autorità giudiziaria può emettere un ordine di conservazione europeo (O.C.E.) e ingiungere a un prestatore di servizi di conservare prove elettroniche in vista di una successiva richiesta di produzione. Tale ultima richiesta si sostanzia in un ordine di produzione europeo (O.P.E.), che consiste in una decisione vincolante di un’autorità di emissione di uno Stato membro, che ingiunge a un prestatore di servizi di altro Stato membro di produrre prove elettroniche in suo possesso.
Gli ordini emessi sono, in seguito, trasmessi per mezzo dei relativi certificati (denominati rispettivamente, per O.C.E. e O.P.E., E.P.O.C.-C.R. ed E.P.O.C.), il cui scopo è quello di «fornire tutte le informazioni necessarie al destinatario in un formato standardizzato, escludendo dati sensibili contenuti negli ordini di produzione e di conservazione come quelli relativi alla necessità o alla proporzionalità di tali provvedimenti investigativi, per evitare di compromettere la segretezza e il buon esito delle indagini».
In particolare, la natura sempre più immateriale dei dati, spesso custoditi in sistemi privi di fisicità in server cloud, rischia di mettere in crisi il sistema tradizionale legato alla sovranità territoriale degli Stati membri nell’applicazione delle regole penali e processuali penali.
Al fine di consentire agli organi inquirenti l’esecuzione degli atti investigativi in modo celere ed evitare le tempistiche dell’Ordine Europeo di Indagine (O.E.I.) – che possono essere eccessivamente lunghe in relazione alla volatilità dei dati elettronici – la proposta della Commissione vuole fare in modo che l’autorità giudiziaria di uno Stato membro possa ingiungere a un provider stabilito in un differente Stato di conservare o produrre i dati, come se questo fosse stabilito nel Paese nel quale è incardinato il procedimento.
Tale osservazione permette di comprendere a quale ulteriore finalità sia precipuamente asservita la ricordata procedimentalizzazione della prova elettronica: quella di apprestare le necessarie cautele per garantire la genuinità del dato raccolto, di per sé ontologicamente fragile, alterabile e falsificabile .
Nel delineato contesto, a valle della riforma del processo penale italiano introdotta dal D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito nella Legge 25 giugno 2020, n. 70, è stato istituito l’Archivio Digitale delle Intercettazioni, il quale ai sensi dell’art. 269, c.p.p. contiene il registro integrale delle intercettazioni richieste dall’ufficio del Pubblico Ministero e sotto la vigilanza del Procuratore della Repubblica, nonché ogni altra captazione ambientale eseguita attraverso il captatore informatico in applicazione dell’art. 89 dip. att. c.p.p., onde anche i diritti della difesa sono garantiti attraverso le procedure del relativo ufficio predisposte per il rilascio delle copie integrali dei R.I.T. nonché dei relativi progressivi, restando precluso l’accesso agli stessi supporti per il tramite della segreteria del P.M.
La genuinità della prova legale digitale nel processo penale (II parte)