La giurisdizione della Corte penale internazionale in materia di crimini internazionali

Il caso del conflitto russo-ucraino

di Saverio Giampiero Nuzzi ed Enrico D’Aquilio

Il recente conflitto tra la Russia e l’Ucraina ha riacceso i riflettori sui crimini internazionali (crimine di aggressione, crimine di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità), ossia quegli atti gravemente lesivi dei valori su cui si fonda la comunità internazionale. Si tratta di reati che si ritenevano – a torto – relegati ai libri di storia o, al limite, rinvenibili solamente in culture e in vicende lontane dalla nostra realtà e dal nostro vivere quotidiano. Il recente rapporto (pubblicato il 15 marzo 2023) della Commissione d’inchiesta internazionale indipendente, istituita su mandato delle Nazione Unite, ha evidenziato come la Russia abbia commesso dal febbraio 2022 in Ucraina “un’ampia gamma di violazioni del diritto internazionale, molte delle quali costituiscono crimini di guerra se non, in alcuni casi, crimini contro l’umanità”. Nella trattazione che segue, partendo proprio dalle risultanze di questa indagine, si cercherà di tracciare – in modo semplice e sintetico – i lineamenti caratterizzanti e distintivi le diverse categorie dei reati contemplati dal Diritto internazionale umanitario, illustrando, nel contempo, la natura, la giurisdizione, il meccanismo di funzionamento e i limiti operativi della Corte penale internazionale, quale soggetto sovranazionale preposto a perseguire siffatte violazioni.


 

  1. Premessa

Nella notte tra il 23 e il 24 febbraio 2022, il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha annunciato l’intendimento di condurre una “operazione militare speciale” in Ucraina. Il Presidente russo, in un messaggio video (annunciato come “discorso alla nazione”), nell’indicare come esigenza prioritaria la protezione delle popolazioni russofone nell’est dell’Ucraina, ha fissato l’end state della missione nella completa “smilitarizzazione e denazificazione” di Kiev, anche al fine di “prevenire le minacce strategiche” ai confini della Federazione Russa.

A distanza di poche ore dall’annuncio, le forze russe hanno oltrepassato il confine ucraino, anche attraverso la Bielorussia, e lanciato sistematici attacchi via terra, aria e mare.

Il territorio e le città ucraine sono diventate teatro di pesanti scontri. Mariupol è stata una delle prime città più pesantemente colpite, con migliaia di morti stimati e vari settori della città distrutti. Ben presto, con l’avanzare del conflitto, altre città e villaggi hanno subito pesanti attacchi missilistici, senza sosta e senza alcuna apparente tutela neppure per i siti e le installazioni strategiche, come centrali nucleari e dighe, in grado potenzialmente di provocare gravi catastrofi nucleari ed ecologiche.

  1. La risposta della comunità internazionale

Nei giorni immediatamente successivi all’inizio delle operazioni militari, un coro unanime di condanna è stato espresso da parte di tutta la comunità internazionale, a cominciare dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden che ha accusato le forze russe di compiere un “genocidio”, affermando che Vladimir Putin sembra intenzionato a “cercare di spazzare via l’idea” di una distinta identità ucraina.

L’Unione Europea ha reagito alla guerra di aggressione scatenata dalla Russia e all’annessione illegale delle regioni di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson con misure di vario tipo, tra cui diverse forme di assistenza alla popolazione ucraina, ma anche invio di armi, equipaggiamenti e finanziamenti alle forze armate di Kiev e con l’imposizione di sanzioni, sia settoriali sia individuali, contro la Russia e i suoi oligarchi[1].

Parallelamente, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, sulla scia delle terribili notizie, testimonianze e immagini di uccisioni e massacri di civili provenienti dal fronte di guerra, ha istituito, con la risoluzione A/HCR/49/L.1 adottata il 4 marzo 2022[2], una Commissione internazionale indipendente d’inchiesta per investigare su tutte le presunte violazioni del diritto internazionale umanitario e sugli eventuali abusi e crimini commessi nel contesto dell’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina, al fine di raccogliere le prove, identificare e assicurare alla giustizia internazionale gli autori, le unità militari e le catene di comando eventualmente responsabili.

  1. Le conclusioni della Commissione indipendente d’inchiesta

La Commissione d’inchiesta, presieduta da Erik Møse (Norvegia), già giudice del Tribunale per il Ruanda e della Corte europea dei diritti dell’uomo, e composta da Jasminka Džumhur (Bosnia ed Erzegovina) e Pablo de Greiff (Colombia), ha condotto indagini approfondite e su larga scala[3], rese ancor più complicate dalla necessità di appurare la veridicità e l’attendibilità delle migliaia di notizie, video e narrazioni, divulgate sui canali di informazione e sui social media (promosse dagli apparati di propaganda delle parti in conflitto, con la complicità di oltre 380 siti internet che hanno contribuito a diffonderle), molte delle quali rivelatesi poi false.

Infatti, il conflitto russo-ucraino si caratterizza – più di qualsiasi altra guerra attuale o del passato – dal massiccio ricorso alla cyber-war, che implica l’utilizzo di tecniche offensive o difensive di intrusione e compromissione dei sistemi e delle infrastrutture logiche e fisiche, ma anche di falsa propaganda, di disinformazione e di fake news, per manipolare ed ingannare l’opinione pubblica e ingenerare confusione.

La Commissione d’inchiesta ha stabilito, all’esito dell’istruttoria condotta e delle prove raccolte, che le forze russe – si legge nel rapporto conclusivo del 15 marzo 2023 – si sono macchiate di “un’ampia gamma di violazioni del diritto internazionale, molte delle quali costituiscono crimini di guerra se non, in alcuni casi, crimini contro l’umanità[4]. Sulla base di tali risultanze, la Camera Preliminare della Corte ha spiccato il 17 marzo 2023 un mandato di arresto internazionale nei confronti di Vladimir Putin.

Essenziali, per comprendere appieno la natura e la gravità dei crimini commessi, sono i dati indicati nel capitolo Impact on the civilian population: 8.006 civili uccisi e 13.287 feriti (dati stimati per difetto, alla data di pubblicazione del rapporto); 8 milioni di rifugiati che si sono riversati in tutta Europa, di cui il 90% donne e bambini; 18 milioni di persone rimaste in Ucraina bisognose di assistenza umanitaria.

Drammatiche sono anche le testimonianze acquisite su torture sistematiche e altri atti degradanti e diffusi “che mostrano disprezzo per i civili”. Si fa esplicito riferimento a bambini deportati e soggetti a violenze di ogni tipo. Altri casi riguardano violenze sessuali e di genere su donne, uomini e ragazze, di età compresa tra i 4 e gli 82 anni, con nudità forzate e umiliazioni imposte come metodo nelle perquisizioni domiciliari, nei “campi di filtrazione” e ai posti di blocco.

Alla domanda di molti giornalisti se le azioni di Mosca possano considerarsi sistematiche e non episodiche, il presidente Møse ha parlato di “ipotesi di genocidio”.

La Commissione, per completezza di trattazione, ha altresì documentato e accertato un “piccolo numero” di violazioni commesse dalle forze ucraine, tra cui attacchi “probabilmente indiscriminati” e due casi di esecuzione e tortura di detenuti russi, definiti crimini di guerra.

  1. Le diverse categorie dei più gravi crimini internazionali

L’aspetto che maggiormente balza agli occhi è come le gravissime violazioni compiute siano state declinate con termini di volta in volta differenti. Il Presidente degli Stati Uniti parla di “genocidio”, l’Unione Europea di aggressione, le principali istituzioni internazionali di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità.

La questione genera non poca confusione nell’opinione pubblica e, in particolare, tra i non addetti ai lavori. Proviamo allora a fare chiarezza sulla correttezza tecnica dei termini impiegati, andando ad esaminare nel dettaglio gli elementi costitutivi di queste gravi violazioni del diritto internazionale, per le quali – è opportuno sottolineare – non esistono termini di prescrizione, il che significa che le persone sospettate di essersi macchiate di tali crimini possono essere processate senza limite di tempo.

  1. Il crimine di aggressione

L’art. 8 bis dello Statuto della Corte penale internazionale[5] definisce il crimine di aggressione come “la pianificazione, preparazione, avvio o esecuzione … di un atto di aggressione che, per la sua natura, gravità e magnitudine, costituisce una violazione manifesta della Carta delle Nazioni Unite”; di tale crimine possono rendersi responsabili gli individui che si trovino “in una posizione tale da controllare o dirigere effettivamente l’azione politica o militare di uno Stato”. Ne consegue che per il crimine di aggressione possono essere processati solo i vertici politici e militari di un determinato Stato.

L’atto di aggressione è ulteriormente definito dalla citata norma come “l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato, o in ogni altro modo incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite”.

Il termine genocidio fu usato per la prima volta con un’accezione prettamente giuridica nel 1944 da Raphael Lemkin, specialista in diritto penale e internazionale, che coniò il termine per descrivere lo sterminio nazista perpetrato ai danni degli ebrei. L’art. II della Convenzione delle Nazioni Unite del 1948 per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio[6] individua le seguenti cinque condotte che configurano la fattispecie, quando “commesse con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”: l’uccisione di membri del gruppo; l’inflizione di gravi lesioni fisiche o mentali ai membri del gruppo; la deliberata sottoposizione del gruppo a condizioni di vita dirette a causarne la distruzione fisica, in tutto o in parte; l’imposizione di misure volte a impedire le nascite all’interno del gruppo; il trasferimento forzato di bambini del gruppo ad un altro gruppo.

I crimini di guerra sono gravi violazioni del diritto internazionale commessi dagli Stati, da enti internazionali o da agenti statali. Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e il I Protocollo Addizionale del 1977, che dettano disposizioni per la protezione delle vittime dei conflitti internazionali (ad eccezione dell’art. 3 comune, applicabile nei conflitti interni), contengono un elenco di infrazioni, la cui commissione comporta la responsabilità penale individuale, che possono configurarsi come crimini di guerra. In punto di diritto, trattasi di crimini che possono essere commessi sia da combattenti che da civili, purché vi sia una connessione tra l’atto da questi compiuto e il conflitto armato.

I crimini di guerra possono essere distinti in quattro gruppi: crimini contro persone protette (attacco deliberato contro la popolazione civile o singoli civili che non partecipino direttamente alle ostilità; uccisione e tortura di prigionieri di guerra; reclutamento di bambini soldato; attacco intenzionale contro il personale di una missione di assistenza umanitaria o di peacekeeping); crimini contro beni protetti (attacco deliberato contro beni civili che non costituiscano obiettivo militare; distruzione e sequestro di beni dell’avversario che non siano imperativamente richiesti dalla necessità militare[7]; attacco contro edifici religiosi, monumenti storici, musei e ospedali, che non costituiscano obiettivo militare; il saccheggio di paesi e luoghi; l’attacco intenzionale nei confronti di edifici, materiali e mezzi di trasporto che espongano gli emblemi distintivi delle Convenzioni di Ginevra); crimini connessi all’impiego di metodi di combattimento vietati (l’uccisione e il ferimento di combattenti avversari mediante il ricorso alla perfidia; la deliberata riduzione alla fame dei civili, privandoli dei beni indispensabili per la sopravvivenza; l’impiego di civili come scudi umani); crimini relativi all’uso di mezzi di combattimento proibiti (l’uso di armi chimiche; l’impiego di armi batteriologiche; l’utilizzo di armi che abbiano come principale effetto quello di produrre il ferimento mediante schegge nel corpo non individuabili con i raggi X; l’uso di armi laser specificamente concepite per provocare una cecità permanente).

L’art. 7 dello Statuto della Corte penale, nel fornire una elencazione delle condotte che possono configurarsi come crimini contro l’umanità, precisa che tali comportamenti devono essere “commessi come parte di un attacco esteso o sistematico diretto contro qualsiasi popolazione civile, con la consapevolezza dell’attacco”.

Si tratta, dunque, di forme di violenza (come omicidio, sterminio, riduzione in schiavitù, deportazione e trasferimento forzato di popolazione, tortura, stupro, ecc.) perpetrate in maniera sistematica contro un popolo o parte di esso e che vengono, a loro volta, percepite dall’opinione pubblica internazionale come un danno contro l’intera umanità.

Diversamente dai crimini di guerra, i crimini contro l’umanità possono essere compiuti sia durante un conflitto armato che al di fuori di esso, in tempo di pace. Inoltre, mentre i crimini di guerra sono diretti contro combattenti o civili di nazionalità nemica o comunque legati da un vincolo di fedeltà all’avversario, per i crimini contro l’umanità è irrilevante la nazionalità della vittima. Occorre pure rilevare che mentre i crimini di guerra possono essere atti isolati, i crimini contro l’umanità richiedono l’esistenza di una molteplicità di condotte lesive.

  1. Lo Statuto di Roma e la nascita della Corte penale internazionale (CPI)

Le gravissime violazioni compendiate nel paragrafo precedente hanno in comune il fatto di ricadere sotto la giurisdizione[8] della Corte penale internazionale, con sede a L’Aja (Paesi Bassi), che è la prima giurisdizione penale sovranazionale indipendente e permanente.

Trattasi di un’istituzione pensata e fortemente voluta dall’Assemblea generale dell’ONU fin dal 1948, quando era stata ipotizzata e auspicata la possibilità per gli Stati di deferire i giudizi sui crimini internazionali ad un Tribunale appositamente costituito. Tuttavia, a causa dell’immobilismo determinato dal clima politico negli anni della guerra fredda, l’ambizioso progetto subì un rallentamento fino al 1994, quando venne costituito un apposito comitato all’interno delle Nazioni Unite[9].

Grazie anche all’esperienza dei Tribunali per i crimini internazionali commessi nella ex Jugoslavia (1993) e in Rwanda (1994), si arrivò ad organizzare a Roma (dal 15 giugno al 17 luglio del 1998) la Conferenza dei rappresentanti degli Stati membri delle Nazioni Unite, che si concluse con l’approvazione dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, che si compone di un preambolo e di 128 articoli, suddivisi in 13 parti.

Lo Statuto di Roma è entrato in vigore nel luglio del 2002, quando è stata depositata la sessantesima ratifica[10] presso il Segretario Generale delle Nazioni Unite. Attualmente gli Stati che hanno ratificato lo Statuto sono 12, di cui solo due – ovvero Francia e Regno Unito – dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Manca infatti la ratifica di Stati Uniti, Russia e Cina.

La Corte, composta da 18 giudici, scelti tra persone in possesso dei requisiti di nomina ai più alti uffici giudiziari nei paesi di provenienza, è competente a giudicare gravi crimini internazionali commessi nei territori o da cittadini degli Stati parte dopo l’entrata in vigore dello Statuto[11].

La CPI esercita il proprio potere giurisdizionale sulle persone fisiche e non sugli Stati nazionali, diversamente dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU. Inoltre, l’imputato non può essere processato in contumacia, ma deve essere presente fisicamente in aula (ragionevolmente in stato di arresto).

Sebbene la competenza non sia dunque universale, lo Statuto crea un sistema di giustizia penale a vocazione universale. Inoltre, a differenza dei tribunali ad hoc, la CPI ha natura complementare: mentre i primi si pongono in posizione di primazia rispetto ai tribunali nazionali, la Corte può intervenire solo nel caso in cui lo Stato “non voglia o non possa” perseguire i crimini per cui essa stessa è competente (cd. “principio di complementarità”) per unwillingness (difetto di volontà), o per inability (incapacità) o “collasso istituzionale” dello Stato (cd “principio di sussidiarietà”).

Affinché un caso possa essere giudicato dalla Corte – essendo la sua giurisdizione di natura non universale e complementare – è necessario il consenso dello Stato che sarebbe competente a esercitare la giurisdizione rispetto a esso (cd. “principio del consenso”)[12].

Lo Statuto di Roma prevede tre differenti modalità attraverso cui la Corte può esercitare il proprio potere giurisdizionale.

La prima procedura consiste nella segnalazione di uno o più Stati parte al procuratore riguardo crimini compiuti nel proprio territorio o nel territorio di un altro Stato. Tale procedura ha dato origine al maggior numero di indagini, tra cui quella che ha portato alla prima sentenza di condanna per crimini di guerra pronunciata nel marzo del 2012 nei confronti del congolese Thomas Lubanga Dyilo.

La seconda modalità prevede l’attivazione della Corte su iniziativa del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che si pronuncia con una Risoluzione. L’attivazione da parte del Consiglio di Sicurezza permette di estendere la competenza della Corte anche a Stati formalmente non aderenti allo Statuto.

La terza modalità prevede che la Corte sia attivata a seguito dello svolgimento di un’indagine motu proprio del procuratore, i cui elementi conclusivi siano valutati in modo positivo dalla Camera Preliminare che ne autorizza successivamente l’azione.

Da questa breve disamina appaiono piuttosto evidenti taluni limiti operativi strutturali della CPI, primi fra tutti la giurisdizione non avente carattere universale e il principio di complementarità che ne limita fortemente l’azione, resi ancora più manifesti dal conflitto russo-ucraino.

Infatti, né la Russia né l’Ucraina – quest’ultima, nel 2000, ha firmato ma mai ratificato lo Statuto di Roma – sono Stati parte della Corte Penale Internazionale, e perciò si pongono al di fuori della sua competenza.

Peraltro, anche un’eventuale attivazione della Corte attraverso il deferimento del Consiglio di sicurezza dell’ONU (che consentirebbe di estendere la competenza della Corte anche agli Stati non aderenti allo Statuto) appare un’ipotesi altamente improbabile, avendo la Russia potere di veto.

  1. Considerazioni conclusive

Come appurato dalla Commissione indipendente d’inchiesta, il conflitto russo-ucraino si caratterizza per un livello assai alto e generalizzato di violazione dei diritti umani. Non vi è dubbio, infatti, che sia stato commesso, ad opera delle forze armate russe, il crimine di aggressione contro l’Ucraina e la sua popolazione. Neppure possono esserci dubbi sul fatto che dall’inizio delle ostilità siano stati commessi molti crimini di guerra e crimini contro l’umanità[13].

Tuttavia, la storia insegna che la strada per perseguire i responsabili dei crimini internazionali è lunga e tortuosa, e non sempre arriva al traguardo, a causa soprattutto di taluni vincoli operativi e strutturali della Corte penale internazionale che – come abbiamo visto – ne limitano l’efficacia e ne ostacolano l’effettivo esercizio dell’azione penale.

Nondimeno, la possibilità (fortemente auspicata dall’Ucraina e da gran parte della comunità internazionale) di ricorrere all’istituzione di un Tribunale speciale internazionale ad hoc, sul modello di quello della ex-Jugoslavia e del Ruanda, non appare facilmente replicabile, atteso che il Consiglio di sicurezza dell’ONU, a cui risale tale prerogativa, sarebbe oggi impossibilitato a procedere in considerazione del potere di veto della Russia in seno a tale organo.

Nonostante le enormi difficoltà applicative, risulta però fondamentale continuare a sostenere con convinzione il diritto internazionale umanitario che rimane l’ultimo baluardo alla barbarie e alla violenza incontrollata e gratuita specie in danno della popolazione civile (in primis donne e bambini), che sembra caratterizzare tutti gli odierni conflitti. Il rischio, infatti, è quello di assuefarsi ai crimini internazionali, non riuscendo più a discernere cosa è accettabile e cosa non lo è, arrivando finanche a pensare che “in guerra tutto è lecito” e che i crimini di guerra siano inevitabili strascichi di ogni conflitto.

[1] L’Unione europea ha progressivamente adottati dei pacchetti di sanzioni (che riguardano, tra l’altro, l’export di beni e servizi strategici, l’assistenza tecnica e finanziaria, il congelamento di beni e il divieto di ingresso nell’UE di varie persone fisiche e giuridiche, il blocco dello spazio aereo e delle riserve internazionali della Banca centrale russa e l’esclusione di alcune banche russe dal sistema dei pagamenti internazionali Swift) che si aggiungono alle misure restrittive già imposte alla Russia a partire dal 2014 a seguito dell’annessione della Crimea e della mancata attuazione degli accordi di Minsk.

[2] Risoluzione adottata con 32 voti a favore, 13 astensioni e 2 voti contrari (Russia ed Eritrea).

[3] Per lo svolgimento del proprio mandato, la Commissione – affiancata da un team investigativo di otto persone – si è recata in Ucraina 8 volte, visitando 56 città, paesi e insediamenti, intervistando 595 persone (348 donne e 247 uomini), ispezionando siti, tombe, luoghi di detenzione e tortura, nonché consultando documenti, fotografie, immagini satellitari e video.

[4] Human Rights Council Fifty- second session. Agenda item 4. Human rights situations that require the Council’s attention. Report of the Independent International Commission of Inquiry on Ukraine 15 March 2023.

[5] Introdotto con un emendamento adottato dalla Conferenza di revisione di Kampala del 2010 (Resolution RC/Res.6, 11.6.2010, Annex I).

[6] Adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione 260 (III) A del 9 dicembre 148. Entrata in vigore internazionale: 12 gennaio 1951.

[7] La necessità militare impone di impiegare la forza solo nella quantità necessaria per l’assolvimento della missione, legittimando l’attacco condotto contro un obiettivo militare in presenza di un vantaggio militare preciso. La necessità militare, pertanto, deve essere applicata in stretto coordinamento con i principi che governano il diritto internazionale umanitario quali il principio di distinzione e proporzionalità. In passato, la necessità militare era spesso invocata per giustificare una condotta vietata dalle leggi di “guerra”. Il Gen. Eisenhower, allo scopo di evitare un uso strumentale della necessità militare, rivolgendosi alle proprie truppe durante le operazioni successive allo sbarco in Francia del 1944, così si espresse: “non voglio che l’espressione necessità militare nasconda la rilassatezza o l’indifferenza: essa è talora utilizzata per situazioni nelle quali sarebbe più esatto parlare di comodità militare o anche di comodità personale”. Nel 1950 il Tribunale di Norimberga (caso List e altri) chiarì, definitivamente, che la necessità militare non poteva essere invocata per giustificare crimini di guerra (nel caso di specie, l’uccisione della popolazione civile e la distruzione di villaggi e città).

 

[8] Il crimine di aggressione è soggetto a un regime di giurisdizione rafforzato che richiede che gli Stati coinvolti siano membri della Corte.

[9] Nel 1995, l’Assemblea generale, con la risoluzione 50/46, istituisce una commissione preparatoria con il mandato di approntare “il testo unificato e ampiamente condiviso di una convenzione per una corte penale internazionale visto come primo passo per l’esame da parte di una conferenza di plenipotenziari”. Successivamente, il 16 dicembre 1996, l’Assemblea generale delibera, con la risoluzione n. 51/207, l’avvio di una conferenza diplomatica con l’obiettivo di “ultimare ed adottare una convenzione per l’istituzione di una corte penale internazionale”.

[10] L’Italia, che da sempre ha dato pieno sostegno alla Corte e allo Statuto di Roma, è stata tra i primi Paesi a procedere alla ratifica di tale strumento con la legge 12 luglio 1999, n. 232.

[11] Queste le inchieste svolte o in via di svolgimento dalla CPI: Uganda (luglio 2004), Repubblica democratica del Congo (giugno 2004), Darfur (giugno 2005), Repubblica centrafricana I (maggio 2007), Kenya (marzo 2010), Libia (marzo 2011), Costa d’Avorio (ottobre 2011), Mali (gennaio 2013), Repubblica centrafricana II (settembre 2014), Georgia (gennaio 2016), Burundi (ottobre 2017), Bangladesh/Myanmar (novembre 2019), Afghanistan (novembre 2017), Stato di Palestina (gennaio 2015), Repubblica delle Filippine (settembre 2021), Venezuela I (settembre 2018) e Ucraina (marzo 2022).

[12] V, in proposito, Servizio Affari internazionali del Senato della Repubblica, La giustizia penale internazionale e il conflitto in Ucraina: le proposte in campo su un tribunale speciale per il crimine di aggressione, 2023, Nota n. 1.

[13] Cfr. A. Bultrini, Alcune considerazioni di un giurista internazionalista sull’invasione dell’Ucraina, in Questione Giustizia, Fascicolo 1/2022.

 

 

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