Domenica 12 giugno si sono svolti i referendum in tema di Giustizia. Tre delle cinque domande erano inerenti le funzioni della magistratura e la regolamentazione del CSM in qualità di organo di governo della stessa. In particolare, agli italiani è stato chiesto di esprimersi in relazione all’abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa nella carriera dei magistrati, all’abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte, all’abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura.
E’ evidente che così posti i quesiti sono risultati incomprensibili ai più, al punto che il referendum ha segnato un record negativo di partecipazione con un dato finale di affluenza inferiore al 21%, in parte complici anche i partiti, ad eccezione di quelli promotori, che si sono poco mobilitati perché probabilmente non hanno creduto che fosse possibile tradurre queste domande in modo più semplice. C’è da considerare anche che il referendum abrogativo è ormai inflazionato in Italia, avendone fatto ricorso in ben 18 occasioni precedenti per un totale di 72 quesiti. Negli ultimi 15 anni solo una consultazione abrogativa su nove è risultata valida ed è accaduto nel 2011, quando gli elettori furono chiamati ad esprimersi su temi di facile comprensione: dall’abrogazione della gestione privata dell’acqua a quella delle norme che consentivano la produzione di energia nucleare. Non ci siamo scoraggiati, soprattutto non potevamo non trovare altre strade per la riforma della Giustizia perché è uno degli obiettivi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, che “deve” essere portato a termine per ottenere i finanziamenti europei. Muovendosi in anticipo, ad aprile 2021, il Governo ha ripreso il testo della riforma proposta dal Ministro Bonafede l’anno prima. L’11 febbraio 2022 lo stesso Governo ha presentato una serie di modifiche al testo con la necessità di approvare il disegno di legge in tempo utile per l’elezione del prossimo CSM. Giovedì 16 giugno 2022, dopo appena 4 giorni dal naufragio del referendum, il Senato ha così potuto approvare definitivamente il disegno di legge che delega il Governo a riformare l’ordinamento giudiziario, introducendo nuove norme in materia organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del CSM.
La nuova legge n. 71 del 17 giugno 2022, agli articoli da 1 a 6, delega infatti il Governo alla revisione dei criteri di assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi secondo principi di trasparenza e di valorizzazione del merito, ma soprattutto alla riduzione degli incarichi semidirettivi. Sono previste anche le riforme del procedimento di approvazione delle tabelle organizzative degli uffici giudiziari, delle procedure di valutazione di professionalità dei magistrati, intervenendo sulla disciplina dell’accesso in magistratura, dettando principi e criteri direttivi volti ad abbandonare l’attuale modello di selezione. A tal proposito si ricorda che nell’ultimo concorso solo il 5,7% è stato ammesso agli orali; per agevolare l’accesso in magistratura, il nuovo art. 4 prevede che i laureati che abbiano conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni possano essere immediatamente ammessi a partecipare al concorso per magistrato ordinario.
Per quanto riguarda le tanto discusse “porte girevoli”, il nuovo art. 12 prevede il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e, viceversa, una sola volta nel corso della carriera entro nove anni dalla prima assegnazione delle funzioni. Trascorso tale periodo, sarà ancora consentito per una sola volta il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, purché l’interessato non abbia mai svolto funzioni giudicanti penali, ed il passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti civili o del lavoro, purché il magistrato non si trovi, neanche in qualità di sostituto, a svolgere funzioni giudicanti penali o miste.
Gli articoli da 18 a 20 introducono una specifica disciplina sul ricollocamento in ruolo dei magistrati che si siano candidati alle elezioni, senza essere stati eletti, prevedendo che essi non possano essere ricollocati in ruolo per i successivi 3 anni con assegnazione ad un ufficio avente competenza sul territorio di una regione compresa in tutto o in parte nella circoscrizione elettorale in cui sono stati candidati; con assegnazione ad un ufficio situato in una regione nel cui territorio ricade il distretto nel quale esercitavano le funzioni al momento della candidatura; con assegnazione delle funzioni di giudice per le indagini preliminari o dell’udienza preliminare o delle funzioni di pubblico ministero; con assunzione di incarichi direttivi o semidirettivi.
Il 13 luglio 2022 la Commissione Europea ha pubblicato la terza relazione annuale sullo Stato di diritto, che comprende 27 capitoli dedicati ai singoli paesi e, per la prima volta, anche raccomandazioni mirate per ciascuno Stato membro. Nel nostro caso gli sforzi avviati per la riforma della Giustizia non sono stati bocciati, ma non sono stati neanche valutati come sufficienti, poiché la Commissione indica che, sebbene la riforma affronti gli eccessivi ritardi nei procedimenti per corruzione, in aggiunta è necessario implementare un attento monitoraggio per garantire che i casi di corruzione non siano automaticamente chiusi a livello di appello. La Commissione ha rilevato anche che sono pendenti diverse proposte legislative volte a rafforzare la prevenzione della corruzione, comprese la protezione degli informatori, i conflitti di interesse ed il lobbismo. Inoltre, le regole di finanziamento dei partiti politici e delle campagne elettorali mostrano “scappatoie” significative: la pratica di convogliare donazioni a partiti politici attraverso fondazioni e associazioni politiche rappresenta un serio ostacolo alla responsabilità pubblica, in quanto le transazioni sono difficili da tracciare e non esiste un registro unico.
In conclusione si tratta di una riforma dettata, forse troppo velocemente, dalla necessità di poter rispettare gli adempimenti previsti dal PNRR ed accedere ai relativi finanziamenti, e poco guidata anche dall’esigenza di aumentare l’autonomia della magistratura e la propria indipendenza dalla politica. Lo stesso presidente della Commissione Giustizia al Senato ha dichiarato che la riforma è stata un compromesso “al ribasso” tra diverse richieste, non sufficiente per risolvere il vero problema della degenerazione delle correnti che si sono concentrate sulla spartizione di incarichi, così come abbiamo scoperto nel caso Palamara.
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