di Annunziata Campolo e Maria De Giorgio
La mediazione penale minorile è stata introdotta dagli artt. 9, 27, 28 del D.P.R. n. 448 del 1988. Sviluppare la mediazione nell’ambito giudiziario minorile significa superare la visione del reato quale atto isolato. La vittima è il soggetto principale della procedura: la mediazione, infatti, è, prima di tutto, diretta alla tutela della vittima, ai suoi interessi ed ai suoi bisogni. La procedura di mediazione penale minorile ha inizio con un incontro separato del mediatore con la vittima e con l’autore del reato e si sviluppa attraverso varie fasi.
5. Gli ambiti di applicazione della mediazione penale minorile
In Italia le prime esperienze di mediazione penale sono state avviate, a partire dal 1995, nella città di Torino, Bari, Milano, Trento, Bolzano, Genova, Ancona, Napoli, Salerno, Catanzaro, Palermo e Cagliari, sotto l’impulso dei rispettivi Tribunali per i Minorenni.
Nell’ordinamento italiano, il 24 Ottobre 1989, è entrata in vigore la nuova normativa sul processo penale a carico di minorenni, regolata dal D.P.R 22/09/1988 n. 448 (Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni) e dal Decreto Legislativo 28/07/1989 n. 272 (norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del D.P.R. 448/88).
Entrambi i testi legislativi hanno ulteriormente accentuato gli interventi sociali e civili ed il ruolo educativo del procedimento rispetto alle valenze repressive, introducendo istituti miranti a favorire la rapida uscita del minore dal “circuito penale”.
A tale proposito il legislatore ha previsto più occasioni dove poter inserire la mediazione penale. Il ricorso della mediazione, infatti, risulta estremamente significativo nell’ambito minorile per la sua valenza pedagogica, in quanto l’impegno nel rimediare ai danni arrecati dalla commissione del reato fa prendere coscienza al minore dell’esistenza di una reale vittima, che ha subito o sta subendo ancora le conseguenze della sua attività.
Tutto questo appare estremamente importante per il cambiamento e lo sviluppo della personalità. In particolare:
L’art. 28 prevede la sospensione del processo e la messa alla prova, che rappresenta una delle innovazioni più significative previste dal processo penale minorile (in linea con l’evoluzione culturale della giustizia minorile e con quanto previsto dai più recenti documenti internazionali), in quanto tutte le ipotesi di probation, applicate in altri paesi, suppongono la pronuncia di una sentenza di condanna. Nella sospensione del processo con messa alla prova l’obiettivo del recupero prevale, invece, sulla pretesa statuale di processare e punire per un fatto costituente reato, a condizione che sussistano concreti elementi per ritenere che il minore abbia superato le proprie difficoltà o possa superarle.
Il presupposto dell’istituto dell’art. 28 è che il recupero sociale del minore sia più probabile nell’ambiente abituale di vita: la detenzione, al contrario, isolerebbe il soggetto dal suo contesto sociale e familiare e comporterebbe la cristallizzazione del singolo atto trasgressivo.
Il giudice, quando ritiene che vi siano risorse personali del ragazzo e ambientali idonee, può decidere, sulla base di valutazioni e proposte degli operatori sociali, di applicare la misura, se le caratteristiche di personalità del soggetto lasciano presupporre che egli sappia avvantaggiarsi della decisione.
L’art. 28 prevede, quindi, la possibilità per il giudice di sospendere, in udienza preliminare dal GUP o in dibattimento, l’iter processuale per un periodo non superiore ad un anno o a tre anni (in caso di reati gravi).
Con l’ordinanza di sospensione il giudice affida il ragazzo ai servizi della giustizia minorile che, in collaborazione con i servizi locali, svolgono un’attività di osservazione, trattamento e sostegno, verificando l’osservanza delle prescrizioni impartitegli dal giudice. L’ordinanza di sospensione può, inoltre, contenere prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la riconciliazione con la persona offesa dal reato.
La sospensione può essere revocata in caso di gravi e ripetute trasgressioni delle prescrizioni imposte (art. 28 comma 5);
L’art. 29 afferma che, decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza (preliminare o dibattimentale, secondo lo stadio del processo raggiunto prima della sospensione) e dichiara con sentenza estinto il reato, se ritiene che la prova abbia dato esito positivo, tenuto conto del comportamento del minore e delle evoluzioni della sua personalità. Nel caso, invece, ritenga che la prova non abbia dato esito positivo, fisserà un’udienza per adottare i provvedimenti richiesti, valutare la responsabilità o meno dell’imputato, emettere la decisione ritenuta più congrua, dopo la valutazione della sua personalità e delle prove raccolte.
L’art. 31 prevede l’audizione della parte offesa, in funzione della valutazione della personalità del minore ed in funzione di una possibile previsione di mediazione.
L’art. 32 – tra i provvedimenti adottabili nell’udienza preliminare dal giudice vi è l’applicazione al minore di una sanzione sostitutiva, tra le cui prescrizioni può prevedersi la mediazione con la vittima.
L’art. 20 stabilisce che, in esecuzione delle misure cautelari, siano impartite al minore delle prescrizioni inerenti alle attività di studio, di lavoro o comunque utili per la sua educazione, comprese quindi attività di riparazione del danno provocato dal reato.
Benché il progetto della messa alla prova sia predisposto anteriormente all’intervento del giudice e l’imputato debba darvi il suo assenso, per cui il minore è sin dall’inizio coinvolto nell’eventuale tentativo di mediazione, il contenuto del progetto deve essere vagliato e recepito nel provvedimento emesso di sospensione e messa alla prova emanato dal giudice. Questa circostanza non può evitare che quella “conciliazione” sia percepita come una forma di pena, alternativa a quella irrogabile alla fine del procedimento.
L’occasione di una mediazione attivata, in una fase preprocessuale, dal P.M., si intravede nell’art. 27 che prevede, appunto, ancora durante le indagini preliminari, che il giudice possa pronunciare una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, per “la tenuità del fatto e la occasionalità del comportamento… quando l’ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minorenne”.
Un’altra opportunità viene offerta nell’art. 9 del D.P.R. 448/88 laddove è previsto che “il PM e il giudice acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto”.
Un ulteriore spazio innovativo della messa alla prova è rappresentato dall’attività di riparazione del danno e di conciliazione della parte offesa, previsto come uno degli elementi da considerare nell’elaborazione del progetto di intervento.
Viene assegnato valore alla ricomposizione della devianza, e quindi del conflitto che essa ha generato, attraverso l’uso di mediazione giudiziaria: mediazione, perché coinvolge soggetti da mettere in relazione affinché si arrivi alla composizione del conflitto; giudiziaria, in quanto i risultati sono definiti nel processo ed esercitano un’influenza sull’andamento e sull’esito di questo.
Infine, il Ministero Giustizia, per mezzo dei documenti redatti dall’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile (10/11/1995, 12/02/1966, 01/04/1996) sulla base dei numerosi esperimenti stranieri, ha invitato gli operatori ad introdurre nel nostro paese l’istituto della mediazione penale in ambito minorile.
Altri articoli di Annunziata Campolo Altri articoli di Maria De Giorgio