di Michele Lippiello e Bruno Erculei
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 20384/2021, ha osservato che la registrazione fonografica di un colloquio tra presenti rientra nel genus delle riproduzioni meccaniche ex art.2712 cod.civ., così da costituire ammissibile mezzo di prova anche nel processo civile.
E se questo principio si applicasse al mondo militare? Da una parte i criteri di imparzialità, buon andamento e trasparenza, come quello di diligenza e obiettività sono direttamente riconducibili all’azione amministrativa, ma altrettanto non può dirsi per gli altri principi “lealtà e correttezza”. Il militare infingardo tradisce il suo status e la sua essenza minando direttamente le fondamenta del suo essere.
Come già dimostrato dalla giurisprudenza, la registrazione di comunicazioni tra presenti non costituisce reato. Ma dobbiamo chiederci: è sempre possibile registrare una comunicazione di servizio o un colloquio tra militari?
Una prima verifica va compiuta analizzando le norme qualificanti gli illeciti disciplinari ricompresi tra l’art.712 e l’art.751 del d.P.R. 15/03/2010, n. 90.
L’art.745 d.P.R. 15/03/2010, n. 90 è norma di servizio che, pur nella sua astrattezza, afferma che può essere proibito dal “Comandante di Corpo o da altra autorità superiore, in relazione a particolari esigenze di sicurezza, anche temporanee, l’uso o la semplice detenzione di macchine fotografiche o cinematografiche o di apparecchiature per registrazioni foniche o audiovisive”.
In concreto il Comandante di Corpo (o autorità superiore) in un atto amministrativo dovrebbe condensare:
l’esatta qualificazione delle esigenze di sicurezza a presupposto della tutela delle istallazioni, dei servizi di istituto e delle informazioni. L’atto dovrebbe catalogare un caleidoscopio di ipotesi così complesso da renderlo scarsamente applicabile. I motivi, a parere di chi scrivere, sarebbero due:
- approssimativa previsione delle fattispecie, forte limitazione dell’operatività dei reparti;
- la definizione di apparecchiature per registrazioni foniche o audiovisive.
Lo sviluppo della tecnologia ha consentito di concentrare in un unico apparecchio – lo “smartphone” – tutte le funzioni che solo qualche tempo addietro erano dedicate ad una singola unità hardware. La miniaturizzazione degli apparati ha permesso prima di superare unità necessitanti di apparato di registrazione e supporto informatico (cassetta o minidisco) per poi approdare a semplici registratori dotati di memoria fissa, e infine giungere ad applicazioni che rendono il nostro apparato di comunicazione mobile in grado di registrare qualunque momento della vita che avvenga nella nostra percezione (immagine o suono). Senza dimenticare che il Comandante di Corpo, non potendo vietare l’uso degli “smartphone”, dovrebbe inibire l’utilizzo di alcuni applicativi, ma solo per le materie che siano astrattamente sussumibili alle “esigenze di sicurezza”. I controlli sarebbero farraginosi se non praticamente impossibili.
Nell’ottica della stretta regolamentazione dell’utilizzo degli strumenti informatici si è inserita la circolare del Comando Generale/SM/Ufficio Affari giuridici e Condizione militare che pone il divieto di:
- trattare a qualsiasi titolo questioni di servizio, informazioni d’ufficio di carattere riservato;
- partecipazione a pagine tematiche con contenuti ideologici;
- divulgazione di dati personali di soggetti terzi;
- diffusione di immagini relative ad attività di servizio;
- trasmissione a soggetti diversi dall’A.G. di registrazioni foniche o visive;
- ricorso a applicazioni social per interloquire con l’amministrazione;
- rilascio su blog o riviste on line di interventi attinenti questioni di servizio.
Il codice di comportamento per i dipendenti del ministero della difesa adottato con D.M. del Ministro della Difesa datato 23 marzo 2018 all’art.2 prevede che i doveri di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta, costituiscono, altresì, principi di comportamento per il personale di cui all’articolo 3 del citato Decreto Legislativo n. 165/2001 dotato di un rapporto di impiego.
All’art. 2 ter è ulteriormente specificato che “Il dipendente informa la propria condotta ai principi di imparzialità e buon andamento, di diligenza, di lealtà, di correttezza, di obiettività e di trasparenza, perseguendo esclusivamente l’interesse pubblico, senza abusare della sua posizione e senza esercitare i poteri di cui è titolare per scopi diversi da quelli per i quali gli sono stati attribuiti”.
Se i criteri di imparzialità, buon andamento e trasparenza, come quello di diligenza e obiettività sono direttamente riconducibili all’azione amministrativa, ovvero alla modalità di espressione della discrezionalità amministrativa, altrettanto non può dirsi per gli altri principi “lealtà e correttezza” che, invece, possono essere riconducibili alle modalità di relazione tra individui all’interno dell’organizzazione.
In quest’ottica, dunque, diviene necessario definire i singoli istituti affinché sia possibile dare un significato a questi concetti giuridici apparentemente indeterminati.
L’ordinamento militare non conosce una definizione puntuale del concetto giuridico “correttezza”, mentre alcuni studiosi si sono sforzati di darne una puntuale descrizione. Per Huck è “il filo conduttore per il contegno di un terzo, di fronte a persona totalmente estranea”.
In altri casi è inteso come un atteggiamento della coscienza che impone al contegno del soggetto un oggettivo carattere di correttezza, e per finire Stoll che lo definisce, al momento della nascita di una obbligazione, la possibilità di specifiche ingerenze nelle rispettive sfere giuridiche postulando un rapporto di reciproco affidamento.
Per l’art. 2598 c.c. “principi di correttezza professionale” è un dovere di correttezza sociale.
Nei rapporti obbligatori è ulteriore presupposto a non subire, per l’attuazione dell’interesse altrui, un sacrificio maggiore di quanto sia a norma di legge strettamente necessario.
Il comportamento delle parti, nella integrazione del rapporto obbligatorio, funzionale alla conservazione e sicurezza delle rispettive sfere giuridiche impone il dovere del neminem laedere o del rispettare la parola data.
L’ordinamento giuridico, in quelle scarne ipotesi in cui illustra il concetto di “correttezza”, osserva la sua stella polare attraverso i seguenti principi:
- contegno lineare e non condizionato;
- atteggiamenti della coscienza rispondenti al legittimo e reciproco affidamento;
- relazione intersoggettiva basata sulla reciproca intenzione di non ledere la sfera giuridica del terzo;
- nonché rispondere alle normali regole della civile convivenza.
Anche il concetto di lealtà non trova una chiara definizione del legislatore dell’ordinamento castrense. Altri ordinamenti, invece, ne tracciano un profilo genetico.
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