La tecnica investigativa penitenziaria

di Augusto Zaccariello

Prima di trattare l’argomento, mi soffermo brevemente sull’ accezione del sostantivo “tecnica” considerato che, per quanto riguarda l’investigazione, l’appropriatezza del termine “scienza investigativa”, resta ancora una dirimenda questione aperta, nella ricerca filosofica e nel dibattito degli esperti accademici, per individuare la demarcazione di cosa può o non può rientrare in tale ultima definizione. Penso però che non sia giusto parlare di scienze investigative soltanto quando si trattano argomenti legati alle investigazioni tecnico-scientifiche, alle tracce biologiche e dattiloscopiche, alla balistica, all’esame della scena del crimine e ad altre connesse e pertinenti metodologie. Da tempo sostengo che la tecnica investigativa traduce e somma, la conoscenza teorica, i metodi scientifici e la pratica empirica, non priva di una buona dose di creatività, in un unico e sempre concreto risultato finale pronto a produrre i suoi effetti materiali.

La tecnica non fa ricorso alla sola conoscenza che la disciplina scientifica offre, ma vive ed evolve nutrendosi dalla pratica quotidiana che si rivela inesauribile fonte di sapere, tanto che sempre più spesso accade che la scienza rincorrere le novità e i risultati rivelati dalla tecnica e viceversa.
La scienza investigativa e le tecniche investigative, poiché generate dall’uomo, non permettono di collocare la materia in un alveo ben preciso della giurisprudenza, della sociologia o della psicologia anche criminale ma vanno piuttosto a inquadrarsi come una autonoma dottrina in fase di continua elaborazione.
Sul punto, inoltre, ritengo che sia un errore trattare gli argomenti di tecnica e di scienza investigativa in un rapporto dicotomico, vivendo entrambi di un intreccio indissolubile come dimostrano anche le iniziative dei più prestigiosi atenei universitari, pubblici e privati, che negli ultimi anni hanno introdotto nelle loro offerte formative corsi di studio o master post laurea per fornire competenze trasversali.


 

In attesa che si risolva la vexata quaestio tra scienza e tecnica, se l’investigazione di polizia è la ricerca meticolosa di elementi utili all’accertamento della verità giudiziaria, le tecniche investigative sono gli strumenti per muoversi nel campo delle indagini.

La conoscenza delle tecniche investigative permettono all’investigatore di polizia, nel corso di una inchiesta giudiziaria, di discernere quali siano le attività di indagine da svolgere a seguito di un fatto criminoso e di valutare quali siano i mezzi investigativi da utilizzare in relazione alle necessità, sia metodologiche sia normative che scientifiche, alle circostanze operative, alle informazioni acquisite e tanto altro.
Le armi vincenti dell’investigatore sono soprattutto l’analisi scrupolosa di tutti gli elementi raccolti o da ricercare e il metodo di sviluppo del percorso logico e razionale delle informazioni acquisite. Proprio per questo l’investigatore deve avvicinarsi all’indagine con la curiosità di capire e di raccogliere pazientemente ogni possibile elemento cercando, attraverso l’esame dei dati raccolti, di tracciare e ripercorrere gradualmente, attraverso un percorso di progressiva evoluzione, i fatti come verosimilmente possono essere avvenuti.
Non esiste una tecnica migliore dell’altra ma, operando nella complessa cornice investigativa, sussistono certamente le mosse e le scelte giuste che di volta in volta s’inanellano in sequenza come “perle” nel filo della collana dell’indagine.
Manovre investigative che devono anche tenere conto delle particolari condizioni ambientali, dell’operare all’insaputa o meno del soggetto, della conoscenza o meno della persona nei confronti della quale si svolge o ruota l’indagine (le sue abitudini, le relazioni interpersonali, i comportamenti, il tenore di vita, i luoghi frequentati, gli interessi, il livello culturale e il grado di istruzione, eccetera).
Con la raccolta di questi elementi l’investigatore opera una diligente ed equilibrata filtratura per ponderare quali azioni far seguire e soprattutto quale progressione e tempistica deve imprimere alle tecniche investigative, tenuto conto che alcune sono codificate e vincolate da precise procedure normative mentre altre sono a c.d. “schema libero” e strettamente collegate alla “creatività” e all’intuizione investigativa.

La valenza di questi fattori, nel corso degli ultimi anni, ha rafforzato l’idea che tra le diverse tecniche investigative adottabili ve ne siano alcune che per loro intrinseca natura e peculiarità, ben possono definirsi “specialistiche”.
Mi riferisco alle indagini di polizia economica e finanziaria e quelle di polizia penitenziaria.
L’esperienza professionale raggiunta in questi anni di comando nella polizia penitenziaria mi permettono di affermare che nel tempo il Corpo ha maturato propri modelli investigativi che sono entrati a pieno titolo nel novero delle tecniche investigative, tanto che l’intuizione di esperti Procuratori della Repubblica, in prima linea nel contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo, e l’interesse e la lungimiranza dei vertici dell’Amministrazione penitenziaria dell’epoca, hanno permesso alla Polizia penitenziaria di istituire, nel 2007, un Nucleo Investigativo Centrale di polizia giudiziaria che si occupa, con le sue undici articolazioni territoriali, di fatti reato commessi in ambito penitenziario o, comunque, direttamente collegati ad esso.

La rapidità e l’efficacia dell’azione dei Reparti di Polizia penitenziaria e l’elaborazione di specifiche tecniche di analisi e di investigazione, elaborate dal Nucleo Investigativo Centrale, hanno dimostrato la validità di quella scelta che oggi consente alle varie Procure della Repubblica di avvalersi di un osservatorio investigativo privilegiato sul quale poter fare affidamento, come sintesi e sviluppo del prezioso patrimonio informativo delle dinamiche dei fenomeni criminali del terrorismo interno e internazionale, della radicalizzazione violenta e del proselitismo in carcere.
Questa evoluzione, soprattutto negli ultimi anni, ha messo in luce che la conoscenza di quanto accade in quel territorio chiamato “carcere”, è determinante per indirizzare al meglio le politiche di prevenzione e di contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo, soprattutto perché si tratta di un contesto per nulla statico e ai più, per molti aspetti, poco percepibile. In realtà, tra gli addetti ai lavori è noto che se si vuol comprendere come si muovono e quali forme assumono le organizzazioni criminali e quelle terroristiche, occorre osservare e analizzare in ambito penitenziario le mutevoli condotte, le gerarchie e le alleanze che spesso preconizzano quelle esterne.

Le tecniche investigative penitenziarie oggi sono studiate anche da Amministrazioni penitenziarie di altri Stati europei che ne riconoscono l’importanza, l’efficienza e l’essenzialità.
Se la polizia giudiziaria, in linea generale, è la longa manus del Pubblico Ministero, che di fatto dirige l’indagine e sceglie la forza di Polizia che ritiene più idonea al raggiungimento dell’obbiettivo, non c’è da meravigliarsi se negli ultimi anni, in virtù anche dei risultati raggiunti, la quasi totalità delle Procure affida alla Polizia penitenziaria del Nucleo Investigativo Centrale le attività di indagine di particolare complessità che sono in connessione con ambienti penitenziari. Si pensi ad esempio alla ricerca per la cattura di un detenuto evaso oppure ai delitti contro la pubblica amministrazione connessi ad ambienti penitenziari, ai sodalizi afferenti la criminalità organizzata o il reclutamento di nuovi adepti in materia di terrorismo interno o internazionale, eccetera.
Da ciò si ricava che l’indagine in ambito penitenziario, per il particolare contesto generale in cui si opera, è per sua natura specialistica e quindi diversa da quella generale anche se improntata alle stesse regole di ingaggio stabilite dal nostro codice di procedura penale.

Chi conosce il carcere, non per sentito dire o perché l’ha studiato in un manuale, sa che all’interno dei penitenziari esistono veri e propri “codici di comportamento” e “pratiche carcerarie” imposte dai detenuti che determinano “la gerarchia”, “il comportamento”, “le usanze”, “il linguaggio verbale e gestuale del carcere”.

In carcere anche il linguaggio è caratterizzato, per subcultura criminale, da uno slang che tutti, in determinate situazioni, usano allo stesso modo.
Solo per citare qualche esempio, in materia di criminalità organizzata, notare chi entra per primo in una sala ricreativa o nel locale docce, chi dorme nella prima branda, come avviene il saluto (se a mano aperta, toccando il polso o un semplice buongiorno), chi siede a capotavola, chi partecipa a una rissa all’interno della sezione, chi inizia la c.d. percussione delle inferriate o dà avvio a manifestazione di ribellione, quali parenti protestano fuori dal penitenziario, in quali città, con quali frasi, chi cucina il vitto e a chi viene servito per prima, rappresentano tutti segnali che agli occhi dei poliziotti penitenziari, e di chi tra essi fa investigazione, aprono scenari immensi e materiale investigativo che è nutrimento essenziale per le Procure specializzate.

Si pensi, ancora, all’esame della scena del delitto in ambito penitenziario, all’identificazioni di persone detenute, alla perquisizione personale di un detenuto oppure a quella locale della cella e ai suoi fantasiosi nascondigli, alle attività di pedinamento di detenuti che fruiscono di permesso o dei familiari, all’arrivo e all’uscita dei colloqui, alle sommarie informazioni su un episodio criminoso avvenuto in carcere dove le informazioni sono spesso miscelate da fattori di contaminazione oppure all’intercettazioni ambientale in cella con i suoi processi comunicativi tipicamente carcerari o ai colloqui spesso caratterizzati da particolare imperscrutabili dinamiche.

Senza trascurare che anche i tatuaggi e la cura dell’aspetto esteriore nell’ambito penitenziario sono significative modalità di comunicazione e di espressione oltre che di scala gerarchica e di forza.

Le scansioni temporali della vita carceraria consentono di acquisire e leggere investigativamente le richiamate informazioni che poi, in tempi più o meno rapidi, si riflettono sul territorio.
Tanti frammenti e particolari che fanno la differenza nel quadro investigativo e nel campo di azione dell’investigatore della Polizia penitenziaria che è chiamato soprattutto a ragionare e a calibrare le scelte dei tempi del disegno investigativo e dove la capacità di agire in prevenzione riduce la necessità di operare in repressione.

Se la sicurezza penitenziaria è una porzione della sicurezza pubblica e il mantenimento dell’ordine e della disciplina nelle strutture penitenziarie è parte del processo di mantenimento di ordine pubblico allora è giusto prendere consapevolezza dell’esistenza di una “tecnica investigativa penitenziaria” che non riguarda solo l’ambito carcerario, dove il crimine organizzato morde più forte atteso che i vertici di tutte le organizzazioni criminali sono detenuti a regime 41 bis o nei circuiti di alta sicurezza, ma si estende per nesso logico anche oltre l’orizzonte extra-penitenziario.

In realtà, anche nella proiezione extra-moenia la Polizia penitenziaria del Nucleo Investigativo Centrale, unitamente ai dipendenti Nuclei Regionali e al prezioso supporto dei Reparti territoriali del Corpo conduce per la sua competenza generale in materia di polizia giudiziaria diverse attività di indagine sul territorio arricchendo, con la sua specializzazione e competenza, le investigazioni e le sue tecniche. ©

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