di Elena Bassoli
[vc_row] Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza n. 17485 del 21 marzo 2018 e depositata il 4 luglio 2018La tutela della privacy non può escludere l’applicazione del metodo dell’«accertamento sintetico», ovvero la determinazione del reddito del contribuente sulla base delle spese sostenute nell’anno fiscale, che trova il suo fondamento nell’art. 38, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 600/1973, nel contesto della potestà impositiva dell’Amministrazione che si fonda sull’art. 53 Cost. e nell’attività di accertamento e di raccolta di dati attuata presso l’Anagrafe tributaria. [/vc_row]
La vicenda processuale muove dalla considerazione delle norme di legge istitutive del “redditometro” in relazione alla possibile violazione della disciplina sul trattamento dei dati personali, cosicchè occorre prendere in esame, anzitutto, le disposizioni che disciplinavano, ante Reg. EU/2016/679 e normativa di adeguamento dettata dal d. lgs. 101/2018, il diritto dell’interessato di accesso ai dati personali e agli altri diritti enunciati dall’art. 7 del d.lgs. n.196/2003.
Nell’aprile del 2013, il contribuente Tizio proponeva ricorso davanti al Tribunale di Napoli, avverso l’Agenzia delle entrate e la Direzione Provinciale 1 – Napoli, chiedendo che venisse riconosciuta la gravità dei pregiudizi e dei danni alla privacy che potevano derivargli dall’applicazione del D.M. del Ministero dell’Economia e delle Finanze 24 dicembre 2012 (in G.U. n. 3 del 04/01/2013) emesso in attuazione del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, istitutivo del c.d. “redditometro”, alla luce del d.lgs. 30 giugno 2003, n.196, e che venisse ordinato all’Agenzia di astenersi dal raccogliere dati ed informazioni, nonché di monitorare le spese effettuate o effettuande da esso ricorrente, omettendo in particolare di archiviare e mantenere l’archivio dei relativi dati; chiedeva altresì che venisse ordinato all’Agenzia di omettere le predette attività nonché – ove le stesse fossero già state poste in essere – di distruggere e cancellare i dati acquisisti e l’archivio degli stessi.
Il Tribunale di Napoli, con la pronuncia poi impugnata in Cassazione, accoglieva il ricorso, basando la propria decisione sulla lettura dell’art. 7 del T.U. privacy, da cui si evince che l’interessato ha diritto di ottenere la conferma o meno dell’esistenza di dati personali che lo riguardano e la loro comunicazione in forma intelligibile (primo comma), nonché di ottenere le ulteriori informazioni di cui al secondo comma , ed ancora di ottenere l’aggiornamento, la rettifica o l’integrazione dei dati, la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge (terzo comma) e di opporsi per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta.
A fronte di questi diritti/poteri dell’interessato, il Tribunale di Napoli riconosceva all’originario ricorrente – sul presupposto dei gravissimi pregiudizi che gli sarebbero potuti derivare dall’attivazione in concreto delle procedure di accertamento secondo le modalità del D.M. 24/12/2012 e della nullità o inesistenza di detto decreto per difetto assoluto di attribuzione, per essere stato emanato non solo contro, ma fuori dalla legalità costituzionale e comunitaria, o comunque della sua illegittimità, con necessità della sua disapplicazione – la gravità dei lamentati pregiudizi e dei danni.
Il Tribunale partenopeo accoglieva il ricorso basando il proprio convincimento sulla ricostruzione ermeneutica della disciplina in base alla quale il D.M. 24/12/2012 fosse nullo per carenza dei presupposti di esistenza del relativo potere come disciplinato dalla norma attributiva – in quanto non rispettoso delle condizioni fissate dall’art. 38 d.P.R. n.600/1973 e della restante normativa primaria applicabile alla fattispecie, in particolare del Codice Privacy – e dovesse essere pertanto disapplicato.
L’Agenzia delle entrate proponeva quindi ricorso per Cassazione avverso la sentenza n. 10764/2013 del Tribunale di Napoli, depositata il 30/09/2013, cui replicavano con controricorso gli eredi dell’originario ricorrente.
La S.C. tenta preliminarmente un inquadramento normativo della questione, ricordando che il potere dell’Amministrazione finanziaria di svolgere attività accertative con metodo sintetico trova il suo fondamento, non già nel citato D.M. del Ministero dell’Economia e delle Finanze 24.12.2012, che disciplina soltanto le modalità di trattamento dei dati, raccolti ed elaborati in base ad altre e diverse disposizioni di legge, ma in primo luogo nell’art. 38, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 600/1973, nel contesto della potestà impositiva dell’Amministrazione che si fonda sull’art. 53 Cost. e nell’attività di accertamento e di raccolta di dati attuata presso l’Anagrafe tributaria.
Sulla base di tali premesse, afferma la Corte, non può dubitarsi che la domanda introduttiva del ricorrente, come sopra illustrata, da un lato esorbitasse dall’insieme dei diritti enunciati dall’art. 7 del d.lgs. n.196/2003, con conseguente difetto di legitimatio ad causam dello stesso ricorrente, nella parte relativa alla richiesta di astenersi dal raccogliere dati e informazioni, nonché di monitorare le spese effettuate o effettuande dal ricorrente, omettendo in particolare di archiviare e mantenere l’archivio dei relativi dati, non essendo l’astensione, da parte dell’Amministrazione, dall’attività di raccolta dati e informazioni oggetto di alcuno dei diritti enunciati nello stesso art. 7, e sotto altro profilo, nella parte relativa alla richiesta di distruggere e cancellare i dati acquisiti e l’archivio degli stessi, si scontrasse inequivocabilmente, restando priva di fondamento, con la previsione dell’art., 7, comma 3, del diritto alla cancellazione o al blocco dei dati trattati in violazione di legge, laddove nel caso di specie il trattamento dei dati trova fondamento diretto nella disposizione di legge e, segnatamente nell’art. 38 citato, come integrato con l’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 196/2003, che stabilisce che il trattamento da parte di un soggetto pubblico riguardante dati diversi da quelli sensibili e giudiziari, è consentito, per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, anche in mancanza di una norma di legge o di regolamento che lo preveda espressamente.
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Investigatory Powers Act 2016. È entrato in vigore il 30 dicembre 2016, avente l’obiettivo di ampliare i poteri della British Intelligence Community a discapito della tutela dei dati personali dei cittadini. Nuovi poteri particolarmente invasivi simili ad un controllo di massa, in aperto contrasto con il nuovo Regolamento privacy europeo n. 679/2016.
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Decreto Legislativo del 25 maggio 2016, n. 97 (GU Serie Generale n.132 del 8-6-2016). Il 23 giugno 2016 è entrato in vigore il Freedom Of Information Act che rende libero e gratuito l’accesso all’informazione pubblica e agli atti della P.A. Tutti i cittadini avranno la possibilità di richiedere documenti e atti della Pubblicazione Amministrazione. Fanno eccezione le documentazioni considerate sensibili, secondo uno specifico iter per il quale verrà comunque data risposta ai cittadini che ne faranno richiesta.
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Garante della Privacy - Provvedimento dell’11 febbraio 2016. Facebook dovrà comunicare ad un proprio utente tutti i dati che lo riguardano anche quelli inseriti e condivisi da un falso account, il cosiddetto fake, e dovrà bloccare il fake ai fini di un’eventuale intervento da parte della magistratura. Il Garante ha accolto il ricorso di un iscritto a Facebook che si era rivolto all’Autorità dopo aver interpellato il social network ed aver ricevuto una risposta ritenuta insoddisfacente.
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Il mondo è pieno di decisioni algoritmicamente guidate. Un’informazione errata o discriminatoria può rovinare irrimediabilmente le prospettive di lavoro o di credito di qualcuno. Gli algoritmi rimangono impenetrabili agli osservatori esterni perché protetti dal segreto industriale. Risulta quindi fondamentale che i cittadini possano conoscere e contribuire alla regolamentazione della pratiche commerciali dei giganti dell’informazione.
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Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 769/2015, si è pronunciato sulla natura dell’atto amministrativo emesso verso l’esterno nel caso in cui si utilizzi il servizio di Twitter, osservando che “gli atti dell’autorità politica debbono pur sempre concretarsi nella dovuta forma tipica dell’attività della pubblica amministrazione... “.
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