La valutazione criminologica del rischio di recidiva ed il rischio giuridico nelle indagini preliminari dei casi di stalking

di Domingo Magliocca

Il “Codice Rosso” è un pacchetto di norme contenute nel disegno di legge approvato il 28 novembre 2018 dal Consiglio dei Ministri volte a contrastare il fenomeno del femminicidio, ad accelerare lo svolgimento delle indagini per adottare in breve tempo misure cautelari nei confronti dell’autore del reato e provvedimenti protettivi a tutela delle vittime di atti persecutori, maltrattamenti in famiglia, aggressioni sessuali. Dal 2009 – anno in cui è stato introdotto il reato previsto dall’art. 612 bis c.p. – sono state emanate molteplici misure per fronteggiare il fenomeno, ma il numero dei femminicidi non accenna a diminuire.
Sarebbe il caso di indagare anche su aspetti del fenomeno non di matrice esclusivamente giuridica e di ricorrere a “saperi” ausiliari per una valutazione corretta del rischio di violenza.


 

Il rapporto sull’omicidio volontario in Italia realizzato dall’Eures-Ansa (2013) svela che, tra il 2000 e il 2012, le donne vittime di omicidio sono state 2.220, uccise nel 70,7% dei casi nell’ambito familiare o affettivo.
Relativamente agli omicidi di donne tra coppie separate, il rapporto rileva che spesso il femminicidio all’interno di una relazione di coppia rappresenta l’estremo atto di una serie di violenze, maltrattamenti di carattere fisico, psicologico o economico, e di vessazioni varie; secondo l’indagine dell’Eures, nel 27,1% dei casi le vittime erano state inoltre perseguitate dal proprio assassino con condotte rientranti nello stalking. La gran parte dei femminicidi è avvenuta nei tre mesi successivi alla decisione di separarsi.
Nonostante lo stalking sia caratterizzato da contatti e comunicazioni indesiderate, in alcuni casi vi è un concreto pericolo che il confine tra un’azione indesiderata e/o intrusiva ed una violenta possa essere molto sottile e facilmente travalicato da un molestatore e, pertanto, non si esclude che uno stalker arrivi a commettere atti di violenza fisica grave.
Il dato preoccupante che mette in risalto l’indagine Eures-Ansa in tema di femminicidio è che sono “troppo spesso ignorati i segnali di rischio”.

Una soluzione al problema del tipo “aspetta e vediamo” è, dunque, inadeguata per affrontare situazioni che coinvolgono stalkers o forme di violenza domestica; spesso una simile risposta equivale anche alla perdita di vite umane.
Nella trattazione dei casi di stalking non bisogna mai sottovalutare:

Nella fase delle investigazioni, un adeguato esame del rischio permette di prevenire la reiterazione della violenza ed individuare l’intervento più adatto per evitare l’escalation di aggressività.
Lo scopo dell’analisi del rischio sarà quello di fornire una valutazione criminologico-investigativa completa e concreta del caso e delle variabili attinenti al reo ed alla relazione con la vittima, e di evidenziare quei fattori di rischio oggettivi – visibili, riscontrabili e, pertanto, valutabili – che danno rilievo alla pericolosità, alla gravità della condotta dell’autore di reato e al rischio di recidiva.
Prendere in considerazione determinati segnali di pericolo potrebbe consentire di anticipare un’azione maggiormente violenta da parte del reo e di intervenire affinché essa non possa produrre effetti, riducendo così anche la possibilità che la condotta violenta si ripresenti nei confronti della persona offesa.

Un metodo strutturato per la valutazione del rischio utilizzato in Italia nell’ambito della gestione dei casi di violenza domestica, di atti persecutori è il questionario SARA – Spousal Assault Risk Assessment, preparato dai canadesi Kropp, Hart, Belfrage, individuato dal Consiglio Superiore della Magistratura come una delle buone prassi e concepito come una linea guida di valutazione o una checklist utile per indicare il rischio di recidiva, oppure il SASH – Screening Assessment for Stalking And Harassment elaborato dagli australiani McEwan, MacKenzie.
Si tratta di metodi molto utili per raccogliere le informazioni sotto forma di un’eventuale denuncia-querela presentata dalla persona offesa e/o di relazione investigativa sul rischio di recidiva e trasmetterle agli Organi giudiziari che dovranno analizzare il caso sul versante giuridico ai fini dell’adozione di provvedimenti.

Durante le indagini preliminari, allorquando l’autore di maltrattamenti o di offese “seriali” e/o compiute in ambito domestico sia stato denunciato, il SARA, così come il SASH, può rappresentare per le Forze di Polizia un valido ausilio mediante il quale è possibile segnalare al Pubblico Ministero circostanze che permettono di valutare se ricorrono le condizioni per richiedere l’applicazione di una misura cautelare, a tutela della stessa vittima di reato.

Il SARA non è un test o uno strumento di indagine psicologica per valutare la personalità umana ma è uno screening valutativo basato su fattori di rischio correlati alla violenza tangibili, che rivelano una potenziale situazione di pericolo per la vittima e la minaccia del soggetto autore (rischio di recidiva). L’idea del SARA non è quella di fornire un punteggio assoluto sul rischio o sulla pericolosità del reo.
In Italia si utilizza una versione a 15 fattori denominata SARA-S (screening), che prende in considerazione 10 fattori (raggruppati in due sezioni: violenza da parte del partner o ex partner e adattamento psico-sociale): 1. Gravi violenze fisiche/sessuali 2. Gravi minacce di violenza, ideazione o intenzione di agire violenza 3. Escalation sia della violenza fisica/sessuale vera e propria sia delle minacce/ideazioni o intenzioni di agire tali violenze 4. Violazione delle misure cautelari o Interdittive 5. Atteggiamenti negativi nei confronti delle violenze interpersonali e intrafamiliari 6. Precedenti penali 7. Problemi relazionali 8. Status occupazionale o problemi finanziari 9. Abuso di sostanze 10. Disturbi mentali, a cui sono stati aggiunti 5 item relativi alla vulnerabilità della vittima 11. Condotta e atteggiamento incoerente nei confronti del reo 12. Estremo terrore nei confronti del reo 13. Sostegno inadeguato alla vittima 14. Scarsa sicurezza di vita 15. Problemi di salute psicofisica, dipendenza. Si procede, quindi, a stabilire il livello di presenza o meno di ognuno dei 15 fattori allo stato attuale (ultime quattro settimane) e nel passato, e successivamente a riportare il livello di rischio di recidiva che può essere basso, medio o elevato, sia nell’immediato (entro 2 mesi) che nel lungo termine (oltre i 2 mesi).
Gli strumenti di valutazione del rischio possono essere utilizzati oltre che dalle Forze di Polizia, anche dagli operatori dei servizi sociali e della giustizia, da parte di chi opera nei Centri antiviolenza o nei servizi di assistenza per le vittime di violenza.

 

Quando la Polizia Giudiziaria viene a conoscenza di un caso di maltrattamento in una coppia o di stalking è sempre opportuno sin dall’inizio procedere alla valutazione del rischio di recidiva per individuare se e quale intervento di gestione del caso e di protezione della vittima sia più appropriato. La valutazione finale del rischio di recidiva non è fatta in accordo alla quantità di fattori di rischio presenti, bensì in relazione alla qualità, alla tipologia, alla loro interazione ed evoluzione.
Sulla base di quanto accaduto, delle informazioni assunte dalla persona offesa, delle dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti, degli esiti della consultazione della Banca Dati delle Forze di Polizia, dei precedenti di polizia dell’indagato, dei pregressi interventi di polizia, mediante la compilazione del SARA o comunque di altri questionari di valutazione – Screening Assessment for Stalking And Harassment -, la valutazione del rischio di recidiva, di violenza nei confronti della persona offesa può assumere un grado di pericolo “basso” – “medio” – “alto”, desunto in maniera schematica e riassuntiva dalla presenza di diversi fattori oggettivi che tengano conto di:

Gran parte degli indicatori di valutazione del rischio di recidiva criminologico-investigativi hanno un carattere concreto e, per questo motivo, si conciliano con i “segni” di rischio giuridico fissati dall’art. 133 del codice penale che, sebbene costituisca la norma guida per la valutazione dei fatti ai fini dell’irrogazione della pena, contiene rilevanti parametri per poter stabilire la condotta dell’autore del reato.
Difatti, l’articolo 133 c.p. fornisce un criterio oggettivo di valutazione giuridica del rischio valorizzando determinati elementi obiettivi (modo in cui è stata perpetrata l’azione, danno cagionato, motivo della condotta, trascorsi giudiziari del reo, condotta passata e successiva al reato) mediante cui il Giudice formula un giudizio prognostico sulla minaccia attuata dal reo verso la vittima e, in generale, verso la collettività.

Tabella 1 – Indicatori SARA-S, Spousal Assault Risk Assessment (VEDI ALLEGATO)

Nei casi di stalking o di violenza familiare, nel segmento delle indagini preliminari, la valutazione criminologico-investigativa del rischio di recidiva non si scontra con l’art. 220 del codice di procedura penale che disciplina il divieto di perizia criminologica – “salvo quanto previsto ai fini dell’esecuzione della pena e delle misure di sicurezza” – volta “a stabilire l’abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell’imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche”.
Invero, tale analisi rappresenta un sistematico tentativo da parte degli addetti al settore – Polizia Giudiziaria in primis, operatori sociali – di catalogazione delle caratteristiche di un fatto penalmente rilevante e del suo autore, e una modalità strutturata di segnalazione agli Organi Giudiziari, in particolare al Pubblico Ministero a cui giunge la notizia di reato in ordine ai fatti di stalking ed a cui è deputato il compito di svolgere le indagini preliminari tramite le attività delegate alla Polizia Giudiziaria e di richiedere eventualmente al Giudice delle Indagini Preliminari l’applicazione di una misura cautelare ai sensi dell’art. 273 c.p.p.

A sua volta, ricevuta la richiesta del Pubblico Ministero, il Giudice delle Indagini Preliminari dovrà attenersi a quanto stabilito dall’art. 274 lett. c) c.p.p. “quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto e attuale pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le

Tabella 2 -Indicatori SASH, Screening Assessment for Stalking And Harassment (VEDI ALLEGATO)

misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali é prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni”.
Si osserva, quindi, che sia il P.M. che il G.I.P. devono effettuare una prognosi, una previsione circa il fattibile rischio di recidiva tenendo in considerazione specifici elementi, compresi quelli dell’art. 133 c.p., da porre a sostegno della decisione in merito alla misura da adottare.

Sul versante operativo, la Polizia Giudiziaria è nella posizione più “vicina” sia alla persona offesa per descrivere in maniera strutturata il quadro fattuale del caso e sia al P.M. per fornirgli le conoscenze “pratiche” adeguate per le possibili valutazioni. È opportuno ribadire che la P.G. ha la funzione non secondaria di raccordo tra i fatti su cui si sta indagando e il Pubblico Ministero, divenendo verso quest’ultimo il collettore delle esigenze operative.
A tal proposito, poiché la Polizia Giudiziaria è considerata la longa manus del Pubblico Ministero, parrebbe appropriato integrare le informative di reato indirizzate al P.M. concernenti i reati “domestici” comunicando oltre alla notitia criminis anche la presenza o meno degli indicatori di rischio riportati nei questionari di valutazione, con l’intento non di sostituirsi al suo ruolo, ma col fine di agevolare il lavoro investigativo e consentire al dominus delle investigazioni preliminari di compiere un’adeguata analisi del rischio per prevenire la reiterazione della violenza e poter richiedere l’applicazione di provvedimenti cautelari al Giudice delle Indagini Preliminari.
L’attenzione dell’analista, difatti, si focalizza sul comportamento del reo che può essere visto e oggettivamente valutato e non su qualcosa di indeterminato suscettibile di una esclusiva valutazione soggettiva di chi valuta i fatti.

In tal modo, il fatto segnalato dalla Polizia Giudiziaria permette al Pubblico Ministero sì di trasformare in concreta l’ipotesi astratta prevista dalla norma, ma, nello stesso tempo, anche di isolare e di prendere rapidamente cognizione di quegli indicatori di rischio che dal “semplice” stalking possono preludere a forme di violenza grave sulla persona offesa, come l’omicidio o la violenza sessuale.

In conclusione, nei casi di stalking e di maltrattamenti domestici, nella fase delle indagini preliminari, i segnali di rischio criminologico, una volta rilevati ed esaminati fattualmente, possono di conseguenza ben integrarsi con i parametri obiettivi concernenti il rischio giuridico di recidiva di cui il Giudice si serve per formulare una prognosi di pericolosità sociale. ©

BIBLIOGRAFIA

 


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