Consiglio di Stato, Sezione V, sentenze n. 1845 e 1846 del 20 marzo 2019
Alla luce delle recenti sentenze pressoché gemelle della Quinta Sezione del Consiglio di Stato nn. 1845 e 1846 del 20 marzo 2019, nonché della successiva sentenza della medesima Sezione n. 3052 del 14 maggio 2020, la giurisprudenza amministrativa si rivela essere oramai costantemente orientata nel qualificare gli affidamenti dei servizi di intercettazioni telefoniche ed ambientali, da parte delle Procure, come contratti secretati o che esigono particolari misure di sicurezza e, dunque, disciplinati dall’art. 162 del D. Lgs. n. 50/2016 (cd. Nuovo Codice dei Contratti Pubblici).
Con le sentenze nn. 1845/2019, 1846/2019 e 3052/2020, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha avuto modo di pronunziarsi sulle regole procedimentali che governano gli affidamenti, da parte delle Procure della Repubblica, dei servizi riguardanti le intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche che, data la capillare diffusione di strumenti di comunicazione sempre più avanzati (smartphone, tablet, social, chat, etc.), si rivelano uno strumento d’indagine di fondamentale importanza per determinati reati.
All’interesse costituzionalmente tutelato della Magistratura a vedersi garantita indipendenza di azione nella conduzione delle indagini, si affianca un altro interesse costituzionalmente tutelato, ovverosia il diritto alla tutela della dignità e riservatezza delle persone, oltre che al più generale diritto di difesa.
Ed è proprio partendo dalla esatta comprensione degli interessi sottesi agli affidamenti in parola che la giurisprudenza amministrativa – si badi, non soltanto le sentenze del Consiglio di Stato appena citate, ma anche quelle di diversi Tribunali Amministrativi Regionali – ha oramai costantemente statuito che tali affidamenti rientrano appieno nell’alveo di cui all’art. 162 del D. Lgs. n. 50/2016 (cd. Nuovo Codice dei Contratti Pubblici), rubricato “contratti secretati”, il quale consente alla stazione appaltante di derogare alle norme del predetto Codice disciplinanti le procedure di affidamento, liddove si tratti di: a) contratti al cui oggetto, atti o modalità di esecuzione è attribuita una classifica di segretezza; b) contratti la cui esecuzione deve essere accompagnata da speciali misure di sicurezza.
Sicché, gli affidamenti dei servizi di intercettazioni sono, a tutti gli effetti, contratti che possono essere affidati in deroga alle ordinarie procedure di evidenza pubblica per come disciplinate dal Codice.
Il comma 4 dell’art. 162 – in linea con quanto già precedentemente previsto dall’art. 17, comma 4, del D. Lgs. n. 163/06 (cd. Vecchio Codice degli Appalti) – stabilisce pure che l’affidamento dei contratti cd. secretati avviene previo esperimento di una gara informale cui invitare, ove esistenti, almeno cinque operatori del settore, sempre che la negoziazione con più operatori sia compatibile con le preminenti esigenze di segretezza e sicurezza dell’appalto.
Si è, così, di fronte a procedure di affidamento in deroga alle stringenti disposizioni del Codice, esperibili mediante gara informale che richiede unicamente il rispetto dei più generali principi fissati dall’art. 4 del Codice per i cd. contratti esclusi (cioè a dire, i contratti per i quali non si applica ovvero si applica solo in parte la normativa dettata dal Codice stesso), consistenti nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica.
E proprio in ragione dell’accentuata possibilità di deroga, la giurisprudenza – da ultimo con la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V^, n. 3052/2020 – ha ulteriormente precisato come l’Amministrazione può addirittura prescindere dalla previa indicazione dei criteri selettivi.
Tali aspetti sono tutt’altro che di poco conto, atteso che consentono di evidenziare un altro profilo sul quale, invece, parte della giurisprudenza di merito si è dimostrata di diverso avviso rispetto alle richiamate sentenze del Consiglio di Stato.
Si tratta della questione riguardante la portata ed ampiezza della discrezionalità attribuita all’Amministrazione in sede di valutazione circa la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi posseduti dall’offerente al fine di dimostrare e garantire la propria serietà ed affidabilità.
Come noto, l’attività amministrativa discrezionale, contrariamente a quella cd. vincolata, si sostanzia in un’attività di scelta da parte dell’Amministrazione, consistente nella ponderazione e nel contemperamento dei vari interessi secondari coinvolti rispetto al preminente interesse costituito da quello per cui è stato attribuito il potere alla P.A., tant’è che un’attività può definirsi realmente discrezionale soltanto nell’ipotesi in cui l’Amministrazione è chiamata a scegliere mediante valutazione degli interessi contrapposti.
Diversamente, ove l’attività è completamente regolamentata da norme, si parla di attività vincolata nella quale non sussiste la possibilità di scelta appena richiamata.
Accanto alla discrezionalità dell’attività amministrativa, dottrina e giurisprudenza hanno evidenziato l’esistenza anche di un’altra distinta figura costituita dalla cd. discrezionalità tecnica, con la quale si è soliti indicare le scelte che l’Amministrazione è chiamata a rendere in sede procedimentale sulla scorta di valutazioni tecniche di tipo specialistico, ragion per cui non si tratta più di effettuare una scelta valutativa fra contrapposti interessi, bensì di porre in essere un’attività di giudizio governata da canoni tecnico-scientifici.
La giurisprudenza – sovente soffermatasi sul perimetro entro il quale poter sindacare tali scelte – ha costantemente ritenuto che la discrezionalità tecnica sia sindacabile in sede giurisdizionale soltanto per illogicità, abnormità, manifesta irragionevolezza ovvero macroscopica erroneità.