di Gianluca Badalamenti, Gianpaolo Zambonini, Giovanni Tessitore
Valeriano Poli era il buttafuori della discoteca TNT e ucciso in un agguato in via della Foscherara, il 5 dicembre 1999. Nel giugno del 2018 il gip ha ordinato l’arresto per Stefano Monti, 59 anni, accusato di quel delitto avvenuto 20 anni prima. Questo cold case è stato risolto grazie all’introduzione di tecniche di virtualizzazione di reperti e dei luoghi reali in ambienti tridimensionali ricreati al computer con la successiva simulazione dei fenomeni fisici che in esso accadono.
Il sopralluogo giudiziario, ideato nel secolo scorso da Ottolenghi (a sua volta ripreso dal francese Bertillon), ha negli ultimi anni subito una profonda evoluzione grazie alla disponibilità di strumenti e metodologie sempre più sofisticate. Il dominus di tale avanzamento è la spinta data dall’informatizzazione delle procedure tipiche del sopralluogo, nonché l’introduzione delle tecnologie di ricostruzione 3D della scena del crimine. In questo caso si assiste all’evoluzione della descrizione della scena criminis che ribalta l’archetipo di inizio ‘900 (dal basso verso l’alto, dal generale al particolare, e così via), verso una descrizione dal tutto verso il tutto. Sarà l’utente (Organo investigativo, Pubblico Ministero, Giudice), dentro una simulazione immersiva ed interattiva, a rivivere la dinamica della scena del crimine dalla prospettiva che riterrà più opportuna, alla velocità desiderata, avendo a disposizione tutte le informazioni metriche d’interesse e così via.
Ed è in questo alveo che sono maturate le tecniche impiegate per l’approccio allo studio dell’omicidio di Poli Valeriano, ucciso a colpi di arma da fuoco il 5 dicembre 1999 in via della Foscherara a Bologna, sulle cui scarpe, indossate al momento dell’omicidio, fu rinvenuto materiale genetico che risultò poi essere appartenente a Stefano Monti.
La corrispondenza tra il DNA prelevato dal Monti ed il DNA estratto dalle macchie di sangue delle scarpe in reperto è stata accertata e validata da tecnologie di genetica forense con una valenza scientifica oggigiorno assolutamente indiscussa. Di contro va appurata la circostanza nella quale il materiale ematico sia venuto a contatto con le scarpe del Poli e da tale contestualizzazione temporale deriverà la vera forza probante dell’analisi genetica delle macchie di sangue.
Difatti Valeriano Poli e Stefano Monti si incontrano una prima volta nel marzo del 1999 presso la discoteca TNT di Bologna, dove la vittima lavorava come buttafuori. In quella occasione i due hanno un alterco che ben presto si traduce in lite nella quale il buttafuori ha la meglio.
Per gli inquirenti, il rancore provato dal Monti per l’affronto subito sarà il movente dell’omicidio del 5 dicembre successivo.
Ritornando alle macchie di sangue sulle scarpe ed al problema della loro contestualizzazione temporale, ci si deve chiedere se l’evento che ha causato il deposito delle tracce ematiche sia ascrivibile alla lite nei pressi della discoteca, avvenuta nel marzo 1999, ovvero se l’evento sia temporalmente più prossimo alla data dell’omicidio, magari ascrivibile ad un alterco avvenuto negli istanti immediatamente antecedenti all’omicidio del Poli.
Qualche settimana prima di essere ucciso, infatti, Valeriano Poli partecipa al rinfresco tenuto in occasione del battesimo del figlio di un conoscente. Ed è in questa occasione che viene girato un filmato amatoriale nel quale si vede inquadrato il Poli che calza le stesse scarpe indossate il giorno della sua uccisione.
Risulta del tutto evidente che se fosse possibile individuare le macchie di sangue sulle scarpe indossate dal Poli e riprese nel filmato amatoriale le macchie stesse sarebbero ascrivibili alla lite di marzo, mentre in caso contrario sarebbero evidentemente legate al giorno dell’omicidio.
Purtroppo la qualità delle immagini a disposizione (vedi Figura 1 – Fotogrammi estratti dal filmato amatoriale con evidenziata la posizione della scarpa), ricavate dalla digitalizzazione della videocassetta VHS dell’epoca, è bassa, inoltre è limitata dalla presenza di diverse discromie potenzialmente ascrivibili a vari fattori come rumore, condizioni di luce, pieghe della scarpa, ecc..
Per tale ragione un’analisi puntuale delle sole immagini derivate dalla videocassetta non è sufficiente a rispondere al quesito posto. Un approccio al problema potrebbe essere la simulazione della scena tramite esperimento giudiziale la cui validità dipenderebbe dall’accuratezza con cui si è in grado di riprodurre la scena, dalla telecamera che ha effettuato la ripresa, dal posizionamento della scarpa con le relative macchie di sangue, dalla loro posizione reciproca all’interno dell’ambiente, dalle condizioni di illuminazione, ecc.. Le risultanze di tale ipotetico esperimento sarebbero stati i fotogrammi prodotti dalla telecamera di test, da utilizzare per il successivo confronto con i quattro fotogrammi estratti dal filmato del novembre 1999.
L’innovazione introdotta nello studio in questione è riconducibile all’introduzione di tecniche di virtualizzazione di reperti e dei luoghi reali in ambienti tridimensionali ricreati al computer con la successiva simulazione dei fenomeni fisici che in esso accadono. Ed è in questo contesto che si introduce il concetto di “virtual evidence” ovvero la versione digitale di una fonte di prova quale può essere un reperto prelevato dalla scena del crimine ed il successivo utilizzo finalizzato al raggiungimento del risultato.
Tale approccio permette l’utilizzo di sofisticati strumenti informatici finalizzati alla modellazione della stanza entro la quale è stato girato il filmato del battesimo, ed alla produzione di viste generate da fotocamere virtuali capaci di simulare il funzionamento della videocamera usata. Tale approccio ha l’indubbio vantaggio di essere ripetibile ed inoltre consente all’operatore di effettuare più prove in un minor tempo variando i parametri che influiscono sul sistema in oggetto.
Nel caso di specie, la virtual evidence è costituita dalla scansione tridimensionale della scarpa in reperto, effettuata in opportuno ambiente controllato presso i laboratori di genetica forense. La tecnica impiegata per l’acquisizione tridimensionale consiste nella proiezione di un pattern luminoso composto da un alternarsi di barre di luce e di ombre sulla scarpa e nella contestuale acquisizione fotografica della stessa. Il modo in cui l’immagine proiettata si deforma nel colpire la scarpa, permette di calcolare le profondità in ogni suo punto (vedi Figura 2 – Fase del processo di acquisizione della scarpa con proiezione del pattern luminoso).
La metodica descritta, conosciuta come scansione 3D a luce strutturata, ha permesso di ottenere un modello digitale della scarpa con precisione inferiore al decimo di millimetro.
L’operazione di scansione non cattura solo la forma dell’oggetto, ma anche il colore dello stesso, per cui il modello digitalizzato riproporrà anche le fattezze cromatiche dell’originale. Questo ci consente di avere, sul modello 3D anche le informazioni riguardo posizione e forma delle tracce ematiche presenti sul reperto (vedi Figura 3 – Modello digitalizzato della scarpa).
Al fine di riprodurre le condizioni di ripresa del video originale è stato necessario modellare la stanza originaria a partire da dati metrici. Nel modello così ottenuto, dopo un attento studio del filmato del battesimo, sono stati posizionati i manichini virtuali che riproducono la posa dei personaggi ripresi nei fotogrammi di maggiore interesse (vedi Figura 4 – Ambiente ricostruito con manichini in posa). Questa operazione ha permesso di delimitare la posizione entro la quale potesse trovarsi l’operatore che ha effettuato le riprese del video originale.
Dopo aver inserito il modello della scarpa e la camera da ripresa nell’ambiente virtuale ed aver regolato i parametri della videocamera desumibili dal filmato del battesimo, si è proceduto alla regolazione fine della posizione della scarpa rispetto alla camera da ripresa.
Bisogna considerare che quando si indossa una calzatura, la comodità dei movimenti del piede è assicurata oltre che dalle fattezze della scarpa stessa anche dalla deformabilità dei materiali utilizzati, appare quindi opportuno precisare che l’allineamento è stato effettuato considerando solo la parte anteriore della scarpa (ovvero la tomaia e la suola sottostante) che, in un normale utilizzo, risulta soggetta a deformazioni molto limitate.
Per l’allineamento della scarpa (vedi Figura 5 – Fotogramma originale, particolare della scarpa) è stata effettuata un’operazione di evidenziazione dei bordi sui fotogrammi estratti dal filmato amatoriale del battesimo (vedi Figura 6 – Particolare della scarpa, esaltazione dei contorni), in questo modo è stato possibile esaltare i dettagli da utilizzare successivamente per l’allineamento vero e proprio.
Il successivo allineamento ha permesso di verificare la posizione sui fotogrammi in argomento delle tracce ematiche, qualora queste fossero state presenti (vedi Figura 7 – Modello 3D della scarpa allineato sul fotogramma. In blu le tracce ematiche rinvenute sulla scarpa).
Il risultato dell’allineamento ha mostrato che le tracce ematiche non si sovrappongono ad alcuna macchia presente sulla scarpa (vedi Figura 8 – Tracce ematiche proiettate sul fotogramma, in verde il profilo della scarpa).
Ulteriore risultato ottenuto dall’operazione di allineamento è l’individuazione della natura delle discromie presenti sui fotogrammi acquisiti, e riconducibili a ombre generate dalle pieghe presenti sulla tomaia e dal gambetto.
È stato eseguito un secondo gruppo di prove volto a confutare i risultati sopra descritti utilizzando la metodica del “reductio ad absurdum”. Partendo dall’assunto che il risultato appena ottenuto sia errato, si è proceduto ad allineare la scarpa imponendo il vincolo che le due discromie più prossime alle tracce ematiche precedentemente indicate fossero esattamente le macchie di sangue. L’applicazione di questo vincolo ha portato ad un palese disallineamento del modello della scarpa rispetto ai fotogrammi. (vedi Figura 9 – Dettaglio del fotogramma di interesse. In verde il contorno dell’allineamento ottenuto con il primo studio, in rosso il contorno ottenuto dal secondo studio)
In definitiva, mentre l’imposizione dei vincoli relativi all’esaltazione dei dettagli su ognuno dei quattro fotogrammi ha condotto ad un corretto allineamento della scarpa, e conseguentemente ha dimostrato che le tracce ematiche del modello 3D non si proiettano su alcuna discromia presente sui fotogrammi estratti dal filmato amatoriale, l’imposizione del vincolo che le due discromie più prossime presenti sui fotogrammi stessi fossero proprio le tracce ematiche ha condotto all’impossibilità di allineare il modello 3d della scarpa con nessuna delle sue quattro rappresentazioni per i fotogrammi in esame. ©