LEGGE SUL FEMMINICIDIO E REGOLE INTERPRETATIVE PER IL PM E PER LA PG

di Pietro Errede

Legge n. 119 del 15 ottobre 2013

Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 242 del 15 ottobre 2013, dal 16 ottobre scorso è entrata in vigore la legge n. 119 del 15 ottobre 2013 per il contrasto della violenza di genere. In conversione del già innovativo decreto-legge n. 93 del 14 agosto 2013 reca problemi interpretativi anche per diverse modifiche operate. Al fine di supportare gli operatori del diritto, Corte di Cassazione (Rel. n. III/03/2013) e Procura di Trento hanno dato alcune direttive (17 ottobre 2013).


 

La cosiddetta legge sul “femminicidio”, più precisamente sulla “violenza di genere”, (n. 119 del 15 ottobre 2013) è innovativa ma anche di non facile interpretazione sia per modifiche discordanti apportate al decreto-legge n. 93 del 14 agosto 2013, di cui ne è la conversione, sia per una imprecisa armonizzazione con il resto dell’ordinamento. Per le prime applicazioni saranno di supporto le relazioni della Corte di Cassazione (n. III/01/2013 sul decreto-legge e n. III/03/2013 sulla legge di conversione) nonché la circolare della Procura di Trento che ha ritenuto di indicare “alcune regole interpretative che possano consentire di guidare l’agire del pubblico ministero e della polizia giudiziaria nell’applicazione di una disciplina innovativa e di non facile lettura” (nota del 17/10/2013).

Fin dalla prima relazione della Cassazione si comprende l’ampia normativa con cui il decreto-legge doveva coordinarsi: “A quattro anni dall’introduzione nel codice penale della fattispecie di atti persecutori (art. 612 bis c.p.) ed a pochi mesi dalle modifiche apportate a quella di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) dalla l. n. 172/2012 per l’attuazione della Convenzione di Lanzarote (si v. in proposito la Rel. III/10/2012 di questo Ufficio), il legislatore ha dunque ritenuto necessario un nuovo potenziamento degli strumenti per la prevenzione e la repressione della violenza di genere, soprattutto nella sua ambientazione domestica, intercettando il crescente allarme sociale determinato dall’inarrestabile aumento in Italia dei reati che possono essere ricondotti a tale categoria criminologica e soprattutto di quelli commessi ai danni delle donne … La necessità di assicurare maggior effettività alle misure adottate negli ultimi anni è poi in qualche modo seguito anche alla recente ratifica da parte del Parlamento della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (l. 27 giugno 2013, n. 77). In realtà il d.l. n. 93/2013 non menziona la Convenzione nel suo incipit e non costituisce formalmente l’atto normativo finalizzato a darvi attuazione – né avrebbe potuto essere altrimenti, atteso che la stessa non è ancora in vigore non essendo stata finora ratificata da un numero sufficiente di Stati – ma non v’è dubbio che diverse delle nuove disposizioni si ispirino alle norme della Convenzione medesima”.

Nel merito, la prima novità evidente del decreto è stata l’aggravante della c.d. “violenza assistita”, intesa come “il complesso di ricadute di tipo comportamentale, psicologico, fisico, sociale e cognitivo, nel breve e lungo termine, sui minori costretti ad assistere ad episodi di violenza domestica e soprattutto a quelli di cui è vittima la madre”. La stessa Corte da tempo con proprie pronunce aveva riconosciuto che “integra il delitto di cui all’art. 572 c.p. anche l’esposizione del minore alla percezione di atti di violenza condotti nei confronti di altri componenti del nucleo familiare (v. ad es. Sez. 5, n. 41142 del 22 ottobre 2010, C., Rv. 248904 e Sez. 6, n. 8592/10 del 21 dicembre 2009, Z. e altri, Rv. 246028)”. Previsione specificata anche nell’art. 46 d) della Convenzione di Istanbul. Il decreto aveva previsto tale aggravante anche nel caso di rapina commessa dinanzi al minore (n. 3 sexies del terzo comma dell’art. 628 c.p.).

A tal proposito, la legge di conversione ha apportato modifiche esaminate dalla Cassazione nella relazione n. III/03/2013. La Corte, ricordando le proprie perplessità sul decreto circa la circoscrizione di pochi e definiti reati per la configurabilità dell’aggravante della “violenza assistita”, rileva che “la legge di conversione ha soppresso sia il secondo comma dell’art. 572, che il citato n. 3 sexies del terzo comma dell’art. 628 ed ha invece provveduto a configurare una nuova aggravante comune – collocata nell’inedito n. 11 quinquies dell’art. 61 c.p. – per il caso che i delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale, nonché il delitto di maltrattamenti vengano commessi «in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza»”. A tal proposito la circolare emanata dalla procura di Trento pone la problematica sotto il versante psicologico del minore che assiste, nel senso di accertare la “consapevole percezione” del fatto incriminato da parte del minore. “In altri termini, l’aggravante non potrà obiettivamente ravvisarsi nei confronti di un minore in così tenera età da non essere stato in grado di apprezzare il fatto incriminato”.

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