Augusto ZaccarielloDiritto PenitenziarioIII_MMXV

LIMITAZIONI E CONTROLLI DELLA CORRISPONDENZA DEI DETENUTI

di Augusto Zaccariello

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La disciplina della corrispondenza dei detenuti  è stata novellata dalla legge 8 aprile 2004, n. 95 ha razionalizzato l’intera disciplina in un’unica disposizione normativa, abrogando le previgenti disposizioni, comportando la completa giurisdizionalizzazione del procedimento di controllo della corrispondenza.

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La disciplina della corrispondenza dei detenuti è stata novellata dalla legge 8 aprile 2004, n. 95, che ha modificato le disposizioni in materia di visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti ed in particolare ha aggiunto l’articolo 18 ter, alla legge 26 luglio 1975, n.  354, ordinamento penitenziario, sostituendo il comma 2 dell’articolo 14 quater ed abrogando i commi 7 e 9 dell’art. 18 della predetta legge penitenziaria.

Nella sostanza l’art. 1 della richiamata legge ha inserito nell’Ordinamento Penitenziario l’articolo 18ter, che disciplina, quale fonte di rango primario (in ossequio, dunque, alla riserva assoluta di legge contenuta nell’art.15 della Costituzione), le limitazioni al controllo della corrispondenza avviando, di conseguenza, il meccanismo di adeguamento della normativa italiana a quella comunitaria, rafforzando la posizione soggettiva del detenuto in materia di corrispondenza. La novella ha, infatti, razionalizzato l’intera disciplina in un’unica disposizione normativa, abrogando le previgenti disposizioni; ha comportato la completa giurisdizionalizzazione del procedimento di controllo della corrispondenza; ha indicato i presupposti tassativi delle misure restrittive; ha attribuito l’esclusiva competenza in materia al magistrato di sorveglianza o al giudice che procede; ha ammesso il reclamo verso i provvedimenti al Tribunale ordinario ed il successivo ricorso per Cassazione.

Con tale ultima previsione il legislatore ha, quindi, eliminato il difetto di impugnabilità in materia di visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti, stabilendo all’ art.18 ter, comma 6, O.P. che contro i provvedimenti previsti dal comma 1 e dal comma 5 può essere proposto reclamo, secondo la procedura prevista dall’articolo 14 ter (in tema di sorveglianza particolare, al Tribunale di Sorveglianza, se il provvedimento è emesso dal Magistrato di Sorveglianza, ovvero, negli altri casi, al Tribunale nel cui circondario ha sede il Giudice che ha emesso il provvedimento evidenziando che del collegio non può farne parte il Giudice che l’ha  emanato.

Nella disciplina precedente, invece, non era assolutamente ammesso alcun mezzo di impugnazione nei confronti dei provvedimenti con i quali il Magistrato di Sorveglianza disponeva la sottoposizione al visto di controllo della corrispondenza dei singoli detenuti o internati, avendo la giurisprudenza di legittimità chiarito la natura amministrativa del provvedimento. Prima dell’intervento riformatore operato dal legislatore del 2004 con la legge n. 95, nell’art. 18 dell’ordinamento penitenziario non erano specificati i casi in cui la limitazione della libertà e segretezza della corrispondenza dei detenuti poteva essere adottata, non stabiliva la sua durata, né le motivate ragioni che la potevano giustificare, né, infine, i criteri a cui doveva ispirarsi il giudice nell’assumere la decisione. L’ intervento legislativo sulle precedenti disposizioni contenute sia nell’ordinamento penitenzio sia nel regolamento di esecuzione, ha avuto come obiettivo quello di assicurare alcune garanzie, a seguito di ripetuti e notori provvedimenti di condanna assunti dalla C.E.D.U. nei confronti dell’Italia, e dare piena attuazione al principio costituzionale sancito dall’art. 15 della Costituzione, secondo il quale “la libertà e la segretezza della corrispondenza sono inviolabili e la sua limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.

La ratio della limitazione della corrispondenza epistolare dei detenuti si rinviene nel primo comma dell’art. 18 ter della legge penitenziaria dove è sancito che “per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto” possono essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi, le seguenti restrizioni:

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a) limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa;
b) la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo;
c) il controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della medesima.

Il terzo comma dell’articolo 18 ter della legge penitenziaria, prevede che i predetti provvedimenti possono essere adottati con decreto motivato, su richiesta del pubblico ministero o su proposta del direttore dell’istituto, nei confronti:

a)  dei condannati e degli internati, nonché nei confronti degli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza;
b)  nei confronti degli imputati, fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dal giudice indicato nell’articolo 279 del codice di procedura penale; se, invece, procede un giudice collegiale, il provvedimento è adottato dal presidente del tribunale o della corte d’assise.

Il provvedimento dell’autorità giudiziaria deve essere sempre motivato: evidentemente, con riferimento alla ricorrenza delle condizioni previste dall’art.18 ter O.P.; ma, si ritiene, anche con richiamo alle ulteriori fattispecie indicate nell’art.8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Gli aspetti operativi afferenti le modalità del controllo sono indicati nel quarto comma dell’art. 18 ter O.P. che demanda alla competente autorità giudiziaria la possibilità, qualora non ritenga di provvedervi direttamente, di delegare il controllo della corrispondenza al direttore o ad un appartenente all’amministrazione penitenziaria designato dallo stesso.
Ovviamente, come previsto dal quinto comma dell’art. 18 ter O.P. qualora, in seguito al visto di controllo, l’autorità giudiziaria ritenga che la corrispondenza o la stampa non debba essere consegnata o inoltrata al destinatario, dispone che la stessa sia trattenuta dandone formale comunicazione al detenuto mittente o destinatario della corrispondenza.

Le limitazioni previste dal comma 1 dell’articolo18 ter, compresa la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo, non si applicano qualora la corrispondenza epistolare o telegrafica sia indirizzata a:

a)    soggetti indicati nel comma 5 dell’articolo 103 del codice di procedura penale (ossia ai difensori, agli investigatori privati autorizzati, ai consulenti tecnici e ai loro ausiliari);
b)   all’autorità giudiziaria;
c)    alle autorità indicate nell’articolo 35 ella legge n.  354/75 (al direttore dell’istituto, agli ispettori, al direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena e al Ministro di Grazia e Giustizia, al magistrato di sorveglianza, alle autorità giudiziarie e sanitarie in visita all’istituto, al presidente della giunta regionale, al Capo dello Stato);
d)  ai membri del Parlamento, alle Rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini.
e)  agli organismi amministrativi o giudiziari, preposti alla tutela dei diritti dell’uomo, di cui l’Italia fa parte.

Degna di nota è l’eliminazione, dal novero delle fattispecie fondanti l’adozione dei provvedimenti restrittivi da parte dell’autorità giudiziaria, di qualsiasi riferimento alla categoria del “sospetto” per la richiesta del visto di controllo, che invece rimane come presupposto dell’attivazione del trattenimento amministrativo (art.38, comma 6, d.p.r. 30.6.2000, n.230).
Ne consegue che i provvedimenti che incidono sull’esercizio del diritto alla corrispondenza  non potranno essere basati sulla ricorrenza del  mero “sospetto” della sussistenza dei presupposti normativi indicati  ma dovranno essere fondati su elementi di valutazione concreti (sia pure anche di livello indiziario) tali da conferire un adeguato coefficiente di oggettività (nei termini di una ragionevole probabilità di esistenza) alle “esigenze” e “ragioni” allegate dal PM o dalla Direzione dell’istituto penitenziario, ai fini del vaglio dell’autorità giudiziaria competente per la decisione in ordine all’adozione dei controlli stessi.

Rilevante è  la circostanza che l’autorità amministrativa si muove  – d’iniziativa – alla luce del semplice “sospetto”(art.38,comma 6, d.p.r. 30.6.2000, n.230), mentre la successiva decisione dell’autorità giudiziaria investita del provvedimento finale sul trattenimento o inoltro della missiva dovrà corrispondere alle coordinate normative indicate dal comma 1 dell’art.18 ter O.P. che sottendono l’esigenza dell’accertamento circa la sussistenza delle condizioni richiamate dalla normativa stessa ed impongono l’adozione di un provvedimento congruamente motivato.

Il giudice è tenuto, infatti, alla luce del nuovo art.18 ter,comma 1, O.P.,  a motivare la propria decisione sulla base di riscontrate esigenze attinenti ai presupposti ex lege indicati. L’articolo stabilisce che il provvedimento giudiziario di controllo sulla corrispondenza ha efficacia per un termine massimo di sei mesi, prorogabili successivamente per periodi di tre mesi ciascuno. Da ciò si ricava la previsione di una sorta di riesame automatico della decisione del giudice decorso il termine iniziale fissato nel provvedimento (ovvero, in ogni caso, quello massimo stabilito dalla legge). La decorrenza del termine sopra detto senza che sia intervenuta una nuova decisione dell’autorità giudiziaria si ritiene comporti la caducazione automatica del regime dei controlli imposti alla corrispondenza del detenuto, trattandosi di provvedimenti – quelli previsti dall’art.18 ter O.P., a carattere eccezionale, a fronte della fruizione di un diritto costituzionalmente garantito.

L’art.18ter O.P. distingue una triplice tipologia di provvedimenti che, in ordine di crescente incisività sul diritto di cui all’art.15 della Costituzione, sono:

  • il controllo delle buste, senza esame degli scritti contenuti nelle stesse(in tal caso, l’apertura delle buste che racchiudono la corrispondenza avviene alla presenza del detenuto o dell’internato);
  • il visto di controllo (che implica l’esame dello scritto);
  • le limitazioni alla possibilità di ricevere ed inviare corrispondenza, o di ricevere la stampa.

Si tratta di attività di controllo molto diverse tra loro: mentre le prime due realizzano un vulnus sulla riservatezza della corrispondenza, senza tuttavia limitarne l’esercizio; la terza pregiudica la possibilità stessa di esercitare pienamente il diritto inciso. La prima ipotesi di controllo riproduce la disciplina dell’ispezione, prevista dall’art.38, comma 5,d.p.r. 30.6.2000, n.230.

A riguardo si segnala  l’interpretazione dell’Amministrazione Penitenziaria, che con circolare n.0245732-2004 del 1 luglio 2004, ha stabilito che la norma regolamentare dell’art.38,comma 5,d.p.r. 230/2000 è tuttora vigente pur in seguito all’avvento della l. 95/2004: “……va osservato che un’interpretazione sistematica  delle norme consente di ritenere che l’art.18ter O.P. attiene a finalità diverse dalle surrichiamate norme regolamentari [art.38,comma 5,d.p.r. 230/2000,N.D.R.] essendo il primo diretto alla tutela della riservatezza del detenuto e le seconde alla gestione e all’organizzazione dell’Istituto Penitenziario. Di conseguenza,poiché è compito istituzionale della Amministrazione penitenziaria garantire all’interno degli istituti penitenziari l’ordine,la sicurezza e la disciplina,si ritiene necessario – analogamente a quanto previsto per le persone che accedono in istituto per l’effettuazione dei colloqui,per i controlli dei pacchi e per le perquisizioni su persone o cose – continuare ad adottare tutte le cautele idonee ad evitare che attraverso la corrispondenza indirizzata ai detenuti possano essere introdotti in istituto valori o altri oggetti non consentiti. Ciò anche in considerazione del particolare momento storico che stiamo vivendo caratterizzato da problemi di sicurezza posti a livello internazionale e della necessità di salvaguardare l’incolumità fisica del detenuto… ”

Per assicurare le garanzie dell’articolo 18 ter, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, con la richiamata circolare ha di conseguenza stabilito: “… tanto premesso, sarà opportuno che, prima di consegnare la corrispondenza  ai detenuti,in assenza di decreto autorizzativo rilasciato dall’autorità competente, la posta sia:

1.  esaminata esternamente anche mediante l’ausilio di idonei strumenti meccanici e/o con l’ausilio di unità cinofile;
2. in caso di sospetto per l’ordine e la sicurezza, trattenuta nell’attesa della prescritta autorizzazione da parte dell’autorità competente;
3. in quest’ultimo caso, consegnata al destinatario soltanto previa liberatoria alla ispezione, rilasciata da parte dello stesso. L’apertura della busta dovrà avvenire, in ogni caso, nel rispetto delle modalità previste dall’art.38,5°co.in presenza del detenuto”.

L’ispezione è mirata alla verifica che la corrispondenza in busta chiusa, in arrivo o in partenza, non contenga valori ovvero oggetti non consentiti.  Detta operazione coinvolge l’intero volume della corrispondenza del detenuto o internato ed ha evidenti finalità di prevenzione in rapporto alle esigenze di tutelare l’ordine e la sicurezza interna all’istituto di pena.

Va, tuttavia, ben distinta l’ipotesi che l’ispezione sia condotta senza l’apertura dei plichi (ispezione esterna) ovvero che questa si spinga all’esame dell’interno delle buste (ispezione interna). È da ritenere che, con riferimento a quest’ultima ipotesi, soltanto qualora l’accennato strumento ispettivo sia attuato su decisione dell’autorità giudiziaria e con modalità tali da garantire l’assenza di controlli sullo scritto, la disposizione sia compatibile con la previsione della “doppia riserva” posta a tutela della riservatezza delle comunicazioni dall’art.15 della Costituzione.

Con riferimento all’ispezione esterna delle buste e dei plichi di corrispondenza di cui alla circolare DAP n.0245732/2004, invece, non pare si ponga un problema di rispetto delle garanzie costituzionali, poiché, trattandosi di uno strumento di controllo non esteso al contenuto dello scritto, e non implicante l’apertura dell’involucro esterno delle missive, non incide sulla sfera di inviolabilità e riservatezza della corrispondenza presidiata dall’art.15 Costituzione. Con riferimento al problema, adombrato nella circolare sopra riportata in stralcio, delle esigenze di tutela dell’ordine, sicurezza e disciplina dell’istituto, va, inoltre rammentato che in conformità alla previsione di cui all’art.38, comma6, d.P.R.30.6.2000,n.230, la direzione dell’istituto, quando abbia sospetto che, nella corrispondenza epistolare, siano contenuti elementi che costituiscono pericolo per l’ordine o la sicurezza  ovvero che integrano fattispecie di reato, trattiene la missiva, inoltrando immediata segnalazione all’autorità giudiziaria per i provvedimenti del caso. In tali evenienze, l’autorità giudiziaria investita dal Direttore dell’istituto potrà disporre gli opportuni provvedimenti, previa verifica della sussistenza dei presupposti che hanno giustificato il trattenimento della corrispondenza.

In particolare, il magistrato di sorveglianza potrà trasmettere gli atti alla competente Procura della Repubblica (e disporre la sottoposizione a visto della corrispondenza del recluso), qualora ritenga integrata una notizia di reato; in caso contrario disporrà l’inoltro della missiva al destinatario. L’autorità giudiziaria procedente potrà direttamente attivarsi, anche nelle forme cautelari (artt. 253 e 254 c.p.p.). Qualora la corrispondenza sospetta sia stata sottoposta a visto di controllo, è inoltrata o trattenuta su decisione dell’autorità giudiziaria (art. 38, comma 6,d.p.r.30.6.2000,n. 230). Pare, quindi, plausibile ritenere che possa residuare in capo alla direzione dell’istituto il potere cautelare di trattenimento previsto dalla disposizione dell’art.38,comma6,d.p.r. 30.6.2000, n.230, non rientrando, quest’ultima, tra le ipotesi di controllo la cui disciplina è stata riformulata dalle disposizioni introdotte dalla l.8.4.2004,n.95, trattandosi di atto cautelare, necessariamente attivato dall’amministrazione penitenziaria nell’immediatezza della situazione che genera il “sospetto” sul contenuto della missiva, e non ponendosi, per giunta, alcun problema di contrarietà con i principi costituzionali od europei, stante la previsione dell’immediato coinvolgimento dell’autorità giudiziaria ai fini della decisione finale.

Si evidenzia, infine, che le Sezioni Unite, a risoluzione di un contrasto, hanno affermato il principio per cui la disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni (art. 266 e ss. cod. proc. pen.) non è applicabile alla corrispondenza, dovendosi utilizzare, ai fini della valenza probatoria del contenuto epistolare, le norme relative al sequestro di corrispondenza (artt. 254 e 353 cod. proc. pen.) e, in caso di detenuti, rispettare le particolari formalità stabilite dall’art. 18 ter dell’ Ordinamento  Penitenziario. In altre parole, le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione hanno stabilito che l’Autorità giudiziaria non può prendere segretamente cognizione della corrispondenza epistolare in applicazione analogica della disciplina delle intercettazioni telefoniche. In tale caso la Corte ha ritenuto adottato in violazione di legge il decreto che disponeva la “intercettazione di corrispondenza epistolare”.
Nonostante le specifiche e dettagliate previsioni della legge, ancora oggi, spesso, vi sono pronunce di condanna da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo in materia di corrispondenza dei detenuti, soprattutto con riferimento al “trattenimento” della corrispondenza inviata alla persona detenuta. ©

 


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