di Francesco Rundo, Edoardo Tusa, Sebastiano Battiato
La professione medica e sanitaria riveste un ruolo cruciale nel tessuto sociale ed economico del nostro Paese, attese peraltro le numerose vicende giudiziarie che hanno costretto, non da ultimo, il legislatore ad innovare nuovamente il quadro normativo che regolamenta e disciplina le azioni giudiziarie per errore medico. In questo quadro piuttosto complesso in cui si contrappongono gli interessi dei pazienti a quelli della professione medico-sanitaria è certamente attuale la figura del consulente tecnico (sia di parte che d’ufficio) che nei contenziosi medico-legali ha l’arduo compito di valutare con giudizio e rigore scientifico l’operato del professionista medico chiamato a rispondere del proprio operato. L’obiettivo del consulente tecnico è, dunque, quello di indirizzare opportunamente l’adito giudicante al fine di discriminare con ragionevole certezza l’errore volontario, doloso o colposo commesso dal professionista per imperizia, negligenza, superficialità ovvero per mancata adesione alle linee guida adottate dalla comunita scientifica, dagli scenari in cui nonostante il risultato avverso per il paziente questo non sia imputabile al professionista medico che ha , dunque, esercitato la sua professione al meglio delle proprie possibilità difettando, in concreto, il c.d. nesso eziologico.
Nell’articolo proposto si mostreranno, attraverso la presentazione di un caso-studio in ambito oncologico, gli enormi vantaggi che la costituzione di un team di consulenza multi-disciplinare composto oltre che da medici, anche da ingegneri e matematici, può apportare nei contenziosi medico-legali sia in ambito civile che penale. Nello specifico, il team multi-disciplinare costituito dagli autori (medico-legale, ingegnere, informatico, matematico) attraverso un’analisi rigorosa delle immagini mediche riferite al caso presentato, messe peraltro in relazione con le linee guida adottate dalla comunita medica, ha sensibilmente elevato il livello di accuratezza scientifica della valutazione medico-legale del caso esaminato con l’ovvia conseguenza in relazione al peso probatorio che una tale analisi avrà in sede giudiziaria qualora il paziente decida di adire le vie legali.
1. Introduzione
I numerosi casi di c.d. “mala-sanità”, balzati agli onori della cronaca, introducono con forza il tema della responsabilità medica nei diversi ambiti coinvolti. Il settore della medicina che, ad avviso delle piu recenti statistiche, viene maggiormente investito dall’azione giudiziaria pro/contro la classe medica è certamente il settore oncologia-radiologia-anatomia patologica che quasi sempre, in sinergia, si occupa di inquadrare correttamente il complesso patologico del paziente (dalla diagnosi della neoplasia alla stadiazione/cura della stessa). In questo complesso quadro medico-sociale trova ampio spazio applicativo la collaborazione multi-disciplinare oggetto del presente articolo, in cui sono coinvolte diverse professionalità e competenze.
2. Responsabilità medica: evoluzione normativa
La professione intellettuale del sanitario, una tipica obbligazione di mezzi e non di risultati, rientra nelle cosiddette professioni protette, per esercitare le quali è necessaria una specifica abilitazione e l’iscrizione in un apposito albo. La diligenza con cui va eseguita la prestazione professionale medica segue i dettami di cui all’art. 1176 c.c. Pertanto il solo obbligo del medico è riferito alla diligenza, in quanto egli è obbligato ad eseguire la prestazione con la diligenza dovuta, ma non è tuttavia tenuto a conseguire il risultato.
Alla giurisprudenza di settore, impegnata a ricercare un’univoco inquadramento normo-contrattuale per tale tipo di responsabilità, venne in aiuto la sentenza del 1999 della Corte di Cassazione (Cassazione civ. n. 589 del 22 gennaio 1999): anche il medico, così come già accadeva per la struttura sanitaria, iniziava a rispondere contrattualmente ex articolo 1218 del Codice Civile. Una importantissima conseguenza del nuovo inquaramento giuridico della responsabilità medica è chiaramente rivolto all’onere probatorio. Al paziente basta quindi provare l’esistenza del contratto e l’aggravamento della situazione patologica, restando a carico del sanitario la prova che la prestazione professionale sia stata diligentemente eseguita e che l’aggravamento sia dipeso da eventi imprevedibili.
Recentemente, però, il legislatore ha voluto rivedere nuovamente la normativa, a seguito peraltro dei numerosi fatti di cronaca e delle notevoli difficoltà tecniche, operative e pratiche nei contenziosi medico-legali: con l’articolo 3, comma 1, del Decreto Legge 13 settembre 2012 n. 158, convertito con modificazioni dalla Legge 8 novembre 2012 n. 189, ha previsto che “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del Codice Civile”.
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