NEL PROCESSO PENALE LE PARTI NON POSSONO COMUNICARE TRAMITE LA PEC

di Michele Iaselli

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Corte di Cassazione, Sezione III Penale, sentenza n. 7058 dell’11 febbraio 2014 e depositata il 13 febbraio 2014

La Corte ha affermato che nel processo penale non possono essere effettuate notificazioni e comunicazioni con le parti private mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata.

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La Corte di Cassazione, III sez. penale, con la sentenza n. 7058 del 13 febbraio 2014 esclude la legittimità dell’utilizzo della posta elettronica certificata nel processo penale ritenendo che alla luce dell’attuale normativa tale strumento trova un suo fondamento solo per il processo civile.
In effetti, nel caso di specie, la Suprema Corte affronta più in generale la questione dell’utilizzo delle nuove tecnologie nel processo penale precisando che è inammissibile un’istanza di rinvio dell’udienza per concomitante impegno del difensore trasmessa via telefax, poiché l’art. 121 c.p.p. stabilisce l’obbligo per le parti di presentare le memorie e le richieste rivolte al giudice mediante deposito in cancelleria, mentre il ricorso al telefax è riservato ai funzionari di cancelleria ai sensi dell’art. 150 c.p.p.
Tale principio, espresso a proposito dell’uso del telefax, peraltro, trova applicazione per tutte quelle “Forme particolari di notificazione disposte dal giudice”, cui si riferisce l’art. 150 c.p.p., ossia “mediante l’impiego di mezzi tecnici che garantiscano la conoscenza dell’atto” e, dunque, anche in quei casi in cui la comunicazione sia stata eseguita a mezzo posta elettronica: a maggior ragione quando la comunicazione viene eseguita mediante l’indirizzo “privato” di posta elettronica del difensore e non a mezzo di posta elettronica certificata (PEC), modalità non riconosciuta dalla legge.

Inoltre al fine di chiarire dubbi in materia la Suprema Corte precisa che, a differenza di quanto previsto per il processo civile, nel processo penale la PEC, per le parti private, non sarebbe stata comunque idonea per comunicare l’impedimento. Difatti, nel processo civile l’art. 366 c.p.c., comma 2, (cosi come previsto dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, che ha modificato la L. n. 53 del 1994), ha introdotto espressamente la PEC quale strumento utile per le notifiche degli avvocati autorizzati. Inoltre già il D.M. n. 44 del 2011 aveva disciplinato con maggiore attenzione l’invio delle comunicazioni e delle notifiche in via telematica dagli uffici giudiziari agli avvocati e agli ausiliari del giudice nel processo civile, in attuazione della L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 51. In tale contesto assume rilevanza la disposizione di cui all’art. 4 che prevede l’adozione di un servizio di posta elettronica certificata da parte del Ministero della Giustizia in quanto ai sensi di quanto disposto dalla L. n. 24 del 2010 nel processo civile e nel processo penale, tutte le comunicazioni e notificazioni per via telematica devono effettuarsi, mediante posta elettronica certificata.
Quest’ultima disposizione è stata rinnovata anche dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (“Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”, in GU n.245 del 19-10-2012 – Suppl. Ordinario n. 194), entrato in vigore il 20 ottobre 2012 e convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 (c.d. Decreto crescitalia 2.0) dove all’art. 16 viene sancito, al comma 4, che “Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma dell’art. 148 c.p.p., comma 2 bis, artt. 149 e 150 c.p.p. e art. 151 c.p.p., comma 2. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria”.

Alla luce, quindi, di questo excursus normativo, ne consegue secondo la Corte che per la parte privata, nel processo penale, l’uso di tale mezzo informatico di trasmissione non è – allo stato – consentito quale forma di comunicazione e/o notificazione.
Indubbiamente la Suprema Corte con questa sentenza ha il merito di individuare quello che possiamo definire un autentico vulnus dell’attuale sistema normativo, in quanto nonostante in via di principio il D.M. 44/2001 e la stessa legge n. 24/2010 prevedano l’utilizzo delle nuove tecnologie nel processo sia civile che penale, viene poi dedicata maggiore attenzione da parte del legislatore all’uso della PEC nel processo civile con disposizioni ad hoc tenuto anche conto dell’avvio del processo telematico in ambito civile, mentre il settore penale rimane ancora molto lontano da una tale forma di processo.

Perché dunque si è ancora così lontani dall’uso delle nuove tecnologie nel processo penale? Per comprenderne i motivi cerchiamo di analizzare la struttura del processo telematico.
Con il processo telematico si rientra nell’ambito della informatica giudiziaria gestionale da intendersi come il ramo che investe i procedimenti che si svolgono con l’intervento del giudice e delle parti. Il processo viene gestito con l’ausilio dell’elaboratore, nel quale vengono memorizzati, sotto forma di dati codificabili, tutti gli atti del processo, che corrispondono ad attività strutturate.
Il processo, ed in generale le procedure che prevedono l’intervento del giudice e delle parti, risolvendosi in una sequenza di atti orientati ad un risultato, coordinati fra loro e sufficientemente strutturati, si prestano agevolmente alla codificazione e, quindi, all’automatizzazione. I vari atti che integrano l’iter procedurale, vengono memorizzati, sulla base di un programma che rispecchia le regole processuali; il processo, pertanto, si concreta in flussi d’informazioni, utilizzabili sia verso l’interno che verso l’esterno. Di tal che, il processo si trasforma in una rete informativa di dimensione operativa e di carattere dinamico, che implica una serie di evidenti e rilevanti vantaggi: anzitutto, al processo viene impresso un ritmo di maggiore celerità, tenuto conto che la macchina è in grado di predisporre i ruoli di udienza (sia quelli collegiali che istruttori), di provvedere a stampare gli avvisi da inviare alle parti, ecc. e cioè di compiere tutta una serie di operazioni in tempi più rapidi e ridotti rispetto a quelli dell’operatore manuale; queste stesse operazioni, d’altra parte, posseggono un più alto grado di precisione ed una maggiore chiarezza di contenuto e sono suscettibili di un controllo immediato, diretto a scoprire e ad eliminare eventuali errori commessi. Inoltre, il giudice può esercitare un dominio completo sullo svolgimento di ogni singolo processo, attraverso la visura sul terminale dell’elaboratore di tutte le informazioni raccolte circa il processo stesso. Ciò lo aiuterà nella fase della decisione e gli permetterà anche di programmare utilmente il suo lavoro con riguardo alle istruttorie e alla distribuzione dei processi.

I soggetti interessati, poi, potranno ottenere notizie del processo che li riguarda in tempi reali e i legali, a loro volta, avendo una conoscenza complessiva e contemporanea delle cause in cui sono difensori, potranno anch’essi pianificare più razionalmente il loro lavoro. La stessa presenza fisica dei legali negli uffici, in molti casi, non è più richiesta in quanto essi possono ottenere le informazioni che loro necessitano attraverso il terminale personale collegato con il centro elettronico dell’ufficio.
In particolare, quindi, il passaggio dal processo di cognizione attuale al processo di cognizione telematico si fonda proprio sulla creazione di una rete telematica che colleghi tutti gli studi professionali, tutte le cancellerie degli uffici giudiziari, tutti gli studi dei giudici e dei loro ausiliari; e sulla trasformazione dell’attuale fascicolo cartaceo in un fascicolo virtuale inserito in tale rete.
Non siamo più nell’ambito di una prospettiva statica dell’automazione che si limita ad una mera attività di consultazione di dati giuridici e giudiziari eteronomi; ma in tal caso l’avvocato si pone in una prospettiva dinamica che tende ad inserire gli studi legali nel circuito formativo dei dati; in tal caso gli studi legali assumono un ruolo attivo, con un contributo diretto all’automazione di processi gestionali aperti, ove possibile, ad apporti esterni agli uffici giudiziari. In effetti il procedimento giudiziario non ha soltanto un carattere conoscitivo; esso ne ha anche uno pratico, procedurale, che consiste proprio nello svolgimento del processo in una successione di fasi temporali, a partire dalla comunicazione giudiziaria o dall’atto introduttivo ad istanza di parte, e che procede attraverso la fase istruttoria, le udienze, con allegazioni dei relativi documenti, la formazione dei fascicoli giudiziari, il deposito degli atti, la decisione e pubblicazione della sentenza, con la successiva conservazione dei fascicoli giudiziari.

A questo complesso “diritto in movimento” si riferisce la parte più attuale dell’informatica giudiziaria, che ha dunque un suo carattere distintivo in quanto essa e’ operativa, oltre che conoscitiva.
L’elemento innovativo e decisivo per il nuovo sviluppo dell’automazione dei dati giuridici è però quello rappresentato dall’avvento della telematica, che consente la trasmissione dell’informazione a distanza, l’informatica distribuita ed interattiva, la telecomunicazione fra i giudici, le nuove forme di controllo e di partecipazione all’iter processuale sia da parte degli operatori interessati sia da parte degli organi preposti all’Amministrazione Giudiziaria.

Ogni operatore del diritto (giudice, avvocato, P.M., cancelliere, ufficiale giudiziario) o anche colui che interviene in funzione ausiliaria (consulente tecnico) diventa titolare di un accesso autorizzato alla rete telematica giudiziaria e di un indirizzo simile a quello della attuale casella di posta elettronica nella rete Internet.
Ogni procedimento giudiziario corrisponde ad un fascicolo virtuale creato e numerato automaticamente da uno specifico programma di gestione non appena ricevuta la trasmissione dell’atto introduttivo del giudizio. In tale fascicolo vengono inseriti tutti gli altri atti processuali, oltre alla documentazione offerta in copia digitale.
La piattaforma di gestione garantisce l’accesso abilitato con diversi gradi di capacità (creazione dell’atto, trasmissione dell’atto o del documento, lettura dell’atto o del documento) a seconda del ruolo, delle funzioni dell’operatore e del momento processuale specifico. Lo stesso sistema informatico, inoltre, provvede ad avvertire i soggetti processuali di tutti i depositi eseguiti nel fascicolo virtuale, nonché delle eventuali scadenze proprie dell’iter processuale.
Ogni soggetto processuale viene autorizzato a visionare telematicamente e trarre copia di quanto contenuto nel fascicolo virtuale di causa.

Queste regole di carattere generale, così come descritte, effettivamente sono più attinenti ad un processo civile, difatti per quanto sia indubbio che anche il processo penale potrà trarre un grande giovamento da un certo grado di informatizzazione (come dimostrato anche dai processi di “Tangentopoli”), rimane, per le sue caratteristiche intrinseche, più legato al tipo di struttura esistente.
Ricordiamo che il processo penale tende a provare il fatto ipotizzato e le prove sono appunto gli strumenti impiegati per verificare l’esistenza di tale fatto.
L’esame dei testimoni e delle parti, i confronti, le ricognizioni, gli esperimenti giudiziali, la perizia e i documenti sono mezzi di prova che si caratterizzano per l’attitudine di offrire al giudice risultanze probatorie direttamente utilizzabili in sede di decisione.

Fatta eccezione per le prove non ripetibili in sede dibattimentale, nel sistema processuale del codice la prova è unicamente quella assunta nel contraddittorio tra le parti, nel corso dell’istruzione dibattimentale o nell’incidente probatorio. Nelle indagini preliminari non si assumono prove, ma solamente elementi di prova che diverranno prove solamente se assunti nel corso dell’istruzione dibattimentale.
I principi fondamentali del dibattimento sono la pubblicità, la concentrazione, il principio dispositivo in tema di assunzione della prova (ammissione su richiesta delle parti), l’oralità, l’immediatezza, il contraddittorio nel momento di formazione della prova, la correlazione tra accusa e sentenza, la non regressione ad una fase antecedente allorquando si sia giunti validamente alla fase del giudizio.
Aspetti questi indubbiamente ancora poco compatibili con l’utilizzo di strumenti informatici così come concepiti nel processo telematico, almeno allo stato attuale.
Naturalmente, al di là di tali macroscopiche differenze di carattere concettuale tra processo civile e penale, appare comunque difficile comprendere il rifiuto di utilizzare efficienti mezzi di comunicazione telematica nel processo penale, come la PEC, riconosciuti ormai pacificamente nel processo civile, in quanto tali strumenti non sviliscono affatto le prerogative del processo penale.©

 


 

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