L’articolo esamina quanto affermato dalla Corte di Appello di Torino sulla sussistenza del delitto di “Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa” [Corte di Appello di Torino, sez. IV pen., 10 novembre 2021 (dep. 24 gennaio 2022), n. 7197, Pres/Est. Brianda].
“Il reato in parola, può essere integrato unicamente da quelle condotte che rendono impossibile la realizzazione dello scopo per il quale è stato disposto il sequestro. Così, la definitiva sparizione di un bene destinato alla confisca integra, evidentemente, il reato in questione, ma non lo integra la sparizione momentanea che, preservando comunque il bene nella sua integrità, non raggiunga l’effetto di impedire la confisca.Il dolo del reato in parola, seppur generico, deve consistere non soltanto nella consapevolezza del vincolo giudiziario gravante sul bene e nella volontà di compiere atti contrari ai doveri di custodia, ma anche nel rendere impossibili gli atti conseguenti al sequestro stesso” [Corte di Appello di Torino, sez. IV pen., 10 novembre 2021 (dep. 24 gennaio 2022), n. 7197, Pres/Est. Brianda].
L’appellante, mentre si trovava seduto nel lato conducente della propria automobile, aveva subìto una rapina (con sottrazione di un orologio di elevato valore) ad opera di due sconosciuti, uno dei quali gli aveva puntato una pistola allo zigomo e aveva esploso un colpo che, però, aveva attinto alla spalla della donna seduta sul sedile anteriore del passeggero.
L’autorità giudiziaria aveva sottoposto l’auto a sequestro penale, al fine di espletare i rilievi di legge e l’aveva affidata in custodia allo stesso appellante, nonché proprietario, con apposito verbale nel quale era evidenziato il divieto di utilizzare l’auto e di preservarla in un luogo adeguato. La suddetta Autorità aveva compiuto tutti i rilievi probatori, cui era finalizzata l’apposizione del vincolo, lo stesso giorno della rapina, corrispondente a quello precedente al sequestro.
Alcuni giorni dopo il sequestro, si era appreso che l’appellante aveva ripulito l’automobile e l’aveva utilizzata, percorrendo 87 km.
Alla luce di quanto sopra esposto, il Giudice per le Indagini Preliminari aveva ritenuto l’imputato colpevole del delitto di cui all’art. 334, comma 2, c.p. ritenendo che la pulizia e l’utilizzo dell’autovettura fossero riconducibili alla condotta di “sottrazione” richiesta dalla fattispecie in esame. Di diverso avviso, è stata la Corte di Appello di Torino che ha assolto l’imputato perché “il fatto non sussiste”, evidenziando come per l’integrazione della fattispecie in esame debba essere valorizzato il principio di offensività in concreto.
Nella versione attuale, la disposizione di cui all’art. 334 c.p. tutela l’interesse della Pubblica Amministrazione alla non frustrazione del vincolo, impresso in un procedimento penale o amministrativo, mediante condotte che insistono materialmente sulle cose oggetto di sequestro (in dottrina, M. Romano). Tale interesse è riconducibile al buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione e si concretizza nel mantenimento delle condizioni di realizzabilità delle finalità dei sequestri (accertamento e/o prevenzione di illeciti, penali o amministrativi). Più specificamente, il buon andamento verrebbe leso nel momento in cui la Pubblica Amministrazione non riesca ad assicurare l’osservanza della volontà dello Stato nella sua funzione cautelativa; mentre il principio di imparzialità sarebbe pregiudicato dalla condotta del custode che, violando il suo dovere di fedeltà, finisce per trattare in modo non uniforme i procedimenti cautelari (C. Benussi). È evidente la natura squisitamente pubblicistica dell’interesse che viene in rilievo.
La fattispecie su cui si è pronunciata la Corte è quella prevista dal secondo comma dell’art. 334, nel quale il soggetto attivo è il custode che sia anche proprietario del bene oggetto di sequestro.