FOCUSVittorio Capuzza

Profili giuridici nella storia nazionale e romana dei piani regolatori

di Vittorio Capuzza

  1. Le ragioni di un aggiornamento della normativa locale sull’urbanistica

La trasformazione fisica e funzionale dell’urbanistica in un territorio costituisce la ragione principale dell’esistenza di ciascun Ente locale. Le esigenze di recupero e riqualificazione del patrimonio edilizio, limitando l’utilizzo del suolo, si ascrivono in un’ottica che l’Unione Europea definisce di rigenerazione urbana integrata, riguardando il verde, l’ambito sociale, l’economia (Spasiano, 2022; Primerano, 2023). Questa visione complessa trova nella Dichiarazione di Toledo del 2010 gli strumenti operativi e procedimentali da seguire, mediante gli interventi regolamentari del soft law. Nella scienza giuridica si oscilla (Di Giovanni, 2023: 87) nel configurare tale quadro o come una espressione della funzione amministrativa – quella cd. d’ordine, mediante il governo del territorio – (Dipace, 2017; Chiti, 2017), ovvero come un vero e proprio servizio pubblico (Favaro, 2020), o come una tecnica operativa del governo del territorio. L’urbanistica sin dall’età moderna non è solo un tentativo per l’organizzazione degli spazi, “ma – scrive Leonardo Benevolo – si pone concretamente come uno dei fattori che cooperano alla costruzione di una comunità democratica. L’urbanistica (…) si presenta, più umilmente, come una delle tecniche necessarie a definire questo equilibrio; non punta più su una forma perfetta da realizzare al primo colpo, ma su una serie di modificazioni parziali, su un ragionevole compromesso fra le forze in gioco, da rinnovare continuamente secondo il loro reciproco movimento” (Benevolo, 1972: 56), In tale scenario, compare l’importanza anche di evitare lo spreco del suolo. Già nel 1977, tra gli altri, segnalava questa necessità Giuseppe Campos Venuti, il quale da un lato notava che “i costi di questo sviluppo distorto, basato sullo spreco delle risorse, sono incalcolabili e hanno inferto alle città e al territorio ferite destinate a degenerare se non curate subito e con energia” (Venuti, 1978: 23), d’altro lato, proponeva cinque salvaguardie: pubblicistica, rivendicando l’uso comunitario di suoli per esigenze educative, sanitarie sociali etc.; sociale, a difesa della permanenza dei ceti popolari in ogni quartiere; programmatica, che, ad esempio, veda un sistema di comunicazione realistico, anche il risalto dei mezzi pubblici; produttiva e ambientale, mediante provvedimenti di sostenibilità, (Venuti, 1978: 60-63). Indubbiamente, la salvaguardia ambientale rappresenta un’istanza sociale, cioè un valore che il diritto ha sussunto, fino a rendere la relativa disciplina legale una espressione spettrografica dei principi giuridici che sostengono la tutela della natura.

 

  1. Un primo sguardo sulla situazione attuale della normativa a Roma

Nel quadro costituzionale della legislazione concorrente, la L.R. Lazio n. 7 del 2017 nasce nello spirito della Dichiarazione di Toledo, puntando alla programmazione di interventi di rigenerazione, specie nelle periferie e nelle aree con maggior disagio socio-economico (Di Giovanni, 2023: 91). È proprio in forza di questi importanti cambiamenti, oltre alla moltiplicazione di nuove normative nazionali e delle pronunce della giustizia amministrativa nel frattempo intervenuta con effetto demolitorio sul alcune disposizioni del 2008 (fra le quali soprattutto quella espressa nell’art. 45, comma 6 NTA sui Tessuti della Città Consolidata), che il Comune di Roma, nello specifico, ha inteso metter mano al proprio Piano Regolatore Generale, aggiornando (come variante al Piano) le Norme Tecniche d’Attuazione (NTA) e puntando anche alla semplificazione delle procedure. Infatti, le NTA del PRG di Roma risalgono al 2008, non recependo pertanto tutto il sistema di disposizioni frattanto intervenute in materia urbanistica (si pensi solo alle modifiche operate dal 2008, specialmente nel periodo della pandemia, nel d.P.R. n. 380/2001), né quello emanato in ambito europeo: le attuali NTA 2008 di Roma (approvate con Deliberazione Consiliare n. 18 del 12 febbraio 2008) si fermano alla Carta di Lipsia del 2007 ma non ai suoi aggiornamenti del 2020 e non contengono riferimenti alla Carta Urbana Europea del 2008, né tantomeno alla citata Dichiarazione di Toledo del 2010. Sicché, la Giunta Capitolina con deliberazione n. 120 del 14 aprile 2022 ha dapprima avviato, mediante l’istituzione di un gruppo di lavoro interdipartimentale, le attività volte a una revisione e attualizzazione delle NTA del PRG comunale, nonché alla loro semplificazione e coordinamento con la normativa statale e regionale. Tra le novità presentate nel giugno 2023 già comparivano: la semplificazione nell’attuazione urbanistica con l’adeguamento delle categorie d’intervento al TU Edilizia (art.9 NTA); l’introduzione del permesso di costruire convenzionato (art. 12 NTA); la semplificazione delle misure d’attuazione in Città storica e consolidata (artt. 25-49 NTA); la riqualificazione delle periferie (artt. 52 e 53 NTA) e cambi di destinazione d’uso (art. 6 NTA). Come è possibile constatare, rimane pressoché intatto il quadro normativo riferito al Programma integrato e al Progetto urbano.

Successivamente, con la Deliberazione n. 169 del 2024 l’Assemblea Capitolina nella seduta dell’11 dicembre ha adottato, ai sensi dell’art. 10 della L. n. 1150/42 e della L.R. n. 19 del 23 novembre 2022 (in particolare, con i ritmi e le sequenze scandite dall’art. 9, commi 61, 62 e 63) la variante parziale agli articoli delle NTA di PRG approvati il 12 febbraio 2008; dall’8 marzo al 7 aprile 2025 è in rete il modulo per osservazioni per le informazioni e la consultazione della cittadinanza, poi il comma 63 stabilisce l’ultimo segmento da percorrere: la Deliberazione, una volta approvata, viene trasmessa alla Regione Lazio entro 10 giorni dal deposito in Segreteria.

 

Lawful Interception per gli Operatori di Tlc
  1. La rigenerazione urbana all’interno delle novità operate

È noto che un Piano Regolatore è qualificabile come atto complesso, composto, come quello di Roma, da molti elaborati prescrittivi, gestionali, descrittivi e indicativi; dividono il territorio in componenti riferite ai sistemi insediativo, ambientale, agricolo, servizi, infrastrutture e impianti, riqualificando, altresì, il territorio e il proprio patrimonio edilizio secondo i principi di sostenibilità ambientale, della perequazione urbanistica e dei criteri di economicità, efficacia, semplificazione e pubblicità. Dunque, le NTA romane rappresentano in questa sfera non piccola in cui operano, un punto d’arrivo capace d’esprimere il carattere post-moderno del diritto, l’applicazione del principio di adeguatezza della normativa alle esigenze valoriali che la realtà sociale, prima di tutto, richiede e vuole tutelate.

In tale contesto, s’inseriscono le previsioni contenute nella ‘variante romana’ che, nella prospettiva di recuperare e valorizzare il patrimonio edilizio esistente, limitano di fatto il consumo del suolo[1] e la compromissione delle componenti ambientali urbane e valorizzano, parallelamente, le dotazioni territoriali secondo i principi di ‘rigenerazione urbana’, già postulata dal D.L. n. 32 del 2019 (cd. sblocca-cantieri) e che vede – speriamo bene – nel 2050 il tempo del consumo del suolo pari a zero. Dunque, da un lato limiti al consumo del suolo; d’altro lato, il recupero di zone edificate in disuso, compongono: 1. la sostenibilità, rendendo (nel senso di restituire) la realtà vitale ‘a misura d’uomo’; 2. la razionalità delle misure; 3. Uso di materiali ecocompatibili; 4. La partecipazione sociale e associativa.

Questi principi e tali criteri, come si diceva, rappresentano un ‘punto d’arrivo’ di un cammino lento nei primi decenni e accelerato dopo che la dottrina e la giurisprudenza (soprattutto costituzionale) avevano avviato negli anni Settanta (poi il TFUE europeo ne ha dato la spinta finale) una lettura incisiva, storica, prismatica e trasversale della categoria dell’ambiente, fino all’inserimento recente di una così importante tutela nella Carta costituzionale. Fino a qualche anno fa, sicché, il quadro presentava caratteri e colori diversi. Vediamone da lontano le forme.

Lawful Interception per gli Operatori di Tlc

 

  1. Un quadro diverso. In Italia

Dopo la prima fase dell’Unità nazionale, quando ancora la capitale era a Firenze, il 25 giugno del 1865 veniva promulgata la prima legge dell’Italia unita – la n. 2359 – relativa alle espropriazioni per causa di pubblica utilità. L’istituto aveva radici secolari e gli stessi giuristi medievali nel riconobbero la valenza secondo lo ius gentium, essendo la pubblica utilità idonea a qualificare la iuxta causa capace di derogare allo ius naturale secondo cui la proprietà era intangibile. Ma appare singolare che all’interno di questa normativa, tutta tesa a ‘fare l’Italia’ e che si accompagnava alla L. n. 2248/1865 abolitiva del contenzioso amministrativo e sugli appalti pubblici di lavori (Allegato F), nel Capo VI del Titolo II dettava fra le Disposizioni particolari regole di Piani Regolatori. Infatti, a ben vedere, l’espropriazione non rappresentava per essi un fine, ma un mezzo per raggiungere l’intento. Quale fosse lo scopo lo affermava l’art. 86 della Legge n. 2359 (indicare con semplice chiarezza i fini della normativa è una tecnica che stiamo perdendo): provvedere alla “salubrità ed alle necessarie comunicazioni”, rimediando alla “viziosa disposizione degli edifici”. Il Decreto d’approvazione avrebbe dovuto indicare in tempo entro il quale il Piano avrebbe dovuto trovare attuazione, comunque nell’arco temporale non maggiore di anni 25. Lo disponeva l’art. 87, al comma 4.

La Legge n. 2359/1865 venne superata solo dalla cd. legge urbanistica del 17 agosto 1942, n. 1150, ancora oggi vigente dopo un costante suo adeguamento; l’art. 8 rinvia a un elenco nel quale tutti i Comuni lì indicati vedono l’obbligatorietà della formazione del Piano: il primo elenco venne approvato con decreto interministeriale nel marzo del 1954 e, incredibile dictu, nella successiva estate un’inchiesta promossa in occasione del IV Congresso nazionale di urbanistica mostrò che molti di quei Comuni presenti nel decreto erano sfavorevoli all’adozione del relativo Piano: nelle provincie di Roma e Frosinone, ad esempio, 100 Comuni sugli allora 193 manifestavano la non intenzione di elaborare il Piano (Samonà, 1967: 221).

L’art. 10 della legge urbanistica è quello che costituisce il paradigma legale nel quale s’ascrive la Delibera dell’Assemblea Capitolina dell’11 dicembre scorso. È in questa seconda normativa e proprio nell’art. 10, comma 1 lett. c) che oggi appare il riferimento alla “tutela del paesaggio e dei beni culturali e, letteralmente, “ambientali”.

 

  1. A Roma

La situazione della città che viene riferita dalle voci del passato non è poi così dissimile, quanto alle esigenze fondamentali, con quelle presenti ai nostri giorni. Il medico francese, cav. Louis de Jaucourt (Parigi, 16 settembre 1704 – Compiègne, 3 febbraio 1779) scrive della città di Roma nell’Encyclopédie e riferisce che: “I palazzi tanto vantati non sono tutti egualmente belli perché tenuti male; la maggior parte delle abitazioni private è miserabile. Il selciato è cattivo (…) le strade sudice e strette e non sono spazzate se non dalla pioggia, che vi cade molto di rado. La città, formicolante di chiese e di conventi, è quasi deserta ad oriente e a mezzogiorno. Si dia pure un cerchio di dodici miglia alle sue mura; questo cerchio è riempito da terre incolte, da campi, e da orti”, (riferimenti e descrizioni storiche in Caravaggi, 2013: 1. Cfr. poi Sica, 1978: 394-422; Rossi, 2000: 63-73; Archivio Capitolino, Fondo Rip. V).

Dunque, se ne deduce chiaramente che circa un secolo dopo il disegno del celebre illuminista l’esigenza di salubrità, proprio perché indicata nella legge nazionale del 1865, trovava ancora una ragione specifica anche fuori Roma. In ogni modo, nella città non più ‘dei’ Papi, all’ombra della legge 2359 del 1865, si postula un primo Piano Regolatore: i lavori preparatori iniziano nel 1871, dopo che il Consiglio del Comune ne approva lo schema: si tenta l’espansione verso est e, per volontà di Quintino Sella, la localizzazione dei Ministeri in via XX Settembre, atteso che Roma era divenuta capitale del Regno. Il Piano apparve legalmente con l’approvazione nel 1873: era sindaco Luigi Pinciani e lo aveva disegnato l’ing. Alessandro Viviani. La caratteristica operativa fu quella d’intervenire in modo ‘cruento’ sull’esistente per creare viabilità e spazi per le comunicazioni: ne seguirono diverse, importanti demolizioni, come quelle, ad esempio, funzionali alle vie note come Corso Vittorio, Via Tomacelli, via Arenula, via Cavour. Fra le demolizioni comparivano nel progetto anche quelle:

– della Stazione Termini, con annessa distruzione del secolare Palazzo Massimo allora ubicato nell’attuale piazza dei Cinquecento: infatti, l’attuale Palazzo Massimo, sede del Museo Nazionale Romano, è la riedificazione in area adiacente a Piazza della Repubblica avvenuta tra il 1883 e il 1887 dal padre gesuita Massimiliano Massimo, su progetto di Camillo Pistrucci, per ospitare la nuova sede del Collegio dei Gesuiti;[2]

– del Borgo antistante la Basilica di San Pietro; come è noto, l’intervento ebbe inizio circa sessant’anni dopo, nel 1936, durante il regime.

Il Piano del 1873 ebbe però vita breve, nonostante la prospettiva massima dei 25 anni di legge: il nuovo sindaco Pietro Venturi nel luglio del 1874 ne sospendeva l’efficacia; tutto restava in quel limbo e lì vi rimaneva fino a che, dal livello nazionale, il Presidente del Consiglio Agostino De Pretis presentava al Parlamento il disegno di legge nel quale si prevede un aiuto economico-finanziario per concorrere alle opere edilizie della capitale del Regno: a fronte dell’impegno della Città di approvare entro il 31.12.1881 un Piano Regolatore, lo Stato avrebbe versato come contribuzione 50 milioni di lire in vent’anni. Lo prevedeva la legge 14 maggio 1881, n. 209, che aveva materializzato il disegno di De Pretis. Il Piano Regolatore diveniva operativo con la Legge datata 8 marzo 1883. Tra gli interventi vennero individuati i lavori per il Palazzo di Giustizia a Prati, l’ospedale militare del Celio e il palazzo delle esposizioni in via Nazionale. Confermati gli interventi demolitori del Piano del 1873 (oltre alle vie suddette, compariva anche via Zanardelli). In questa furia soccombeva anche Villa Ludovisi, al Pincio, interamente distrutta per dar vita al quartiere Ludovisi (XVI Rione); la Villa seicentesca (1622), secondo molti aveva visto gli interventi del celebre architetto André Le Nôtre, amico di Luigi XIV di Francia e ideatore dei giardini di Versailles (fu chiamato anche in Italia da Emanuele Filiberto di Savoia per il rifacimento del parco del Castello di Racconigi). Oggi, di quell’opera d’arte non resta nemmeno la polvere, se non quella delle carte che ne raccontano, con disegni e parole, che essa ebbe vita per circa trecento anni. A differenza di Versailles, a demolire quella Villa non fu però la mano della Rivoluzione Francese, bensì le mani di un ingegnere, di un sindaco e di ingenui operai d’una innominata impresa chiamata a effettuare quei lavori di disfacimento, di certo durati molto meno dei lavori che costruirono l’edificio ch’era tra i più belli di Roma.

Il 10 febbraio del 1909, redatto dall’ing. Edmondo Sanjust di Teulada che lo presenta al Consiglio Comunale il 22 ottobre 1908, viene approvato il terzo Piano Regolatore di Roma (R.D. del 29 agosto), capace di richiamare l’esperienza europea, totalmente assente nei Piani precedenti. Le aree verdi per la prima volta vengono considerate e volute. Nel 1916 fu varata una revisione del Piano e nel 1925 la variante generale ne cambiò il volto.

In quell’anno, intanto, il neocostituito Governatorato, voluto dal regime per Roma, riapre la discussione urbanistica: nel 1930 una nuova Commissione discute per un quarto Piano Regolatore della Capitale (ne fanno parte, fra i tanti, Gustavo Giovannoni e Marcello Piacentini). Il Piano giunge all’approvazione nel 1931 e lo caratterizza il principio inverso a quello attuale, cioè la massima utilizzazione dei suoli, continuando la distruzione di immobili anche per dare spazio ai monumenti della romanità classica. Quasi come un’eccezione, motivata non tanto da sensibilità quanto dagli ideali del regime che rinviavano alla romanità classica, l’Appia Antica diviene “Grande Parco”, finché solo nel 1988 diviene Parco Regionale, in mezzo a tanti rischi di cementazione patiti dal secondo dopoguerra. Segue il Piano particolareggiato per Esposizione Universale Roma (EUR) i cui lavori iniziano nel 1937.

Nel periodo del cd. boom economico degli anni ’50 “si tentò di dare un ordine al pullulare delle diverse iniziative, – come scriveva già nel 1967 Giuseppe Samonà – agendo secondo i programmi settoriali, che non ebbero fra loro alcun coordinamento. (…) In molte città la regolamentazione fu data dai piani regolatori formati prima della guerra mondiale e ormai assolutamente incapaci di arginare e disciplinare con un minimo di coerenza tecnica, in relazione alle nuove esigenze pubbliche, la spinta gigantesca e dilagante delle grosse iniziative edilizie”, (Samonà, 1967: 254) Il 25 giugno del 1954 il Consiglio Comunale romano dà il via all’elaborazione di un nuovo Piano Regolatore: nomina una commissione redazionale e un Comitato tecnico di elaborazione (CET): tra le linee guida c’era l’idea di limitare l’espansione occidentale della capitale di intensificare quella verso est (Samonà, 1967: 263, 264). Ne derivò il Piano (il quinto) adottato dal Comune il 24 giugno 1959; l’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) sez. laziale, il 18 febbraio 1959 esprimeva perplessità in una dichiarazione: il Piano “pecca per quel che non contiene”. La debolezza di quel Piano spinse il Ministro dei trasporti Fiorentino Sullo a sospendere l’atto e a incaricare il commissario ad interim del comune, l’arch. Luigi Piccinato a formare un nuovo Piano.

Il sesto Piano Regolatore è del 1962, affidato ad Amerigo Petrucci, Pietro Samperi e Giuseppe Furitano. Le espansioni previste si spostano adesso verso il mare, anche con la costituzione di zone industriali a Fiumicino, e lungo la pianura Pontina. Per implementare l’espansione anche verso Nord e la Cassia, nel 1967 viene adottata una variante generale. Il carattere innovativo di questo Piano è comunque l’interesse ecologico e ambientale, attuato mediante i cd. ‘vuoti’ fra aree, e recupero dell’esistente, quanto a dire ‘rigenerazione urbana’.

Il Piano Regolatore (il settimo nella storia di Roma dopo l’Unità) esistente parte dal 2000 con la prima approvazione della Giunta Comunale, seguita nel marzo 2003 dall’adozione del PRG da parte del Consiglio Comunale (Delibera n. 33), poi, dopo le controdeduzioni del Consiglio Comunale del marzo 2006, approvato sempre dal Consiglio il 12 febbraio 2008. E qui s’innesta la Delibera n. 169 dell’11 dicembre 2024, con le sue misure di ulteriore rafforzamento del limite al consumo del suolo e alla rigenerazione urbana, che non esclude le iniziative cittadine come promotrici di spinte anche verso nuovi paradigmi legali.

 

  1. Conclusioni

Un fatto emerge dai secoli e ancora oggi può dire qualcosa: avviene a Pisa, il 3 luglio del 1178. È presentata al collegio di Pubblici Arbitri la controversia sorta per la realizzazione di un cavalcavia che il clero della Chiesa di S. Pietro in Vincoli aveva fatto costruire su una strada dietro all’immobile della Chiesa stessa (Wickham, 2000: 226-234). Un gruppo abitanti di quel rione aveva presentato opposizione, in qualità diremmo oggi di ‘controinteressati’, presentando ricorso proprio agli arbitri, invocando le competenze di quel collegio giudicante dal Constitutum usus 43; infatti, fra le materie elencate nel testo di legge compariva anche quella sull’ostruzione di strade. Formava il quadro legale di riferimento anche il Breve consultum del 1162, in cui era stabilito che i cavalcavia “dovessero essere rimossi se vi fosse stata l’opposizione della maggior parte degli abitanti della zona interessata”, (Wickham, 2000: 227). Considerato che il ponte si trova ancora lì dove era stato costruito quasi 850 anni fa è facile dedurre che la controversia fu vinta dalla Chiesa in forza di argomentazioni improntate sul diritto romano (Cortese, 2003: 329-331). Ai nostri fini appare singolare che la lex specialis allora vigente riconosceva il privilegio (ancora non sembra un diritto subiettivo) agli abitanti viciniori di presentare la correlata azione giudiziaria sulla cui base si sarebbe potuta fondare l’istanza di rimozione e restitutio in pristinum delle costruzioni (stradali e ad esse sovrastanti) incapaci di soddisfare quella soddisfatto. Frasi simili, s’è accennato poc’anzi, compaiono anche nelle NTA al PRG di Roma, quasi come un’eco assorbito in alcune previsioni sull’edilizia e sulla gestione del territorio urbano. Dai fatti medievali di Pisa a oggi, però, è mutata la ragione di un tale è variata riconoscimento sociale e delle relative istanze valoriali.

Siamo abituati ancora a considerare la legge da una visuale che ce la fa apparire spesso come il frutto d’un assolutismo giuridico sorto in epoca moderna (Grossi, 2003: 18). Invece, senza accorgerci del presente immersi come ne siamo, ci troviamo nel bel mezzo di una nuova epoca, da definirsi tutt’ora e che in genere è stata qualificata come post-modernità giuridica, iniziata a cavallo della I Guerra Mondiale. La società, anche attraverso le sue forme di aggregazione, custodisce il formarsi di valori, i quali attraverso l’uso e il tempo manifestano la loro natura valoriale. Ad essi si rivolge lo sguardo del diritto (civile e amministrativo) e le leggi cominciano a mostrare la propria debolezza nel tentativo di guardare a questo magma vitale dall’alto, rimanendone sconnesso. Nel Mondo giuridico s’affacciano perciò nuovi protagonismi: gli interpreti (giurisprudenza e scienza giuridica) passano dalla mera esegesi del testo legale, alla ‘scoperta’ di ciò che il diritto già possiede; la tecnica legislativa comincia a muoversi dai princìpii (Grossi, 2017) dai quali derivano le singole disposizioni, spettrografiche proiezioni di quei valori riletti nei fatti e attraverso i fatti, secondo categorie ordinanti, (ordinamento giuridico, appunto, visto per primo così da Santi Romano già nella Prolusione pisana del 1909) non dogmatiche (Grossi, 2017), alimentando così altre regole di valenza legale. È proprio nel risultato di questa dialettica, non più un’antitesi fra Stato e sudditi, che si possono individuare quelle aperture del diritto verso la società, l’ambiente, la cultura e il paesaggio che nella legge scritta (di qualunque fonte normativa, europea e nazionale) sono oggi necessariamente postulate, cominciando con la relativa legislazione per princìpi.

Così si può allora meglio riflettere sulle ragioni:

– sia della spinta verso l’altro che dalla seconda metà dell’ottocento le correnti avanzate dei  nuovi movimenti sociali cominciò a far presenti a uno Stato monoclasse (così lo definiva M.S. Giannini), centro unico e solo di legiferazione, il quale nell’ottica dei suoi dogmatismi giuridici aveva scalzato le organizzazioni volontaristiche e caritatevoli capaci a loro modo di provvedere alle necessità anche previdenziali e abitative del cd. quarto stato;

– sia al fatto di tentare con maggiore sensibilità rispetto al passato di raccogliere l’istanza valoriale della rigenerazione urbana integrata, felicemente armonizzante la tutela culturale e ambientale e capace di aprire a nuove forme di governo del territorio.

Così (‘da giù a su’) tra le ‘forme’ urbanistiche, rientrano anche le esigenze portate dalla collettività circa i limiti all’utilizzo del suolo, invertendo i vettori rispetto al passato.

Tutto questo rappresenta un valido motivo per un costante aggiornamento delle previsioni, legato alla post-modernità giuridica, la quale non è affatto un’idea platonica, lassù oltre le nuvole, più in alto degli dèi. L’istanza sociale a garanzia dell’ambiente s’è resa ormai storicamente conto che, se non interviene il diritto, qui sulla terra la natura rimane schiacciata dall’opera umana, in uno scontro al contrario rispetto a quanto nella Ginestra registravano gli alti versi leopardiani quando vedevano il risultato essiccante esercitato dalla natura sulla città romana di Pompei.

 Riferimenti bibliografici

– Archivio Capitolino, Fondo Ripartizione V Lavori Pubblici, Piano Regolatore.

– Benevolo L. (1972), Le origini dell’urbanistica moderna, Laterza, Bari.

– Caravaggi L. (2013), Corso di Analisi della città e del Territorio, Prima Facoltà di Architettura, Univ. Sapienza di Roma, in https://www.carteinregola.it/

– Chiti E. (2017), La rigenerazione di spazi e di beni pubblici: una nuova funzione amministrativa?, in Di Lascio, F., Giglioni, F. (a cura di), La rigenerazione di beni e spazi urbani. Contributo al diritto delle città, Il Mulino, Bologna, pp. 18 e ss.

– Cortese E. (2003), Meccanismi logici dei giuristi medievali e creazione del Diritto comune, in Il diritto fra scoperta e creazione. Giudici e giuristi nella storia della giustizia medievale, Jovene, Napoli.

– Di Giovanni L. (2023), Rigenerazione integrata europea e rigenerazione urbana nazionale: due modi diversi di intendere la trasformazione del territorio, in “DPCE online”, saggi, n. 1, pp. 81-104.

– Dipace R. (2017), Le politiche di rigenerazione dei territori tra interventi legislativi e pratiche locali, in “Istituzioni del Federalismo”, n. 3, pp.625 e ss.

– Favaro T. (2020), Verso la smart city: sviluppo economico e rigenerazione urbana, in “Rivista Giuridica di Urbanistica. Diritto e Territorio”, n. 2, pp. 87 ss.

– Grossi P. (2003), Prima lezione di diritto, Laterza, Bari-Roma.

– Grossi P. (2017), L’invenzione del diritto, Laterza, Bari-Roma.

– Mari C. (2021), Rigenerazione urbana e città informale nel contesto europeo: profili evolutivi, vantaggi e criticità, in “Federalismi.it”, n. 27.

– Primerano G.A. (2022), Il consumo di suolo e la rigenerazione urbana. La salvaguardia di una matrice ambientale mediante uno strumento di sviluppo sostenibile, Editoriale Scientifica, Napoli.

– Rossi P.O. (2000), Roma. Guida all’architettura moderna 1909-2000, Laterza, Bari.

– Samonà G. (1967), L’urbanistica e l’avvenire della città, Laterza, Bari.

– Sica P. (1978), Storia dell’urbanistica. Il Novecento, Laterza, Bari.

– Spasiano M. R. (2022), Riflessioni in tema di rigenerazione urbana, in “Rivista Giuridica di Urbanistica. Diritto e Territorio”, n. 2, pp. 394 e ss.

– Venuti Campos G. (1978), Urbanistica e austerità, Feltrinelli, Milano.

– Wickham C. (2000), Legge, pratiche e conflitti. Tribunali e risoluzione delle dispute nella Toscana del XII secolo, testo italiano a cura di Bonaccorsi, I., Sennis, A.C., Viella, Roma.

 

[1] Sulla fondamentale materia dei limiti al consumo del suolo, oltre alla Legge 6 agosto 1967, n. 765 dal cui art. 17 discende il Decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti), sono da richiamare due più recenti interventi:

  1. il Decreto del Ministero della Transizione Ecologica 23 giugno 2022, Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di progettazione di interventi edilizi, per l’affidamento dei lavori per interventi edilizi e per l’affidamento congiunto di progettazione e lavori per interventi edilizi;
  2. il Decreto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica 2 gennaio 2025, n. 2, Criteri di riparto del Fondo per il contrasto al consumo di suolo (atto pubblicato sul sito web del Ministero il 5 marzo 2025), dopo che l’art. 1, comma 696, della citata legge 29 dicembre 2022, n.197 (“legge di bilancio per il 2023”), aveva disposto che con decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dell’economia e delle finanze, venissero definiti i criteri per il riparto del Fondo per il contrasto del consumo di suolo, a favore delle Regioni, le modalità di monitoraggio attraverso i sistemi informativi del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e quelli a essi collegati e le modalità di revoca delle risorse.

 

[2]  Mi permetto di rinviare a L’istituto Massimo di Roma attraverso il suo fondatore, P. Massimiliano (1849-1911). Una biografia parallela tra cultura e spiritualità, in Letteratura e Pensiero, luglio-settembre 2023, n. 17, pp. 244-265.

 

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