FOCUSGiuliana Merola

Restituire alla società i beni confiscati alla mafia

di Giuliana Merola

1- Premessa: l’aggressione ai patrimoni illeciti e le misure di prevenzione patrimoniali nella disciplina vigente

Appare necessaria una breve premessa sull’importanza delle misure di prevenzione, oltre che personali, patrimoniali, introdotte con la legge 13 settembre 1982, n. 646 (cd- “legge Rognoni-La Torre”), approvata in tempi rapidi dopo gli omicidi di Pio La Torre, il 30 aprile 1982 e del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il 3 settembre 1982.

Di tutta evidenza la portata di tale legge, con l’introduzione nel codice penale del delitto ex articolo 416 bis c.p., in quanto colpire, con il sequestro e la confisca dei beni, la forza economica delle cosche, privandole di ricchezze accumulate illegalmente, significa mettere in discussione il prestigio personale del mafioso, indebolirne la capacità di intimidazione, minare il consenso “sociale” fondato sulla distribuzione dei posti di lavoro e riaffermare la legalità e la presenza dello Stato. La confisca delle aziende, in particolare, rimuove una causa di concorrenza sleale; fa emergere il lavoro nero e le buste paga “fittizie”, intestate a familiari che non svolgono alcuna attività ma si precostituiscono un reddito lecito; evidenzia le false fatturazioni; impedisce il riciclaggio di denaro illecito; assicura la sicurezza dei luoghi di lavoro.

Nell’ordinamento giuridico italiano l’azione di contrasto patrimoniale alla criminalità organizzata si svolge essenzialmente in due fasi. La prima è quella relativa all’aggressione dei patrimoni e attiene alle indagini per l’individuazione, il sequestro e la confisca delle ricchezze delle mafie. La seconda attiene alla destinazione dei beni e dei patrimoni delle organizzazioni criminali restituiti alla collettività attraverso il loro riutilizzo sociale, produttivo e pubblico.

Le misure di prevenzione sono state considerate dal legislatore come una forma particolarmente efficace di tutela delle esigenze di sicurezza pubblica in quanto si applicano ai soggetti, ritenuti socialmente pericolosi, indiziati di appartenenza ad associazioni criminali, anche finalizzate alla commissione di reati contro la pubblica amministrazione ed agli altri soggetti indicati nell’articolo 4 del codice antimafia (D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, come novellato dalla legge 17 ottobre 2017, n. 161).

Si procede al sequestro dei beni di cui dispone la persona, direttamente o indirettamente, quando, all’esito di accurate indagini, vi sia sproporzione del valore del bene da confiscare rispetto alle condizioni economiche e patrimoniali (sulla base del reddito dichiarato) del proposto che non sia in grado di giustificarne la legittima provenienza ovvero costituisca il frutto dell’attività illecita o il reimpiego dei suoi proventi. Presupposto giustificativo della confisca e del sequestro è “la ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecita”, come affermato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione[1] che ha altresì ritenuto necessario il requisito della cd. “correlazione temporale”, circoscrivendo i beni confiscabili “limitandoli a quelli acquisiti in un arco temporale ragionevolmente circoscritto a quello in cui il soggetto risulta essere stato impegnato in attività criminose”.

L’aggressione patrimoniale dei beni deve essere seguita dalla restituzione degli stessi alla collettività.  Nel 1995, in considerazione delle difficoltà nella destinazione dei beni, spesso non utilizzati, devastati dai proposti o rimasti nella loro disponibilità,  delle caratteristiche della c.d.“impresa mafiosa” e della necessità di superare la crisi del “costo della legalità”, la  Associazione LIBERA, presieduta da don Luigi Ciotti, presentava una petizione popolare, firmata da un milione di cittadini, che si apriva con le seguenti parole: “Vogliamo che lo Stato sequestri e confischi tutti i beni di provenienza illecita, da quelli dei mafiosi a quelli dei corrotti. Vogliamo che i beni confiscati siano rapidamente conferiti, attraverso lo Stato ed i Comuni, alla collettività per creare lavoro, scuole, servizi, sicurezza e lotta ai disagi”.  Con l’approvazione della legge 7 marzo 1996 n. 109, si è avuta una normativa fondamentale, consentendo l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie, legge unica nel suo genere nel panorama internazionale[2].

La previsione del riutilizzo sociale dei beni confiscati ha, infatti, rappresentato l’inizio di una nuova fase in cui la collettività e gli enti locali possono, riutilizzando i beni, affermare la legalità e la presenza dello Stato sul territorio.

Le misure di prevenzione patrimoniali sono sempre state ritenute uno strumento fondamentale nel contrasto alla criminalità organizzata: la perdita dei beni colpisce e neutralizza la caratura criminale del proposto molto più di una condanna penale o della custodia cautelare in carcere, per la conseguente perdita di prestigio sociale e di potere di fronte agli associati, riacutizzata dalla destinazione dei beni alla collettività.

Lawful Interception per gli Operatori di Tlc

L’azione di contrasto alla criminalità organizzata e, in particolare, l’aggressione ai patrimoni dei mafiosi, è stata sempre all’attenzione delle Commissioni antimafia istituite nelle diverse legislature, da ultime la XVII e la XVIII, per fornire un contributo per una miglior efficienza del sistema ed evitare che, stante il profilo imprenditoriale assunto, i collegamenti con la cosiddetta “zona grigia” e le collusioni con il mondo della politica, la criminalità organizzata, sia essa mafiosa o economica, possa controllare i territori, riciclare proventi illegali, garantirsi impunità, costruire consenso e legittimità sociale.

Dopo la legge “Rognoni-La Torre”, ulteriore intervento di rilievo, per armonizzare la normativa e le disposizioni in tema di gestione e destinazione dei beni, è stato il c.d. codice antimafia (D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159), profondamente riformato nel 2017 (L.18 aprile 2017, n.48).

Ulteriori interventi normativi(ben 12) si sono succeduti e sono intervenute la Corte Costituzionale, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione e la Corte europea dei diritti dell’uomo per riaffermare i principi di legalità e di determinatezza: le norme di legge devono essere chiare per consentire ad ogni cittadino un giudizio di prevedibilità e per conoscere le conseguenze della propria condotta; il procedimento di prevenzione si è ulteriormente giurisdizionalizzato, nel rispetto dei principi del giusto processo e della proporzionalità della misura rispetto ai legittimi obiettivi di prevenzione.

Le organizzazioni criminali, come attestato dalle indagini, dai procedimenti penali e dal numero degli enti locali sciolti ai sensi dell’art. 143 TUEL, sono non più infiltrate ma, oramai, stabilmente radicate in quasi tutte le Regioni italiane. Le “mafie” hanno manifestato una più raffinata e sommersa capacità di penetrazione e di contaminazione della vita politica ed economica, per non suscitare allarme sociale e per evitare le indagini delle Forze dell’ordine, soprattutto nelle Regioni caratterizzate da un solido tessuto economico e produttivo, così compromettendo i principi costituzionali a presidio degli organi elettivi e della libertà dell’iniziativa economica privata.

La gestione dei beni sequestrati e confiscati da parte della magistratura richiede una formazione multidisciplinare e, quindi, una preparazione civilistica, fallimentare, penale, amministrativa, al fine di gestire al meglio “per conto di chi spetta” i beni e per incrementare la redditività degli stessi, garantire continuità aziendale e tutelare i lavoratori, superando l’iniziale “costo di legalità”.

E’ necessario che lo Stato abbia un quadro completo ed esaustivo sui beni e sulle aziende sequestrate o confiscate in gestione all’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC); è purtroppo emerso, dalle inchieste svolte dalle Commissioni Parlamentari di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, costituite nella XVII e nella XVIII Legislatura, che la mappatura riguarda, in via prevalente, solo i beni sequestrati e confiscati nei procedimenti di prevenzione, mentre rimane ancora carente quella relativa ai procedimenti penali.

2. L’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata

Senza ripercorrere i plurimi interventi legislativi per assicurare una corretta gestione ed una rapida emissione del decreto di destinazione dei beni (provvedimento dapprima attribuito al Ministero delle finanze, poi all’Agenzia del Demanio, successivamente, con L. 15 luglio 2009, n. 94, ai prefetti), con decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4 (convertito, con modifiche nella legge 31 marzo 2010, n. 50), veniva istituita l’“Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”(ANBSC) per fronteggiare “l’eccezionale incremento delle procedure penali e di prevenzione (…), aggravate dall’eccezionale numero di beni già confiscati e non ancora destinati a finalità istituzionali e di utilità sociale”

L’Agenzia, dotata di autonomia organizzativa e contabile e personalità giuridica di diritto pubblico, è stata posta sotto la vigilanza del Ministro dell’interno ed è controllata dalla Corte dei Conti. Gli organi principali dell’agenzia, inizialmente, erano il direttore, scelto tra i prefetti, il consiglio direttivo ed il collegio dei revisori. In una prima fase, la sede principale dell’Agenzia era stata fissata a Reggio Calabria.

Il D.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, in vigore dal 13 ottobre 2011, “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010 n. 136”ha previsto che l’Agenzia coadiuvasse l’autorità giudiziaria nell’amministrazione e custodia dei beni sequestrati nei procedimenti penali, fino alla conclusione dell’udienza preliminare e, nei procedimenti di prevenzione,  fino al decreto di confisca emesso in primo grado.

Va precisato che l’Agenzia ha amministrato inizialmente solo i beni confiscati in via definitiva, provvedendo alla loro destinazione ed ha assunto l’amministrazione dei beni durante il procedimento, penale e/o di prevenzione, dal 15 marzo 2012[3], a far data dall’entrata in vigore dell’ultimo dei regolamenti organizzativi, come previsto dal codice antimafia.

Con la legge 17 ottobre 2017, n. 161, sono state modificate le competenze gestorie dell’ ANBSC che, attualmente, subentra nell’amministrazione dei beni solo dopo la confisca di secondo grado (la c.d. “doppia conforme”), per la rilevata impossibilità di gestire l’enorme quantità di beni dopo il decreto di confisca o l’udienza preliminare.

Si prevede che l’Agenzia partecipi alla udienza fissata per l’approvazione del programma di prosecuzione o di ripresa della azienda e svolga attività di ausilio all’autorità giudiziaria dopo la fase del sequestro per rendere possibile, sin da tale fase, l’assegnazione provvisoria dei beni immobili e delle aziende per fini istituzionali o sociali agli enti, associazioni e alle cooperative indicate nel codice antimafia.

L’Agenzia è rimasta sotto la vigilanza del Ministero dell’interno, con sede principale in Roma; sono state nuovamente istituite quattro sedi secondarie[4]; il direttore non viene più scelto solo tra i prefetti ma tra più figure professionali con esperienza professionale specifica nella gestione dei beni e delle aziende[5]; è stato introdotto, quale nuovo organo, il Comitato consultivo di indirizzo[6].

La dotazione organica dell’Agenzia, disciplinata dall’art. 113-bis del codice antimafia, inizialmente composta da 30 unità, con DPR 9 agosto 2018, n. 118 è stata potenziata e determinata in 200 unità, tra personale dirigenziale e non dirigenziale, attraverso la mobilità di personale competente ed il reclutamento di 70 unità tramite concorso pubblico; è stata inoltre prevista una struttura organizzativa articolata in quattro direzione generali (affari generali e personale; beni immobili sequestrati e confiscati; aziende e beni aziendali sequestrati e confiscati; gestioni economiche, finanziarie e patrimoniali).

Da ultimo, con il decreto-legge  22 giugno 2023, n. 75, convertito, con modificazioni, nella L. 10 agosto 2023, n. 112, l’organico è stato aumentato a 300 unità ricorrendo, ancora una volta,  a posizioni di distacco, comando o fuori ruolo, come tali temporanee, a fronte di una attività di gestione che richiederebbe competenze interdisciplinari, una formazione professionale specifica ed una permanenza duratura nelle funzioni per evitare disfunzionali discontinuità.

La materia dei sequestri e delle confische è in continuo divenire e le relative norme si sono, a volte, sovrapposte in modo non sempre omogeneo e prive di un razionale disegno riformatore. In particolare la destinazione, anziché essere velocizzata è, in realtà, sospesa sino al termine dell’accertamento dei diritti dei terzi e del pagamento dei creditori in buona fede ammessi al passivo, con onere, per l’Agenzia, di procedere alla liquidazione dei beni definitivamente confiscati.

Inoltre, i beni assegnati spesso non sono effettivamente utilizzati o perché materialmente non consegnati o per problematiche rilevate nella fase giudiziaria (errori su indicazioni catastali e/o tradiva trascrizione dei decreti di confisca, immobili occupati a vario titolo, coesistenza di sequestro penale, possesso per quote indivise del bene).

Alla data del 31 marzo 2022 l’Agenzia aveva in gestione 18.518 immobili; 2.929 aziende, di cui 1149 inattive fin dalla data del sequestro e da liquidare. Dal sito dell’ANBSC non si riesce, agevolmente, ad estrapolare dati nazionali, apparendo necessario sommare i dati per ciascun comune e/o regione.

Sinteticamente, queste sono le attuali competenze ed il ruolo che l’Agenzia dovrebbe svolgere. Va precisato che, recentemente, l’Agenzia ha approvato un nuovo regolamento organizzativo; istituito il Tavolo nazionale di indirizzo e verifica per la valorizzazione dei beni sequestrati attraverso le politiche di coesione per la formulazione di un “Piano per la valorizzazione di beni confiscati esemplari”; ha sottoscritto protocolli di intesa con la Direzione Nazionale Antimafia e antiterrorismo per le verifiche sugli acquirenti in caso di vendita dei beni, con le Università per la formazione professionale degli amministratori giudiziari, con l’Agenzia delle Entrate; ha iniziato una ricognizione sui beni per verificare l’effettivo utilizzo a fini sociali ed ha emanato un bando per l’assegnazione diretta agli enti del terzo settore di una serie di immobili confiscati in via definitiva.

3  La gestione e la destinazione degli immobili, delle aziende, delle somme di denaro e dei beni mobili registrati

Al riguardo può essere opportuno un richiamo, seppur sintetico, alla normativa vigente in tema di gestione dei beni,

Il giudice delegato, che rimane tale – dopo la riforma del 2017 – sino alla “doppia conforme”, gestisce i beni, coordina, controlla e verifica l’attività dell’Amministratore giudiziario il quale, nei casi più complessi, potrà essere autorizzato a farsi coadiuvare da tecnici o altri soggetti qualificati o ad organizzare un proprio ufficio di coadiuzione.

È evidente che le scelte di gestione adottate dal giudice delegato e dall’amministratore giudiziario nella fase iniziale (anche con l’ausilio dell’Agenzia) incidano e possano segnare l’utilizzo e la futura destinazione del bene.

Quanto alle aziende sequestrate, il Tribunale esamina la relazione dell’amministratore giudiziario in camera di consiglio, con la partecipazione del pubblico ministero, dei difensori delle parti, dell’Agenzia e dell’amministratore giudiziario che vengono sentiti se compaiono. E, ove rilevi concrete prospettive di prosecuzione o di ripresa dell’attività dell’impresa, approva il programma con decreto motivato e impartisce le direttive per la gestione dell’impresa.

Il programma e le direttive impartite determineranno l’attività gestionale, così vincolando l’Agenzia che, ove si arrivi alla confisca di secondo grado, troverà un binario già tracciato, avendo avuto, per di più, la possibilità di interloquire in udienza.

 La destinazione dei beni immobili e dei beni aziendali è effettuata con delibera del Consiglio Direttivo dell’Agenzia nazionale. Il provvedimento deve essere adottato entro 90 giorni dal ricevimento della comunicazione della definitività della confisca, prorogabile di ulteriori 90 giorni in caso di operazioni particolarmente complesse.

L’articolo 48, come modificato dalla legge 161/2017 e dal “decreto sicurezza” (decreto-legge 4.10.2018 n. 113 conv. con mod. nella legge 1° dicembre 2018, n.132) disciplina in modo analitico la destinazione dei beni definitivamente confiscati, individuando quattro categorie:

  • Somme di denaro sequestrate o confiscate nei procedimenti penali, di prevenzione, amministrativi, ricavate dalla vendita dei beni mobili o dal recupero dei crediti personali (ad esclusione delle somme e dei proventi dei beni aziendali confiscati) che vanno versate al fondo unico giustizia (F.U.G.), costituito nel 2008[7], gestito da Equitalia Giustizia SpA. Le risorse del F.U.G., vengono, una volta definitivamente confiscate, riassegnate con quote pari al 49% al Ministero dell’Interno, al 49% al Ministero della giustizia e al 2% al bilancio dello Stato. Entro il 30 aprile di ogni anno Equitalia versa allo Stato l’utile della gestione finanziaria delle risorse liquide del F.U.G. ottenute nell’anno precedente. La remunerazione massima di Equitalia, spettante a titolo di aggio, è determinata nel 5% dell’utile annuo della gestione finanziaria del Fondo, al netto delle spese di gestione.

Al 30 giugno 2023 la giacenza complessiva del F.U.G. era di circa 2,8 miliardi di euro di risorse liquide, al netto delle anticipazioni delle risorse sequestrate e di circa 2 4 miliardi di euro di risorse non liquide (quali conti di deposito titoli, polizze assicurative, gestioni patrimoniali, gestione collettiva del risparmio), gestite in base alle norme di legge che si sono succedute negli anni, per una cifra complessiva di 5.286.365,927 euro.

  • Beni immobili che, sinteticamente, rinviandosi alla lettura della norma soprariportata, possono essere:
  • mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico o di protezione civile istituzionali o, mantenuti al patrimonio dello Stato, utilizzati dall’Agenzia per finalità economiche;
  • trasferiti per finalità istituzionali o sociali, ovvero economiche, con vincolo di reimpiego dei proventi per finalità sociali, in via prioritaria al patrimonio indisponibile del comune ove l’immobile è sito o al patrimonio della provincia, della città metropolitana o della regione; gli enti territoriali, anche consorziandosi o attraverso associazioni, possono amministrare direttamente il bene ovvero, sulla base di apposita convenzione, assegnarlo in concessione, a titolo gratuito, ad enti, alle associazioni indicate nella norma, a cooperative sociali, a comunità terapeutiche, ad associazioni di protezione ambientale, ad operatori dell’agricoltura sociale. I beni non assegnati a seguito di procedure di evidenza pubblica possono essere utilizzati dagli enti territoriali per finalità di lucro e i relativi proventi devono essere reimpiegati esclusivamente per finalità sociali; nell’ambito delle finalità istituzionali gli immobili possono essere altresì utilizzati dagli enti locali per incrementare l’offerta di alloggi da cedere in locazione a soggetti in particolare condizione di disagio economico e sociale;
  • essere assegnati gratuitamente direttamente dall’Agenzia, agli enti e alle associazioni previste dalla lettera c) dell’articolo 48 del codice antimafia, ove risulti evidente la loro destinazione sociale;
  • trasferiti prioritariamente al patrimonio indisponibile del comune o della regione ove l’immobile è sito se confiscati per il delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, qualora vengano richiesti dall’ente locale o dalla regione per la loro destinazione a centri di cura o recupero per tossicodipendenti o a centri e case di lavoro per i riabilitati;
  • ove non sia possibile effettuare la destinazione o il trasferimento per le finalità di pubblico interesse possono essere destinati alla vendita con provvedimento dell’Agenzia al miglior offerente, quindi anche ad un soggetto privato, e si prevedono una serie di preclusioni e controlli per evitare che, anche tramite interposta persona, i beni immobili ritornino alla criminalità o vengano acquistati con proventi di natura illecita.[8]
  • Beni aziendali che sono mantenuti al patrimonio dello Stato e destinati:

 

  • all’affitto, a titolo oneroso quando vi siano prospettive di continuazione o di ripresa dell’attività produttiva ad imprese pubbliche o private ovvero in comodato, senza oneri a carico dello Stato, a cooperative di lavoratori dipendenti dell’impresa confiscata;
  • alla vendita a soggetti che ne abbiano fatto richiesta con le modalità indicate qualora vi sia una maggiore utilità per l’interesse pubblico o sia finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso;
  • alla liquidazione se più corrispondente all’interesse pubblico o se la liquidazione sia finalizzata al risarcimento delle vittime di reati di tipo mafioso.

I beni aziendali, limitatamente agli immobili facenti capo a società immobiliari, possano essere trasferiti, per finalità istituzionali o sociali in via prioritaria al patrimonio del comune o della provincia o della regione, qualora tale destinazione non pregiudichi la prosecuzione dell’attività di impresa o i diritti dei creditori dell’impresa stessa. Le aziende sono mantenute al patrimonio dello Stato e destinate al trasferimento per finalità istituzionali agli enti o alle associazioni individuati, quali assegnatari in concessione, dal codice antimafia qualora si ravvisi un prevalente interesse pubblico, anche con riferimento all’opportunità della prosecuzione dell’attività. I proventi derivanti dall’affitto, dalla vendita o dalla liquidazione dei beni aziendali affluiscono, al netto delle spese sostenute, al F.U.G..

Per i beni immobili già facenti parte del patrimonio aziendale di società le cui partecipazioni sociali siano state confiscate in via totalitaria o tali da assicurare il controllo della società l’Agenzia può dichiarare la natura aziendale di tali immobili, ordinando al conservatore dei registri immobiliari la cancellazione delle trascrizioni al fine di assicurare l’intestazione del bene in capo alla società.

I trasferimenti e le cessioni previsti dall’articolo 48 del codice antimafia, disposti a titolo gratuito, sono esenti da qualsiasi imposta.

La norma regolamenta in modo analitico e minuzioso le forme e le modalità della destinazione dei beni e delle somme definitivamente confiscate. Oltre a quanto sopra detto va ricordata la possibilità per gli enti territoriali di richiedere gli immobili confiscati per avere alloggi da assegnare in locazione a soggetti in particolare condizione di disagio economico e sociale, così attuando ulteriormente la finalità istituzionale o sociale della destinazione.

Previsione di chiusura è data dal comma 15-quater dell’articolo 48 del codice antimafia che prevede che i beni immobili destinati alla vendita che rimangano invenduti, decorsi tre anni dall’avvio della relativa procedura, sono mantenuti al patrimonio dello Stato con provvedimento dell’Agenzia. La relativa gestione è affidata all’Agenzia del Demanio.

4) Beni mobili, anche iscritti in pubblici registri, possono essere utilizzati dall’Agenzia per attività istituzionali o destinati ad altri organi dello Stato, ad enti territoriali, ad associazioni di volontariato o al Corpo dei vigili del fuoco; se non destinati possono essere venduti, con divieto di ulteriore cessione per un anno, o distrutti.

4. La vendita dei beni al miglior offerente

La modifica del comma 5 dell’articolo 48 del codice antimafia operata dal citato decreto sicurezza, introducendo la vendita al migliore offerente, quindi anche ad un soggetto privato, ha suscitato perplessità e dubbi in dottrina e nei giuristi.

Va tuttavia sottolineato che, anche prima del decreto sicurezza, e sempre quale ipotesi residuale, nel codice antimafia era prevista la possibilità, da parte dell’Agenzia, di vendere i beni immobili non destinabili.

La destinazione a fini istituzionali o sociali dei beni definitivamente confiscati rimane prioritaria atteso che, solo se i beni immobili non sono in alcun modo destinabili, possono essere venduti, con tutte le precauzioni e le garanzie disciplinate dal comma 5 dell’articolo 48 del codice antimafia per evitare che rientrino nella disponibilità della criminalità organizzata; per tali immobili viene, inoltre, estesa la prelazione all’acquisto agli enti territoriali.

La vendita dei beni immobili appare quindi ipotesi del tutto marginale e relativa a pochissimi beni, potendosi pensare ad immobili in pessime condizioni o con criticità urbanistiche o a terreni sperduti o poco utilizzabili.

Si prevede un complesso ed articolato procedimento.

Vi sono una serie di preclusioni (esclusione del proposto, di chi risultava proprietario all’atto dell’adozione della misura penale o di prevenzione, di soggetti condannati, anche in primo grado, o sottoposti ad indagini connesse al reato di associazione mafiosa o a quello di cui all’articolo 416-bis.1 c.p., nonché dei relativi coniugi, parti dell’unione civile, parenti e affini entro il terzo grado e persone con essi conviventi) e controlli per evitare che, tramite prestanomi, i beni immobili ritornino alla criminalità o siano comprati con denaro di provenienza illecita; a tal fine è previsto il rilascio dell’informazione antimafia da acquisire a cura dell’ANBSC nei confronti dell’acquirente e dei soggetti ad esso riconducibili.

Inoltre viene analiticamente disciplinata la procedura per addivenire alla vendita per un corrispettivo non inferiore a quello determinato dalla stima formulata nella relazione dall’amministratore giudiziario; ove entro 90 giorni non vi siano proposte di acquisto, il prezzo minimo non potrà essere inferiore all’80% della stima; è altresì sancito il divieto di alienazione per 5 anni dalla data di trascrizione del contratto di vendita.

I proventi derivanti dalla vendita dei beni confiscati confluiscono al F.U.G.

Tuttavia potrebbe rimanere concreto il rischio della vendita a prestanomi dei soggetti cui il bene sia stato sequestrato, non apparendo sufficiente la certificazione antimafia, ritenendosi che sarebbe stato preferibile prevedere approfondite indagini patrimoniali sui potenziali acquirenti, anche per verificare la liceità della provvista utilizzata per l’acquisto.

Non risulterebbe, finora, essere stato venduto a privati alcun bene immobile confiscato.

5. Criticità e possibili soluzioni

Dalla “Relazione sull’analisi delle procedure di gestione dei beni sequestrati e confiscati”, approvata dalla Commissione parlamentare il 5 agosto 2021 (Doc. XXIII, n. 15), si evince, ai fini che qui rilevano,  che le maggiori criticità emerse con riguardo agli enti locali, prioritariamente destinatari dei beni confiscati, sono, tra le altre, la distanza temporale tra confisca definitiva e destinazione, le condizioni di vandalismo dei beni, le problematiche degli abusi edilizi, la carenza di personale, anche qualificato, che consenta di seguire i beni confiscati  a partire dalla manifestazione di interesse fino alla formulazione del regolamento comunale, i bandi chiusi senza richieste da parte delle associazioni e del terzo settore, la presenza di terreni agricoli, fabbricati rurali o unità immobiliari di scarso valore o in stato di degrado, la esistenza di zone vincolate o a rischio idrogeologico; la assenza di risorse economiche comunali in presenza di beni devastati o da ristrutturare; le difficoltà di accedere ai fondi europei, regionali, statali.

Sarebbe, quindi, opportuno prevedere un fondo di sostegno ai Comuni per la ristrutturazione degli immobili ovvero prevedere soluzioni di raccordo tra la disciplina che istituisce il FUG e destinare parte delle risorse che in esso confluiscono con la confisca alla criminalità organizzata per riqualificare beni ed aziende e consentire il riutilizzo dei beni destinati agli enti locali, spesso privi delle disponibilità finanziarie indispensabili alla realizzazione degli scopi sociali tipizzati nel codice antimafia, ovvero costituire un fondo di rotazione

Vi sono tuttora molteplici criticità e sarebbe opportuno, proprio per la stratificazione degli interventi normativi, recuperare una disciplina coerente. Si fa cenno solo ad alcune di esse, limitatamente ai fini che qui interessano:

a) non esiste una banca-dati unica sui beni confiscati; le banche-dati non sono interoperabili

Lo Stato non conosce il numero, la consistenza, il valore dei beni sequestrati e confiscati nei procedimenti penali ordinari. Nelle ultime relazioni semestrali del Ministero della Giustizia si afferma chiaramente che gli stessi non sono rilevati e che anche le informazioni sui procedimenti di prevenzione, a causa della migrazione dei dati non ancora completata tra SIPPI e SIT-MP, possono non essere del tutto attendibili. Inoltre, non sono noti i dati relativi ai provvedimenti non ablativi (amministrazione giudiziaria; controllo giudiziario; controllo giudiziario volontario);

Anche i dati sui sequestri di prevenzione non sono esaustivi per la non completa interoperabilità dei sistemi informativi, in particolare dei sistemi e dei registri informatici dei Tribunali (SIPPI/SIT-MP; SICP; SIES) con quello dell’Agenzia nazionale (REGIO/Copernico).

Peraltro, rilievi analoghi sono stati svolti dalla Corte dei Conti, nelle deliberazioni del 23 giugno 2016 (n. 5/2016/G), del 4 aprile 2018 (n. 7/2018/G) e del 2 maggio 2023 (n. 34/2023/G), essendo perdurante, seppur in fase di miglioramento, la anomalia nei flussi di comunicazione tra uffici giudiziari e Agenzia, compresa la mancanza di implementazione dei sistemi informativi e di adeguata interoperabilità tra le diverse banche dati.

 Appare di tutta evidenza la necessità di implementare ed unificare le banche dati e procedere ad una reale ricognizione dei beni oggetto di sequestro e confisca penale.

b) l’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati (ANBSC) non ha ancora, a distanza di dieci anni dalla sua costituzione, un organico effettivo, con conseguenti ricadute sull’operato dell’Agenzia

Si è già detto come, con legge del 2023, l’organico dell’Agenzia è stato aumentato a 300 unità ricorrendo, ancora una volta, a posizioni di distacco, comando o fuori ruolo, come tali temporanee, così vanificando le competenze interdisciplinari acquisite.

L’ ANBSC non riesce a presenziare alle udienze di verifica dei crediti o a quelle che si svolgono per valutare il programma di prosecuzione dell’attività di una azienda in sequestro; non ha ancora emanato le delibere previste dal codice antimafia; non nomina tempestivamente i coadiutori per gestire i beni e le aziende, con conseguente ritardi nei termini di fissazione delle udienze di verifica dei crediti; i Tribunali non possono nominare, quale amministratore giudiziario, un dipendente dell’Agenzia, neanche per le gestioni più semplici.

Inoltre l’Agenzia non risponde celermente alle istanze presentate dai coadiutori relative alla gestione delle aziende ed ha un forte arretrato, come sottolineato nell’ultima relazione della Corte dei Conti, nella corresponsione dei compensi ai coadiutori ed è in atto un contenzioso con diversi professionisti sul mancato versamento dei compensi o sulla quantificazione della retribuzione (applicazione del DPR 177/2015 per gli amministratori giudiziari, equo compenso introdotto dalla legge di bilancio del 2018, tariffe applicate dal Tribunale di Reggio Calabria ritenute non applicabili dalla Corte di Cassazione ma recepite dall’Agenzia nei disciplinari di incarico sottoscritti dai coadiutori, soglia massima dei compensi a carico della finanza pubblica). Su tale punto la Corte dei Conti ritiene auspicabile uno specifico intervento normativo.

Sarebbe opportuno, quantomeno, prevedere che il direttore dell’Agenzia rimanga in carica per un periodo sufficiente perché possa utilmente incidere sulle scelte operative e non, come verificatosi finora, un esiguo numero di anni, valutato che dalla istituzione dell’Agenzia si sono succeduti ben sette Direttori in dodici anni e stabilizzare ovvero sostituire il personale “distaccato” o in comando, per garantire una continuità di gestione ed una professionalità specifica

c) ben il 63% dei Comuni italiani con beni confiscati non hanno nemmeno le credenziali di accesso alla piattaforma OPEN Re.G.I.O. dell’Agenzia nazionale, unico strumento per verificare la presenza sul territorio di beni sequestrati o confiscati e per chiederne la assegnazione e quindi poi avviare percorsi di reale ed efficace riutilizzo di essi.

Andrebbe previsto l’obbligo, per l’Agenzia, di comunicare agli enti locali, ai quali in via prioritaria vanno trasferiti, la presenza di beni sui loro territori in modo da acquisire con tempestività le richieste di assegnazione. E’ altresì auspicabile che  l’Agenzia indichi le modalità operative per accedere ai finanziamenti, nazionali, regionali ed europei. Invero, gli enti locali, soprattutto quelli in fase di predissesto o di dissesto, non hanno disponibilità economiche per ristrutturare i beni a loro destinati e, spesso, non richiedono nè l’assegnazione provvisoria nè la destinazione dei beni.

 

6. Considerazioni conclusive

Sicuramente, con la creazione delle Direzioni Generali e l’autonomia data alle sedi secondarie, potranno ridursi i tempi di evasione delle richieste fatte dai coadiutori dell’Agenzia per far fronte a scelte di gestione e, ove la pianta organica venga completata, l’Agenzia potrà assicurare la sua presenza nelle udienze fissate per l’approvazione del programma di prosecuzione o di ripresa dell’azienda ed alle udienze di verifica dei crediti e gestire, dopo la c.d. “doppia conforme” i beni e le aziende confiscate.

L’Agenzia non ha ancora emanato la delibera prevista dall’articolo 41-bis comma 8 del codice antimafia per indicare i criteri per l’individuazione delle aziende sequestrate e confiscate di straordinario interesse socio-economico e per la definizione dei piani di valorizzazione, aziende la cui gestione è affidata dal codice antimafia da INVITALIA che, quindi, non ha, finora, svolto attività di gestione diretta di imprese confiscate di particolare interesse socio-economico.

Rimangono aperti i problemi relativi al ritardo nelle destinazioni dei beni, al mancato effettivo utilizzo dei beni da parte degli enti locali, alla non ancora raggiunta interrelazione o interconnessione tra la piattaforma telematica Regio (Open Re.G.I.O.; ora Copernico) ed i sistemi del Ministero della Giustizia (SIPPI, SIT.MP; SICP; SIES[9]) e della banca dati nazionale del sistema SIDDA-SIDNA.

La persistente mancata attivazione del sistema di gestione di flussi informativi tra ANBSC e autorità giudiziarie e ANBSC e  la nuova Banca Dati Centrale (BDC) , in modalità bidirezionale, il progressivo aumento del numero di decreti di destinazione emessi dall’Agenzia, le difficoltà di inserimento dei dati da parte degli uffici giudiziari hanno fatto sì che i due sistemi restituiscano dati disallineati con riferimento al numero dei beni destinati di talché non si è proceduto ad alcuna analisi statistica in merito a detti beni.

Vanno, quindi, adeguate le strutture telematiche ministeriali per supplire alle plurime carenze informatiche riscontrate negli applicativi e implementare il sistema per consentire sia il deposito telematico degli atti di gestione, sia la rappresentazione grafica dei beni ed il relativo valore.

E’, altresì, necessario implementare la Banca dati centrale, inserendo ed analizzando statisticamente pure i dati relativi ai sequestri ed alle confische penali.

Alla luce delle criticità rilevate anche dalla Corte dei Conti, emerge un quadro sconfortante atteso che, in estrema sintesi, può affermarsi che lo Stato, nel 2023, non conosca esattamente il numero e la tipologia dei beni sequestrati e confiscati nei procedimenti di prevenzione ed ignori quelli oggetto di provvedimenti ablativi nel processo penale, non oggetto di rilevazione.

Appare evidente che i dati, ove completi ed attendibili, siano fondamentali per valutare le dimensioni complessive del contrasto e dell’aggressione patrimoniale alla criminalità organizzata e per poter operare una compiuta realizzazione della legislazione vigente con una destinazione dei beni definitivamente confiscati a fini sociali, riaffermando la presenza dello Stato attraverso il loro riutilizzo.

L’Agenzia dovrebbe, attraverso i coadiutori nominati, se diversi dall’amministratore giudiziario individuato dal Tribunale, attuare, dopo essere subentrata nella gestione delle aziende, buone pratiche manageriali per individuare in tempi brevi sopravvenuti fattori critici e per realizzare, proseguendo l’attività dell’Amministratore giudiziario percorsi di sviluppo e prassi per il supporto delle imprese, preservando l’occupazione, in particolare:

  • presenza continua in azienda, conoscenza diretta di tutto il personale e delle attività, delle loro necessità e delle problematiche emergenti o in atto;
  • svolgimento di riunioni per analizzare lo stato di avanzamento delle attività e per mettere al corrente il personale della situazione in essere;
  • introduzione del business plan a fronte di ogni nuova iniziativa e del budget annuale;
  • formazione dei dipendenti.

Andrebbe valutata, anche per sostenere e finanziare gli enti locali, l’istituzione di un fondo rotativo, alimentato dal F.U.G., con una parte della quota delle risorse devolute allo Stato e di pertinenza del Ministero della Giustizia, trattandosi di somme sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata che dovrebbero a tal fine essere utilizzate, proprio per la natura della confisca anziché, come fatto finora, per i più svariati scopi, del tutto estranei ai beni confiscati (quali, esemplificativamente, il finanziamento della carta acquisti per l’acquisto di beni e servizi a favore dei cittadini che versino in condizioni di maggior disagio economico; il finanziamento per sostenere e diffondere sul territorio i progetti di assistenza alle vittime di violenza sessuale e di genere; il fondo per corrispondere assegni una tantum al personale delle forze di polizia, delle forze armate e del corpo nazionale dei vigili del fuoco nel triennio 2011-2013, verosimilmente per compensare la riduzione determinata dal “contributo di solidarietà”).

Il F.U.G potrebbe essere altresì utilizzato per soddisfare i creditori in buona fede, anziché vendere i beni immobili; per ristrutturare i beni immobili, spesso vandalizzati, al fine di garantirne la effettiva destinazione a fini sociali, per sostenere le aziende sequestrate e confiscate e far fronte al c.d. “costo di legalità”.

Inoltre dovrebbe porsi sempre a carico del F.U.G. la restituzione per equivalente dei beni immobili, ove venga revocata la confisca e non, come prevede ora l’articolo 46 del codice antimafia, a carico dell’ente locale.

Apparirebbe altresì opportuno stipulare con l’ANBSC un protocollo per vagliare insieme le destinazioni anticipate dei singoli beni, rendendo condivise le scelte anche con gli enti locali interessati e semplificando, così, la successiva fase della destinazione finale, anziché procedere con bandi diretti all’assegnazione dei beni direttamente al terzo settore.

Andrebbe altresì sottoscritto un protocollo nazionale con la Banca di Italia nel quale, sul modello di quelli effettuati da alcuni tribunali, venga assunto l’impegno a non revocare automaticamente le linee di credito non scadute per effetto del provvedimento di sequestro, a rinegoziare con l’amministratore giudiziario i rapporti bancari già in essere con le aziende, ad erogare nuovi finanziamenti finalizzati alla continuazione dell’attività di impresa, fatta salva la autonomia e la discrezionalità e la normale istruttoria tecnico legale mirante all’accertamento della sussistenza del merito creditizio.

Sarebbe auspicabile, come già detto, far conoscere agli enti locali, soprattutto ai piccoli comuni, la presenza di beni sequestrati o confiscati, la necessità di richiedere le credenziali per accedere al portale dell’ANBSC, introducendo, per via normativa, tale obbligo di comunicazione da parte dell’Agenzia agli enti locali.

Si ribadisce l’opportunità che il direttore dell’Agenzia, istituzione nata come cabina di regia per i beni sequestrati e confiscati, disponga di un congruo lasso temporale per progettare, programmare ed attuare un disegno strategico finalizzato all’abbattimento dell’arretrato sia nella destinazione dei beni, sia nella liquidazione, laddove necessario, delle aziende, alla formazione mirata del personale, alle doverose attività per il funzionamento della piattaforma telematica dell’Agenzia, anche alla luce delle notevoli risorse già stanziate, a cui i vari direttori succedutisi nel tempo – ben sette in undici anni – hanno teso con parziali aggiustamenti e modifiche (passando da Regio ad Open Re.G.I.O. a Copernico alle “vetrine”) senza interventi risolutivi del problema, ma, sembrerebbe, solo con interventi parcellizzati.

  pdf-icon

[1]C. Cass. sentenza 26 giugno 2014 – 2 febbraio 2015, n. 4880, Spinelli.

[2]Detta legge è stata recepita dalla direttiva 2014/42/UE del Parlamento europeo del Consiglio del 3 aprile 2014 che, pur ritenendo che la confisca debba essere collegata ad una condanna penale, ha previsto un obbligo procedurale a carico degli stati membri finalizzato a valutare l’adozione di misure per utilizzare i beni confiscati per scopi di interesse pubblico o sociale.

[3]In particolare, dalla conclusione dell’udienza preliminare e dall’emissione del decreto di confisca di primo grado.

[4]Nuovamente istituite per effetto dell’articolo 37 della Legge 1° dicembre 2018, n. 132 (sedi di Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria).

[5]Dirigenti dell’Agenzia del demanio e magistrati che abbiano conseguito almeno la quinta valutazione di professionalità o delle magistrature superiori.

[6]Vedi articolo 111 e ss. del codice antimafia.

[7] [7]Articolo 2 della legge 181/2008 e articolo 61, comma 23, della legge 133/2008

[8]Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, che ha inserito nell’articolo 48 del codice antimafia i commi 5, 10 e 10-bis..

[9] Sistema informativo delle prefetture e procure dell’Italia meridionale (SIPPI); Sistema informativo Telematico delle Misure di Prevenzione (SIT-MP); Sistema informativo della cognizione penale (SICP); Sistema integrato esecuzione sorveglianza (SIES).

Mostra di più

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio