Russia e Occidente: di nuovo la guerra fredda?

di Georg Meyr

 


Le relazioni fra la Russia e l’Europa – della quale gli Stati Uniti d’America sono diventati, nel corso del novecento, la proiezione esterna nel complesso dominante – sono state sempre alquanto difficili. Non può in tal senso ingannare l’ovvia considerazione che le due guerre mondiali abbiano visto la Russia schierata con la Gran Bretagna e la Francia, oltre agli stessi Stati Uniti, contro il comune nemico germanico.

Senza la minima pretesa di trattare qui con decente completezza tali relazioni, serve comunque ricordare  che nel diciannovesimo secolo la guerra di Crimea fu combattuta, da una coalizione europea, contro la Russia, per impedirne l’evidente proiezione verso il Mediterraneo. Il Congresso di Berlino fu organizzato da Bismarck, nel 1878, sempre per impedire ai russi di avere un porto nel Mediterraneo, questa volta in una Bulgaria esageratamente allargata nei suoi confini.  S. Pietroburgo era comunque contrapposta a Londra nel “Great Game” per l’Asia, a Vienna per il predominio nell’area dei Balcani. Con Berlino non apparivano vistose rivalità, ma bastò l’inettitudine (nutrita di arroganza) dei successori di Bismarck per generare divisione e sospetto, più che sufficienti a promuovere l’alleanza fra russi e francesi.

Lord Grey, protagonista della politica estera britannica agli inizi del novecento, soffrì non poco a entrare nella guerra del 1914 a fianco dei russi, tuttavia i rapporti di collaborazione con Parigi (alleata dei russi) si erano ormai spinti troppo in avanti e la inguardabile aggressione tedesca al Belgio non gli lasciò reale scelta.

La seconda guerra mondiale rappresenta un esempio “da manuale” di alleanza indesiderata ma inevitabile fra gli anglo-americani e l’Unione Sovietica. La scelta suicida di Hitler, intesa all’acquisizione delle risorse di Mosca mediante il tradimento del trattato di non-aggressione firmato nel 1939, oltre a creare una ferita fra Russia e Germania difficile da sanare – teniamolo sempre ben presente – proiettò necessariamente l’Urss nell’alleanza anti-tedesca, tra l’altro nel ruolo di principale artefice della resistenza al possente nemico. Ma la guerra vinta insieme non colmava certo le abissali distanze fra i modelli valoriali e di sviluppo propri della special relationship anglosassone e dello stalinismo.

La guerra fredda, che prese corpo nel fatidico 1947, con la Dottrina Truman e il Piano Marshall, è l’emblema stesso di tali consolidati difficili rapporti. Sebbene la coesistenza pacifica, successiva alla creazione dei blocchi con il Patto di Varsavia del 1955, abbia a momenti attenuato le tensioni, diffidenza e sospetti restavano in agguato.

Solo l’impotenza della fase finale sovietica, faticosamente gestita da Gorbaciov, e l’avvio altrettanto impotente della Russia post-sovietica di Eltsin, sembrarono garantire un dialogo più facile fra Mosca e l’Occidente. Ma l’episodio periodizzante dell’11 settembre 2001, che buttò per aria molti equilibri, il vertiginoso aumento delle entrate energetiche russe (me lo spiegava un grande conoscitore di tutto ciò, il compianto Demetrio Volcic), e l’affermazione di un uomo forte a Mosca (Putin), riportarono nel nostro millennio la Russia a un ruolo di contrapposizione competitiva con l’Occidente.

All’evidente difficoltà storica delle relazioni fra “noi” e la Russia si è andata facilmente collegando la difficoltà di relazioni fra quest’ultima e l’Ucraina. Anche in questo caso, va qui ricordata l’impossibilità di ricostruire con precisione, hic et nunc, tali complesse relazioni. Considerazioni di carattere etnico, culturale, religioso, possono indurre a ritenere che russi e ucraini non siano poi molto distanti – dando per scontata la geografia! La realtà degli ultimi cento anni lascia invece trapelare tensioni rilevanti fra Kiev e Mosca. L’entrata dell’Ucraina nell’orbita sovietica dopo la prima guerra mondiale, tutt’altro che scontata, comportò in breve un prezzo di sofferenza e sangue  indimenticabile, a carico di una società prevalentemente contadina, proprio nel momento del mostruoso sforzo staliniano per la collettivizzazione delle terre agricole. E sebbene Stalin fosse georgiano, la violenza del fenomeno era sicuramente percepita come comunista, ma anche russa. I cosacchi, che pure non erano certo solo ucraini, furono pesantemente perseguitati. Al momento dell’attacco tedesco, il 22 giugno 1941, è innegabile che alcune componenti della società ucraina abbiano visto l’invasione come una prospettiva di distacco da Mosca e dal socialismo reale. Non è forzato ritenere che l’accusa di “nazismo”, proprio di tipo hitleriano, che ora i russi muovono  all’Ucraina, affondi le radici in quel periodo. E le popolazioni delle zone occupate dall’operazione speciale, oggi intervistate alla televisione, dicono “neanche i tedeschi ci avevano trattato così”.

Negli anni dell’ascesa del mito sovietico, dopo la vittoria nella grande guerra patriottica, le tensioni fra Kiev e Mosca restarono sopite. Krusciov, ucraino, artefice della destalinizzazione sovietica, rese possibile l’annessione della Crimea alla sua repubblica d’origine, senza rendersi verosimilmente conto del peso intrinseco del gesto.

Con la fine dell’Unione Sovietica, nel 1991, il distacco delle repubbliche ex-sovietiche apparve indolore: con il senno di poi, questo era imputabile alla debolezza di Mosca, impossibilitata a opporsi a quella devastante perdita di potere. Kiev rinunciò al mantenimento della consistente aliquota di armi nucleari sovietiche stanziate sul suo territorio.

Ed eccoci alla già citata ripresa della potenza russa, sostenuta dalla congiuntura economica dei prodotti energetici. Nel 2014 Mosca ritenne di far valere, con la forza, i suoi storici diritti sulla Crimea; il separatismo filo-russo dell’area orientale dell’Ucraina (Donbass) fu sostenuto con sempre crescente vigore. Di fatto, l’aggressione dello scorso 24 febbraio è stata un episodio più vistoso di un conflitto già ampiamente in corso, che noi occidentali abbiamo perlopiù trascurato di prendere sul serio: in primis, perché la mancanza di piani energetici alternativi rendeva comodo       appoggiarsi sulle forniture russe, in fondo a buon prezzo, indispensabili per noi e per loro.

Se si considera “dimostrata” la difficoltà delle relazioni fra Mosca e l’Occidente e fra Mosca e Kiev, non è difficile capire come il delicato stato di conflittualità latente fra queste due capitali abbia preso un andamento disastroso, da quando l’Ucraina a guida Zelensky ha imboccato posizioni chiaramente filo-occidentali: ovvero, favorevoli all’Unione Europea e all’Alleanza Atlantica. Quest’ultima soprattutto, inutile fingere di non capirlo, nella sua dimensione politico-strategica rappresenta il nemico principale della Russia dopo il 1949 o, più correttamente, dopo l’ingresso della Repubblica Federale di Germania nell’Alleanza, nel 1955. I traditori del patto di non-aggressione Molotov-Ribbentrop venivano riarmati in funzione anti-sovietica, la risposta fu il Patto di Varsavia. La fine dell’Unione Sovietica nel 1991, con una evidente resa incondizionata del progetto globale di modernità in essa insito, ha se mai aggravato il rancore e il senso di frustrazione nei nostri confronti. La crisi economico-politica post-sovietica di fine novecento impose a Mosca di accettare l’allargamento atlantico a est, ma la ripresa delle capacità economiche nel nuovo millennio, essenzialmente legata al mercato dell’energia, ha di certo modificato le prospettive e innalzato nuovamente la conflittualità.

Con buona pace di chi ritenne, dopo il 1991, che i decenni della guerra fredda, della coesistenza pacifica e della cosiddetta “seconda guerra fredda” nell’era di Reagan fossero ormai del tutto superati, un nuovo scontro globale si è reso evidente. Sotto la guida di un uomo forte al Cremlino – modello che ha spesso caratterizzato la storia russa, in tutte le sue fasi, e che sembra per loro poco rinunciabile – Mosca sta di fatto riproponendo una sorta di nuova guerra fredda, della quale l’aggressione all’Ucraina sembra un chiarissimo segnale. Il pretesto, e nella storia ne abbiamo visti tanti, è quello di offrire protezione alle popolazioni filo-russe (in parte…) dell’oriente ucraino. Come fece la Germania nei confronti della Cecoslovacchia nel 1938, per proteggere i tedeschi dei Sudeti. Non va inoltre dimenticata la costante spinta verso i mari caldi propria dei dominanti in Russia, il Mediterraneo è da secoli al centro delle loro attenzioni e l’Ucraina si infrappone fisicamente sulla via di questa regione. In una visione più complessiva, sembra di assistere a una vistosa opposizione russa nei confronti del dominate “ordine atlantico” o, più semplicemente, “statunitense”.

Tale aspirazione a un nuovo ordine mondiale – concetto che mette i brividi, già contenuto nel Patto Tripartito fra Berlino, Roma e Tokyo nel 1940 – mette senza dubbio in discussione le presunte certezze sulla quali contavamo. Anzitutto, è tornata la guerra in Europa, tralasciando le ipocrite definizioni di copertura che spesso vengono attribuite a ciò che sta avvenendo in Ucraina. La abbiamo accolta con mesta incredulità. Inoltre riappare in pieno la minaccia nucleare, che in fondo ci aveva garantito, con il principio della deterrenza, decenni di coesistenza pacifica fra i blocchi, ma ora viene alla ribalta con leggerezza talora sconcertante. A renderla in qualche misura credibile, pur sperando nel buon senso finale dei decisori politici, è la stessa imbarazzante inefficienza dell’apparato militare convenzionale russo, incapace di risolvere uno scontro all’apparenza del tutto squilibrato a favore di Mosca.

Il risultato di una destabilizzazione politico-strategica su vasta scala appare conseguito, ma non proprio nel senso auspicato dalla Russia. L’Alleanza Atlantica si è arricchita di due paesi tradizionalmente neutrali, Finlandia e Svezia, troppo vicini all’area di crisi per mantenersi isolati. Essi avranno pure pochi abitanti  ma sono ben solidi come capacità tecnologica e militare. L’Unione Europea, magari con le sue ineludibili posizioni interne talora diversificate, sembra adattarsi a nuove modalità e regole per gli approvvigionamenti energetici, che restano il problema principale indotto dalla crisi. Forse ciò che più conta, per definire il progetto russo attualmente poco realistico, è la mancata realizzazione di un blocco anti-occidentale compatto, su scala mondiale. Escludendo Iran e Bielorussia, che per diversi motivi sostengono Mosca, le principali potenze, Cina e India su tutte, mantengono posizioni  di grande prudenza, sfavorevoli all’inasprimento dello scontro, comunque intese a perseguire l’antica politica del wait and see. 

Se dunque la Russia di Putin intende sovvertire un equilibrio mondiale ritenuto troppo incentrato sugli Stati Uniti, avviando una sorta di nuova fase della guerra fredda, essa dovrà probabilmente farlo da sola o con poco (e perlopiù prudente) sostegno esterno. La guerra fredda “originale” si fondava quanto meno sul prestigio intellettuale di uno scontro ideologico insanabile, fra due visioni contrapposte del divenire umano. Oggi si tratterebbe di un mero ritorno alla politica di potenza ottocentesca – che condusse alla prima guerra mondiale – resa enormemente più rischiosa dalla presenza delle armi di distruzione di massa. Anche senza evocare queste ultime, appare già inevitabile un grave danno per la politica e l’economia internazionali, legato all’isolamento, probabilmente di lungo periodo, di un grande paese quale la Russia rispetto a molti interlocutori.

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