La sicurezza in termini di sufficiente approvvigionamento alimentare si pone all’attenzione con la ricerca di strumenti di intervento pubblico, in grado di salvaguardare l’efficiente funzionamento delle filiere a presidio del Made in Italy. Le attività della criminalità si espandono specialmente nella zona d’ombra delle catene di fornitura dei mezzi tecnici, a partire dall’agricoltura con effetti anche di natura sociale e ambientale, mentre una risposta inadeguata, a livello statale, al fine di cogliere il fabbisogno di regole, accresce i rischi di vulnerabilità.
Nel nuovo contesto aperto dalla pandemia e aggravato dalla guerra occorre riconoscere che autosufficienza alimentare e sostenibilità energetica siano due componenti strutturali della sicurezza del Paese oltre il breve periodo. Dopo la messa a punto di standards igienico-sanitari che hanno risposto, a cavallo del secolo, ad una sequenza di crisi alimentari (dalla mucca pazza ai polli alla diossina, ecc.) rafforzando, attraverso la difesa della qualità, il patrimonio agroalimentare su scala internazionale, è la ricerca dell’autosufficienza alimentare a costituire il pressante obiettivo della transizione ecologica che ci viene dato a livello europeo (Green Deal).
Il problema della food security, che concerne lo sforzo di soddisfare le esigenze di accesso alimentare, affrontando i rischi di fluttuazione nelle produzioni e di volatilità dei prezzi, si impone all’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica, anche dei paesi ad economia avanzata, dopo aver adottato un’ampia ed efficace strumentazione per risolvere la food safety, che interessa i profili igienico-sanitari attraverso l’analisi e il controllo dei punti critici della filiera dal campo alla tavola.
Possiamo ripensare l’architettura dell’intervento pubblico, ma dobbiamo farlo rapidamente: per i prossimi sette anni della programmazione europea è prevista l’erogazione di 7 miliardi di euro nei diversi capitoli di politica agricola.
L’impegno sarà quello di rafforzare le filiere, attraverso una forte infrastruttura di rete e con l’ausilio di nuove tecnologie, legate specialmente alla genetica e all’economia circolare. L’esempio dello sviluppo di impianti di biogas e biometano resta emblematico non solo sul piano della produzione di energia, quanto per la sostituzione di fertilizzanti chimici e la riduzione di emissioni climalteranti. In questo quadro, occorre sorvegliare la destinazione di ingenti finanziamenti sul mercato globale verso produzioni di fabbrica (ad es. proteine sintetiche) che possano indebolire il settore agroalimentare sul piano del fatturato e dell’occupazione, così come l’acquisizione del controllo dei marchi del Made in Italy e dei brevetti di varietà vegetali, strumentali per conseguire lo sviluppo di produzioni mediterranee che ci consentano di presidiare molteplici aree di consumo.
Si deve, in sostanza, guardare alla geografia dell’approvvigionamento nazionale (ad es. si evidenzia la dipendenza strutturale per il frumento tenero, con un import del 65% del fabbisogno nazionale; per il frumento duro con un import del 45%), ridurne la vulnerabilità e costruire, insieme, una risposta funzionale al rischio dei cambiamenti climatici, per assicurare un accesso agli alimenti in quantità e qualità adeguata agli stili di consumo. Il problema è complesso perché occorre produrre di più, limitando l’impatto sull’ambiente, nella consapevolezza di un approccio unitario alla crisi. Il piano di azione europeo One health contro la resistenza antimicrobica può essere efficacemente preso ad esempio: dato che i batteri si diffondono dagli animali all’uomo, la sfida è quella di tenere insieme sanità pubblica e benessere animale, assistenza ospedaliera e presidio veterinario.
Solo un’economia più sostenibile si presenta più capace di futuro e l’Italia è in prima linea. Siamo il paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti.
In base al numero di brevetti depositati, basse emissioni e investimenti siamo al secondo posto nella capacità di esportare prodotti green. Contiamo il maggior numero di imprese di designer e, soprattutto, l’agricoltura italiana è leader per la sostenibilità, con una quantità di emissioni nettamente inferiore e il maggior numero di specialità Dop-Igp riconosciute.
Si è convinti, perciò, che il contrasto di frodi e contraffazioni di marchi e brevetti, dello sfruttamento lavorativo e del caporalato, dell’inquinamento e dei danni effettivi provocati ad ambiente e salute debba diventare una priorità.
Le attività della criminalità si espandono nelle zone d’ombra dell’economia, dove le singole imprese diventano obiettivo vulnerabile nella dinamica della concorrenza sleale e della turbativa di mercato. E dal momento che alcune prassi instaurate lungo la filiera agroalimentare risultano strumento distorto o malinteso di ricerca dell’efficienza, incidendo sulla struttura dei prezzi al consumo e sulla stessa qualità dell’habitat di vita della comunità, resta difficile separare il profilo dell’impresa operante in un contesto di base lecito da quello dell’impresa criminale.
L’incerta qualificazione del fenomeno spiega la ragione di debolezza del contrasto a condotte di reato plurisoggettive, imputabili ad apparati imprenditoriali dotati di know how relazionale e professionale, necessario per “mimetizzarsi” nell’economia legale.
Dal punto di vista operativo, molteplici riscontri investigativi hanno messo in evidenza tipiche modalità di ingresso nelle diverse fasi della produzione, del trasporto e della commercializzazione dei prodotti agricoli e alimentari. A ciò si aggiunge un consistente rischio che riguarda l’uso distorto del territorio, oltre che per l’illecito smaltimento di rifiuti, anche con riguardo all’installazione di impianti di energia rinnovabili, in ragione di consistenti agevolazioni, costringendo i proprietari alla cessione dei terreni a prezzi inferiori a quelli di mercato.
In generale, la globalizzazione impone logiche produttive decontestualizzate che “scollegano” filiere e territori, creando diseguaglianze. Il tema non solleva soltanto problemi di giustizia quanto di efficienza: una crescita economica senza regole, che non assicura equilibri sociali e ambientali, produce un effetto boomerang che blocca la crescita e causa instabilità e insicurezza. Un approfondimento specifico merita, al riguardo, il ruolo di internet nella distribuzione di prodotti agricoli e alimentari, data la crescente diffusione di acquisti on line da parte del pubblico dei consumatori. Tra le cause che incentivano l’uso del web per fini illeciti si fa riferimento a: la possibilità di rendere anonima o simulare la ragione sociale dell’impresa; l’ampia scelta di punti vendita on line; la facilità di elusione dei controlli rispetto a piccole spedizioni che interessano gli utenti finali. Mentre occorre considerare anche il ruolo svolto dagli operatori, che mettono a disposizione i server, in quanto deresponsabilizzati in ordine ai contenuti e all’utilizzo degli spazi virtuali ceduti.
L’esistenza di imprenditori che commettono reati nel settore agroalimentare e del territorio non costituisce, tuttavia, una novità né può costituire l’oggetto principale di una attività di ricostruzione del complessivo scenario, richiamando diversamente l’attenzione sugli alti costi economici e sociali che ne derivano in termini di sicurezza per il Paese.
Si è convinti del fatto che la criminalità abbia assunto una dimensione transnazionale, insofferente a qualsiasi vincolo o limite alla circolazione dei capitali, spesso impiegati in operazioni speculative o per sottrarsi all’imposizione fiscale. E ciò rivela l’incapacità dei tradizionali rimedi di promuovere meccanismi di controllo e contrasto alla deregolazione dell’economia. Facile è il riferimento alla Cina dove si coltiva uno degli ortaggi più consumati: il pomodoro. Una produzione destinata non al consumo interno, ma all’esportazione sotto forma di doppio o triplo concentrato.
Dopo opportuna rilavorazione, finisce nei barattoli che si vendono nei mercati africani o in sughi pronti prodotti da marchi italiani. Infatti, il principale importatore di questo prodotto è proprio il nostro Paese: in media negli ultimi anni continuano ad essere importati quasi 100 mila tonnellate di prodotto Made in China, con una grave compromissione se non della competitività della filiera quanto meno della sua reputazione.
Se, nell’Unione europea, il disegno di progressiva armonizzazione della disciplina di mercato è avanzato con molto realismo, risulta trascurata la riflessione sull’accennata difficoltà di coordinare l’ampiezza e l’articolazione degli scambi con la devianza provocata dalla concentrazione dei capitali e dalla convenienza degli investimenti, per mezzo della strumentazione messa a disposizione dal diritto di fonte statale. Esigenze, prospettive e linee di intervento riflettono, dunque, la necessità di rivedere la risposta ai diversi livelli di offensività ma, prima ancora, di rimediare a carenze conoscitive e di analisi, affrontando il problema degli approvvigionamenti, da un lato e dell’integrità del patrimonio agroalimentare e ambientale, dall’altro lato, tramite un approccio più scientifico.
Alcune recenti vicende possono essere spia dell’interesse strategico di salvaguardia del nostro Made in dall’incidenza di rischi di vulnerabilità.
Il caso glifosate è emblematico. Si tratta di una sostanza chimica con proprietà di erbicida ad ampio spettro di azione, definito totale perché non in grado di agire in maniera selettiva.
Brevettato nel 1974 da Monsanto e acquisito nel 2018 da Bayer, risulta l’erbicida più utilizzato a livello globale, con un volume di vendita superiore a 5 miliardi di euro. Anche in Italia sono consumate 5.866 tonnellate (70% del totale) sebbene il Ministero della Salute ne abbia vietato l’uso in pre-raccolta, a differenza di quanto avviene in Canada e in Usa, dove è impiegato per consentire al grano di maturare artificiosamente in supplenza delle naturali condizioni climatiche.
Ad oggi non c’è una reciprocità delle regole, dato che sono importate in Italia materie prime coltivate con tecniche oggetto di divieto nel nostro Paese, generando una manifesta distorsione di concorrenza.
Ciò accade anche per il glifosate, nonostante la letteratura scientifica sia concorde nel riconoscere effetti negativi sull’ambiente e sulla salute, fino ad attivare una serie numerosa di class action con richieste ingenti di risarcimento.
Tra i prodotti alternativi è conosciuto l’acido pelargonico: unica sostanza naturale con azione erbicida non selettiva. Il dossier per l’autorizzazione all’impiego in Europa è stato presentato da una società italiana, in esito ad un programma di sperimentazione in campo ed è frenato da una serie di ritardi e difficoltà sul piano amministrativo. Eppure, l’immissione sul mercato potrebbe aprire opportunità rilevanti in termini di espansione della chimica verde nazionale e offrire risposte adeguate in chiave di sicurezza e sostenibilità.
Del resto, la produzione di gran parte delle sostanze chimiche usate in agricoltura appartiene al portafoglio di poche grandi imprese multinazionali, attraverso importanti processi di acquisizione e fusione, fino ad intuire che queste operazioni abbiano accentuato la pressione unidirezionale esercitata sulle istituzioni dei vari paesi affinché la disciplina sanitaria e ambientale non interferisca con le politiche aziendali, disegnate sugli obiettivi di profitto crescente.
Un altro caso ancora può essere riguardato con preoccupante attenzione e investe il settore sementiero, alla base della sicurezza dell’approvvigionamento alimentare, incidendo anche sulla definizione dei prezzi. Al riguardo, la forte concentrazione dell’offerta nel segmento traccia un quadro non rassicurante: l’indice di concentrazione è al di sopra della soglia di allerta ed evidenzia problemi di assetti oligopolistici.
Le imprese multinazionali lavorano verticalmente anche nell’area dei mezzi tecnici e dell’innovazione varietale. L’Italia rappresenta, in questo quadro, uno snodo fondamentale in grado di costituire un bacino di riferimento importante nel Mediterraneo, anche a servizio dello sviluppo dei paesi del Nord Africa. Mentre, la valorizzazione e la tutela della biodiversità diffusa nel nostro Paese non possono non fare a meno di mettere a punto e tutelare idonei strumenti per la distintività dei prodotti, la cui qualità è legata alla circostanza di disporre proprio di marcatori delle diversità agro-ecologiche dei territori.
L’interesse avanzato da parte di una delle più importanti multinazionali della chimica nei confronti dell’acquisizione di una società italiana nel settore della produzione di semi di ortaggi, legumi ed erbe aromatiche e depositaria di una parte del patrimonio genetico nazionale e di biodiversità, rappresenta un vero e proprio attentato al sistema agroalimentare e alla capacità di mantenere gli attuali siti produttivi nazionali, i relativi livelli occupazionali nonché i diritti di proprietà industriale.
Di qui la vigilanza che deve essere assicurata perché, nell’ambito di eventuali accordi di finanziamento per l’esercizio, lo sviluppo e l’operatività di stabilimenti nazionali non vi siano clausole che, se attivate, possano determinare un trasferimento dell’azienda o la cessione o, ancora, il ridimensionamento della produzione e, in ogni caso, perché la legale rappresentanza di società operanti in Italia sia attribuita ad amministratori che abbiano cittadinanza italiana, siano muniti di idonea abilitazione di sicurezza personale e abbiano l’assenso amministrativo circa l’idoneità all’incarico. ©