Sicurezza nazionale: l’ingerenza mafiosa nella gestione dei bio-rischi

di Sacha Mauro De Giovanni, Mirco Granocchia

Il fenomeno mafioso rappresenta per la nostra Nazione una piaga che si riflette negativamente sulla società in termini di sicurezza, economia e cultura. La persistenza e la pervasività delle mafie sono state favorite negli anni dall’imprudente atteggiamento di sottovalutarne la potenza e dall’incauta iniziativa di rivolgersi a questi soggetti/strutture criminali, nel tentativo di trovare protezione, “giustizia” o di aggirare, con la connivenza dei funzionari collusi, la burocrazia statale. Da qui nasce l’esigenza di considerare il fenomeno mafioso ogni qual volta il decisore politico si trova a dover fronteggiare situazioni di emergenza, qual è stata quella post covid, ipotizzando un attacco biologico con conseguenze pari o peggiori di quelle provocate dal Coronavirus. In vista di tale obiettivo, ripercorrere in chiave strategica la crisi sanitaria ed economica provocata dalla SARS-Covid -2, anche alla luce delle evidenze investigative e di intelligence che hanno caratterizzato il periodo pandemico, appare indispensabile per valutare quanto l’ingerenza mafiosa indebolisca la capacità di risposta sanitaria ed economica dello Stato.


Gli accadimenti di questi ultimi tre anni, analizzati in chiave strategica e geopolitica, rivelano che la pandemia ha messo a dura prova le economie della maggior parte degli Stati, minandone la capacità di continuare ad essere interlocutori stabili negli scenari internazionali. In particolare, emerge chiaramente ed inequivocabilmente che qualsiasi competitor nello scacchiere delle potenze mondiali, sviluppando contemporaneamente un agente patogeno ad alta letalità e diffusività e le opportune contromisure (ad es. vaccini o antidoti), sarebbe in grado di ottenere un vantaggio sul piano sanitario; in tale contesto, poi, la posizione dominante deriverebbe dall’opportunità di avere la meglio sulle potenze avversarie che, sul fronte interno, si troverebbero fiaccate dalla crisi sanitaria ed economica conseguente all’attacco. In uno scenario così ipotizzato, tanto minore è la capacità di reazione tanto maggiore sarebbe l’impatto della crisi sull’integrità dello Stato sotto attacco.
La pandemia – anche alla luce di quanto ne è conseguito di positivo e negativo in termini di gestione della stessa – può essere utilmente analizzata come fosse lo sfondo di una guerra biologica, al fine di estrapolarne esperienze ed insegnamenti, altrimenti non perseguibili – nonché certamente indispensabili – allo scopo di efficientare l’intero apparato statale.
Lo Stato di diritto, che non riconosce poteri al di fuori o al di sopra della legge, impone legalità e trasparenza al decisore politico; perciò, seguendo il ragionamento, non può esservi da parte dello Stato destinatario dell’attacco un’idonea azione di difesa (ed eventualmente di contrattacco) se non è in grado di assicurare condizioni di sicurezza, di giustizia e di funzionamento efficiente della macchina amministrativa a tutti i livelli.
Ipotizziamo che lo Stato bersaglio sia l’Italia. La nostra storia ci racconta che la gestione della stragrande maggioranza delle crisi ha significato necessariamente fare i conti con le mafie. Nel tempo sono state capaci di adattarsi rapidamente, hanno sfruttato ogni situazione emergenziale – dai cataclismi naturali alle recessioni economiche – per acquisire consenso sociale e rinsaldare il controllo sul territorio. Si sono offerte come struttura alternativa allo Stato attraverso forme di sostegno economico a privati e imprese in difficoltà finendo, molto spesso, per ottenerne il controllo. Non hanno più connotazioni e funzioni specifiche, sono liquide e conniventi con gran parte della società italiana: la loro forza risiede nella mutevolezza, adattabilità e capacità di intercettare con ogni mezzo il consenso popolare, del quale non possono fare a meno.
Durante la fase emergenziale di contrasto alla diffusione del Covid-19, tutte le istituzioni che compongono la nostra Repubblica sono state chiamate ad adottare misure eccezionali con l’obiettivo di proteggere la vita e la salute di tutti. La reazione è stata rapida e diretta su due fronti: sanitario, attraverso la fornitura di dispositivi di sicurezza, l’assunzione di personale, la riconversione di reparti ospedalieri, la sanificazione, l’approvvigionamento di tamponi, l’acquisto di vaccini, col fine di ridurre la diffusività e la letalità del virus; economico, cercando di limitarne gli effetti negativi attraverso una politica di ristori ad un’ampia platea di imprenditori e lavoratori. Si sono così create quelle condizioni favorevoli in cui le organizzazioni mafiose hanno potuto trovare ampi spazi di manovra e nuove opportunità di acquisizione del potere e di arricchimento; solo per citarne alcuni, il ricorso a procedure di gara e di acquisto ispirate dall’urgenza e in deroga ai controlli, o le crescenti povertà e disuguaglianze sociali, o ancora l’arrivo dei fondi europei e la possibilità di reinvestire capitali di illecita provenienza nell’economia legale.
Franco Roberti, già Procuratore Nazionale Antimafia, in un’intervista rilasciata a fine marzo 2020, sottolineava la precarietà e la difficoltà nello svolgere controlli in situazioni contingenti, proprio come la crisi sanitaria, che lui stesso aveva paragonato ad un’economia di guerra, in cui le mafie si inseriscono e prosperano. Dopo circa un anno, Giuseppe Lombardo, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, ammoniva sul fatto che, passata l’emergenza, le organizzazioni mafiose avrebbero dapprima allargato la base di consenso sociale tra le categorie prive di “paracaduti finanziari” mediante piccoli aiuti in denaro, offerte di lavoro utili alla filiera mafiosa (si pensi ad esempio alle c.d. “vedette” nello spaccio di sostanze stupefacenti, oppure all’utilizzo di prestanomi per l’intestazione fittizia dei beni). Nel medio-lungo periodo, invece, il procuratore ha altresì evidenziato la strategia di consolidamento del proprio potere economico e finanziario mondiale da parte delle grandi mafie, in una fase di scarsissima liquidità globale.

Le risultanze investigative hanno dimostrato che i clan mafiosi hanno fatto importanti investimenti nelle società operanti nel ciclo della sanità, siano esse coinvolte nella produzione di dispositivi medici (mascherine, respiratori, ecc.), nella distribuzione (a partire dalle farmacie, in più occasioni cadute nelle mire delle cosche), nella sanificazione ambientale e nello smaltimento dei rifiuti speciali, prodotti in maniera più consistente a seguito dell’emergenza. Tradizionalmente, il settore sanità è nelle mire delle mafie, non solo per le consistenti risorse previste nei bilanci, ma anche per le procedure di appalto e il controllo sociale che può garantire. Lo dimostrano i commissariamenti per infiltrazioni mafiose, nel 2019, delle aziende sanitarie di Reggio Calabria e Catanzaro.
In chiave strategica appare dunque prioritario riflettere sul condizionamento mafioso nella sanità; essa è, infatti, il comparto pubblico che – dato il suo esercito di medici e operatori sanitari, mezzi e attrezzature specialistiche – è chiamato in prima linea sul fronte in caso di attacco biologico (come lo è stato finora per il SARS-Covid-2). In riferimento ai possibili rischi, i pericoli e i danni che derivano dall’ingerenza mafiosa, a titolo esemplificativo (e non esaustivo) sono rintracciabili nell’intervento del Presidente della Repubblica sullo scioglimento delle aziende sanitarie provinciali di Reggio Calabria e Catanzaro nel 2019. Nella fattispecie, il Capo dello Stato ha posto l’accento sulla permeabilità dell’ente sanitario ai condizionamenti esterni della criminalità organizzata, con grave nocumento al regolare funzionamento dei servizi e quale pericolo per lo stato della sicurezza pubblica.

La principale contromisura economica adottata dallo Stato è il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Il piano, attraverso riforme e investimenti, si propone di affrontare la crisi economica e sociale conseguente alla pandemia da Covid-19, di intervenire sulle debolezze strutturali del sistema economico nazionale e avviare il processo di transizione ecologica e digitale. A riguardo, nella relazione annuale 2021 il Comparto di Intelligence italiano ha lanciato l’allarme evidenziando, anche in questo caso, le specifiche criticità che potrebbero derivare da ingerenze controindicate nell’ambito delle fasi realizzative delle missioni del PNRR, considerato il principale interesse nazionale nel prossimo quinquennio.
Il particolare momento storico legato alle conseguenze del Covid-19 restituisce un quadro caratterizzato da un comportamento mafioso che abbandona i tratti predatori, per farsi impresa politico-criminale con lo scopo, innanzitutto, di conquistare i mercati.

Il Servizio analisi criminale della Direzione centrale della Polizia criminale del Dipartimento della Pubblica sicurezza, ha tipizzato le cinque modalità con le quali le organizzazioni mafiose infiltrano il tessuto economico compromettendone la stabilità: basica/estorsiva, di tipo semplicemente parassitario; speculativa, realizzata con la partecipazione occulta nelle compagini societarie favorita dalla crisi economica; mista (parassitaria-speculativa), realizzata mediante l’imposizione di subappalti e di assunzioni di personale; di imprenditorialità diretta, realizzata con lo schema tipico della c.d. impresa mafiosa (prestanome incensurati e supporto professionale dei c.d. colletti bianchi o professionisti facilitatori (avvocati, notai, banche, commercialisti, ecc.); di infiltrazione nella pubblica amministrazione, al fine di controllare l’ente per la gestione di appalti che garantiscono un flusso economico rilevante.
Questa consapevolezza, acclarata da decenni di risultati giudiziari, impone che la competenza di sicurezza nazionale si concentri sulle forme di ingerenza, monitorandole, al fine di sostenere e supportare il decisore politico e tutelare i processi decisionali della pubblica amministrazione e la migliore gestione degli interessi economici, finanziari, sociali e industriali dello Stato. La disponibilità di capitali illeciti da riciclare, i problemi di liquidità delle aziende connessi alla crisi, le connivenze con soggetti eterogenei per ruoli, interessi e competenze (colletti bianchi o professionisti facilitatori) consentono, infatti, alle consorterie mafiose di permeare in maniera silente il tessuto economico, sociale e amministrativo dello Stato, minandone la capacità di reazione.
La pandemia insegna che agire solo sulla fase post-evento significa aver perso in partenza; se lo Stato vuole reagire efficacemente ad un attacco biologico, deve indirizzare le proprie forze di intelligence verso due obiettivi: contrastare la capacità della criminalità mafiosa di influenzare le decisioni della pubblica amministrazione attraverso il consenso e la corruzione; impedire l’introduzione in larga scala di capitali illeciti nel circuito legale che comprometterebbero l’assetto economico dello Stato. In vista di tali obiettivi gli operatori di intelligence dovranno innanzitutto individuare – mediante un’attenta analisi dei processi – le vulnerabilità del sistema in relazione alle procedure ed alle iniziative maggiormente esposte alle varie forme di ingerenza mafiosa. Andranno quindi osservate costantemente le minacce e ponderati i relativi rischi rispetto alle varie forme di interesse criminale.
In ultimo, essendo il rischio biologico (o più in generale NBCR – nucleare, biologico, chimico, radiologico) amplificato non solo dall’ingerenza mafiosa, ma anche dall’incessante sviluppo tecnologico ed industriale e dalla crescente globalizzazione, l’approccio deve essere necessariamente multidisciplinare onde garantire il massimo grado di coordinamento tra gli attori coinvolti nelle diverse fasi della risposta.©

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