SVILUPPO DELLE TECNICHE DI DETERMINAZIONE DELLE DISTANZE DI SPARO: METODI CHIMICI E STRUMENTALI XRF

di Walter Riccitelli

[vc_row] Ogni caso giudiziario ha nella ricostruzione della sua dinamica il fulcro, dal quale si definiscono la rilevanza penale e le responsabilità di tutti gli agenti principali ed al contempo le situazioni accidentali e non, che portano in sede di giudizio alla esatta quantificazione delle pene. Quando nella scena del crimine sono impiegate armi da fuoco, oltre ai consueti parametri di affidabilità – o non affidabilità – di ciascun testimone, ci si scontra con l’effetto shock creato dall’esplosione dei colpi, il quale può influire negativamente sulla metabolizzazione e rielaborazione dei ricordi, siano essi elementi generali o dettagli. Inoltre, una delle parti potrebbe avere interesse ad “omettere” alcuni particolari al fine di sgravare la propria posizione, ovvero aggravare quella altrui. In certi contesti criminali in particolare, inoltre, risulta frequente lo sparo “a bruciapelo” o comunque a distanza molto ravvicinata, pertanto la quantificazione della distanza di sparo si dimostra un efficace ausilio d’indagine. [/vc_row]

 

1.     Principi generali
Le cartucce per arma da fuoco si suddividono in due grandi famiglie in base al/ai proiettile/i di cui sono dotate: a “palla singola” e a “munizionamento spezzato” (a pallini/pallettoni). È intuitivo pensare che ognuna si comporti diversamente quando viene sparata. Infatti il munizionamento a pallini una volta esploso tende ad espandersi radialmente rispetto alla sua traiettoria ideale formando la cosiddetta rosata, che segue regole proprie e dipendenti da diversi fattori fisici e costruttivi sia del fucile che della cartuccia.
Di seguito parleremo delle possibilità offerte dalle tecniche attuali relativamente alle analisi riguardanti l’esplosione di cartucce a palla singola, in particolare dalle armi corte (pistole/revolver), quelle più studiate a livello europeo e per questo non a caso oggetto di appositi approfondimenti anche in sede di esercizi collaborativi in ambito ENFSI (European Network of Forensic Science Institutes) tra le polizie di tutta Europa e non solo.

Introduciamo in primis la definizione di “distanza di sparo”, intesa come l’intervallo che intercorre tra il vivo di volata dell’arma sparante (ovvero la parte terminale della canna, dalla quale fuoriesce il proiettile) ed il suo obiettivo, nel nostro caso la vittima.
Indichiamo inoltre l’oggetto della nostra ricerca: i residui parzialmente e/o totalmente combusti della carica di lancio1 e dell’innesco della cartuccia (cfr. fig. 1) ed eiettati conseguentemente allo sparo. Tali residui, trattenuti facilmente anche dalle fibre degli abiti indossati dalla vittima, sono identificabili con vari metodi e, a seconda della loro origine, possono contenere elementi quali piombo, rame e/o altri elementi, anche di natura organica.

 

2.     Campo di applicazione
Enunciamo subito il primo e più importante elemento di valutazione per il test delle distanze di sparo: più lo sparatore è vicino al suo obiettivo e più informazioni potremo raccogliere dai reperti; l’intervallo massimo entro il quale questo accertamento è utile al fine di ricostruire la dinamica del fatto-reato è convenzionalmente posto a due metri, limite oltre il quale sia i reperti che i campioni sperimentali non forniscono alcun dato utile.

La metodica per questa indagine, inoltre, identifica nel piombo ed nel rame gli elementi chimici sentinella: del primo ne è ricca la maggior parte degli inneschi in commercio, oltre ad essere il materiale di cui sono composti i proiettili, e il secondo è il principale costituente del bossolo, normalmente costituito di una lega di ottone (rame-zinco) e talvolta del proiettile (camiciatura). Un discorso a parte merita la carica di lancio (la volgarmente detta “polvere da sparo”), la quale pur avendo una composizione molto simile da produttore a produttore, da sola non da informazioni univoche in merito alla presenza di residui dell’esplosione di colpi d’arma da fuoco, per due ragioni:

Si tratta quindi di un accertamento simile a quello che in passato veniva chiamato “guanto di paraffina”, che si considera superato in termini forensi per l’eccessiva incidenza di falsi-positivi.

 

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