Consistente ricostruzione di alcuni approdi normativi e giurisprudenziali in tema di tabulati telefonici, a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale del 1993 fino ad arrivare alla Legge n. 178 del 2021 (estratto della Sentenza della Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Num. 8968 Anno 2022).
Sentenza N. 8968/20224.1. La sentenza della Corte Costituzionale n. 81 del 1993
4.1.1. In origine l’acquisizione dei tabulati telefonici non era regolata da una specifica disposizione di legge. La giurisprudenza era divisa tra vari orientamenti: sufficienza dell’iniziativa della polizia giudiziaria; necessità del decreto del pubblico ministero; autorizzazione del giudice; applicazione integrale delle norme dettate per l’intercettazione delle conversazioni (art. 266-271, cod. proc. pen.).
4.1.2. La Corte Costituzionale interviene con una sentenza interpretativa di rigetto (la n. 81 del 1993) che getta le fondamenta sulle quali poggiano le leggi e la giurisprudenza successive: l’acquisizione dei dati “esteriori” delle comunicazioni è istituto diverso dalle intercettazioni (dunque sono inapplicabili le regole di cui agli artt. 266-271 cod. proc. pen.), purtuttavia esso ricade nell’area di tutela garantita dall’art. 15 Cost., si tratta di “tutela minima” che postula un provvedimento motivato della autorità giudiziaria, lasciando, in ogni caso, il legislatore libero di apprestare strumenti più incisivi.
La decisione della Consulta si snoda attraversi alcuni importanti passaggi argomentativi che è utile trascrivere:
- «nell’art. 15 della Costituzione “trovano protezione due distinti interessi: – quello inerente alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni, riconosciuto come connaturale ai diritti della personalità definiti inviolabili dall’art. 2 della Costituzione, e quello connesso all’esigenza di prevenire e reprimere i reati, vale a dire ad un bene anch’esso oggetto di protezione costituzionale” (v. anche sentt. nn. 120 del 1975, 98 del 1976, 223 del 1987, 366 del 1991)»;
- «la particolare disciplina predisposta dagli artt. 266-271 c.p.p. sulle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni telefoniche si applica soltanto a quelle tecniche che consentono di apprendere, nel momento stesso in cui viene espresso, il contenuto di una conversazione o di una comunicazione, contenuto che, per le modalità con le quali si svolge, sarebbe altrimenti inaccessibile a quanti non siano parti della comunicazione medesima»;
- le norme citate si conformano, in via esclusiva, «a operazioni relative all’intercettazione del contenuto di conversazioni (telefoniche) e non sono, pertanto, estensibili a differenti forme di intervento nella sfera di riservatezza delle comunicazioni tra privati, né ad aspetti diversi da quello attinente al contenuto delle comunicazioni medesime (identità dei soggetti, tempo e luogo della conversazione)»;
- d’altra parte, la tutela accordata dall’art. 15 della Costituzione alla libertà e alla segretezza della comunicazione «è sicuramente tale da ricomprendere fra i propri oggetti anche i dati esteriori di individuazione di una determinata conversazione telefonica. In altri termini, l’ampiezza della garanzia apprestata dall’art. 15 della Costituzione alle comunicazioni che si svolgono tra soggetti predeterminati entro una sfera giuridica protetta da riservatezza è tale da ricomprendere non soltanto la segretezza del contenuto della comunicazione, ma anche quella relativa all’identità dei soggetti e ai riferimenti di tempo e di luogo della comunicazione stessa»;
- «l’art. 15 della Costituzione, in mancanza delle garanzie ivi previste, preclude la divulgazione o, comunque, la conoscibilità da parte di terzi delle informazioni e delle notizie idonee a identificare i dati esteriori della conversazione telefonica (autori della comunicazione, tempo e luogo della stessa), dal momento che, facendone oggetto di uno specifico diritto costituzionale alla tutela della sfera privata attinente alla libertà e alla segretezza della comunicazione, ne affida la diffusione, in via di principio, all’esclusiva disponibilità dei soggetti interessati»;
- «va riconosciuto il diritto di mantenere segreti tanto i dati che possano portare all’identificazione dei soggetti della conversazione, quanto quelli relativi al tempo e al luogo dell’intercorsa comunicazione»;
- ferma restando la libertà del legislatore di stabilire più specifiche norme di attuazione dei predetti principi costituzionali, il livello minimo di garanzie esige, con norma precettiva, tanto il rispetto di requisiti soggettivi di validità in ordine agli interventi nella sfera privata relativa alla libertà di comunicazione (atto dell’autorità giudiziaria, sia questa il pubblico ministero, il giudice per le indagini preliminari o il giudice del dibattimento), quanto il rispetto di requisiti oggettivi (sussistenza e adeguatezza della motivazione in relazione ai fini probatori concretamente perseguiti);
- queste garanzie pongono «un parametro di validità che spetta al giudice ordinario applicare direttamente al caso di specie, al fine di valutare se l’acquisizione in giudizio del tabulato, contenente l’indicazione dei riferimenti soggettivi, temporali e spaziali delle comunicazioni telefoniche intercorse, possa essere considerata legittima e, quindi, ammissibile».
4.1.3. In sintesi la Corte Costituzionale ha stabilito, che, pur in assenza di una normativa specifica volta a tutelare la riservatezza delle informazioni e delle notizie idonee ad identificare i dati esteriori della conversazione telefonica (numeri del chiamante e del chiamato, data, ora, luogo e durata), l’acquisizione di tali dati deve avvenire nel rigoroso rispetto delle regole che la stessa Costituzione pone direttamente, con norma precettiva, a tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni (art. 15).
Con la conseguenza che l’acquisizione degli elementi suddetti, contenuti nel tabulato, può legittimamente avvenire «soltanto sulla base di un atto dell’autorità giudiziaria, sorretto da un’adeguata e specifica motivazione, diretta a dimostrare la sussistenza in concreto di esigenze istruttorie volte al fine, costituzionalmente protetto, della prevenzione e della repressione dei reati».
Va sottolineato che, secondo l’espressa indicazione del giudice delle leggi, la categoria dei dati c.d. esteriori della conversazione telefonica, protetti dall’art. 15 Cost., concerne non solo l’identità dei soggetti e il tempo ma anche il luogo della conversazione, cioè la collocazione sul territorio di chiamante e chiamato: «riferimenti soggettivi, temporali e spaziali».
4.2. Le Sezioni Unite
4.2.1. Con la sentenza n. 21 del 13/07/1998, Gallieri, Rv. 211196, le Sezioni Unite, – nel risolvere il contrasto di giurisprudenza sul regime applicabile ai tabulati telefonici – hanno enucleato, sulle orme della Corte Costituzionale, il principio:
- che l’acquisizione dei tabulati telefonici soggiace alla disciplina delle garanzie di segretezza e libertà delle comunicazioni;
- che è necessario un decreto motivato della autorità giudiziaria (pubblico ministero o giudice) in assenza del quale opera la sanzione di inutilizzabilità ai sensi dell’art. 191 cod. proc. pen.;
- che l’art. 191 cod. proc. pen. si riferisce non solo alle prove oggettivamente vietate, ma anche a quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati in modo specifico dalla Costituzione, come nel caso degli artt. 13, 14 e 15, in cui la prescrizione dell’inviolabilità attiene a situazioni fattuali di libertà assolute, di cui è consentita la limitazione solo nei casi e nei modi previsti dalla legge.
Le Sezioni Unite Gallieri hanno offerto una utile definizione di “tabulati”: «essi costituiscono la documentazione in forma intellegibile del flusso informatico relativo ai dati esterni al contenuto delle conversazioni; stampa che fa parte peraltro, secondo la tecnica informatica, del “movimento” dei dati gestito dall’ente concessionario del servizio, nell’ambito del flusso costituito appunto dall’ingresso-elaborazione-registrazione e stampa».
4.2.2. Le Sezioni Unite D’Amuri (sentenza n. 6 del 23/02/2000, Rv. 215841) hanno ribadito che: «Ai fini dell’acquisizione dei tabulati contenenti i dati esterni identificativi delle comunicazioni telefoniche conservati in archivi informatici dal gestore del servizio, è sufficiente il decreto motivato dell’autorità giudiziaria, non essendo necessaria, per il diverso livello di intrusione nella sfera di riservatezza che ne deriva, l’osservanza delle disposizioni relative all’intercettazione di conversazioni o comunicazioni di cui agli articoli 266 e seguenti cod. proc. pen.».
4.2.3. Le Sezioni Unite Tammaro (n. 16 del 21/06/2000, Rv. 216247 – 01) hanno chiarito che: «Per l’acquisizione dei dati esterni relativi al traffico telefonico – concernenti gli autori, il tempo, il luogo, il volume e la durata della comunicazione, fatta esclusione del contenuto di questa – archiviati dall’ente gestore del servizio di telefonia, è sufficiente, in considerazione della limitata invasività dell’atto, e sulla base dello schema delineato nell’art. 256 cod. proc. pen., eterointegrato dall’art. 15, comma secondo, Cost., il decreto del pubblico ministero con il quale si dia conto delle ragioni che fanno prevalere sul diritto alla “privacy” l’interesse pubblico di perseguire i reati».
Con tale pronuncia le Sezioni Unite hanno posto l’accento su un profilo di particolare interesse: «anche se manca la previsione di un immediato controllo giurisdizionale di detto decreto motivato, tuttavia il recupero di tale controllo, che attiene a un mezzo di ricerca della prova, avviene attraverso la rilevabilità, anche di ufficio, dell’eventuale relativa inutilizzabilità, in ogni stato e grado del procedimento, così nelle indagini preliminari nel contesto incidentale relativo all’applicazione di una misura cautelare, come nell’udienza preliminare, ovvero nel dibattimento o nel giudizio di impugnazione».
4.3. L’intervento legislativo
Il d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali (cd. Codice della privacy), ha formato oggetto di numerose modifiche, integrazioni, abrogazioniparziali, che si sono susseguite nel tempo.
4.3.1. Per quanto qui interessa, è sufficiente ricordare che le,disposizioni sulla conservazione dei dati personali si incentrano sull’art. 132.
La norma, al momento della sua introduzione, è intervenuta sul profilo della delimitazione temporale, per finalità di accertamento e repressione, della conservazione dei dati relativi, tra l’altro, al traffico telefonico (qui in rilievo), delimitazione che ha conosciuto varie modifiche sino alla attuale regola generale (salvo specifiche deroghe) della conservazione per ventiquattro mesi dalla comunicazione (termini diversi sono previsti per altri dati).
A seguito di ripetute modifiche (d.l. 24 dicembre 2003, n. 354 convertito con modificazioni dalla L. 26 febbraio 2004, n. 45; d.l. 27 luglio 2005, n. 144 convertito con modificazioni dalla L. 31 luglio 2005, n. 155), l’art. 132, al comma 3 – nel testo risultante prima del d.l. n. 132 del 2021 (di cui infra paragrafo 4.5.) — individuava nel «decreto motivato del pubblico ministero» lo strumento e l’autorità giudiziaria competente a disporre l’acquisizione dei dati. Non era prevista la delimitazione a un catalogo predeterminato di reati.
4.3.2. Va ribadito che per «dati relativi al traffico telefonico» devono intendersi quelli che, secondo la definizione offerta dalla Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, concernono i dati cd. “esteriori” della conversazione telefonica, comprensivi del luogo della chiamata.
Si tratta, a ben vedere, di una definizione “in negativo”, nel senso che essa abbraccia tutti i dati di una conversazione telefonica, “esclusi” quelli attinenti al suo contenuto.
In altre parole la comunicazione telefonica gode di due statuti:
- quello relativo alla captazione del contenuto, regolato dagli artt. 266-271 cod. proc. pen.;
- quello relativo alla acquisizione di tutti i restanti dati (autori, tempo, luogo, la durata della comunicazione), disciplinato dall’art. 132 codice della privacy.
4.3.3. La conclusione che precede risulta confermata dalla lettera della legge.
L’art. 121 del codice della privacy distingue tra:
- «dati relativi al traffico» (lettera h), che definisce come «qualsiasi dato sottoposto a trattamento ai fini della trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica o della relativa fatturazione»;
- «dati relativi all’ubicazione» (lettera h), che definisce come ogni dato trattato in una rete di comunicazione elettronica o da un servizio di comunicazione elettronica che indica la posizione geografica dell’apparecchiatura terminale dell’utente di un servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico».
Ritiene il collegio che la nozione di «dati relativi al traffico» comprenda anche quelli che indicano il luogo della comunicazione; e che per «dati relativi all’ubicazione» debbano intendersi quelli, diversi dai primi, che afferiscono unicamente alla localizzazione di una apparecchiatura.
Che questa sia l’interpretazione corretta, lo si comprende dal testo dei successivi articoli 123 e 126.
Il primo disciplina i «dati relativi al traffico». Il secondo regola i «dati relativi all’ubicazione» e chiarisce che si tratta dei dati relativi all’ubicazione «diversi» da quelli relativi al traffico; con ciò lasciando desumere l’esistenza di dati relativi al traffico che possono afferire alla ubicazione.
Del resto l’art. 121 lett. h) non riproduce per intero il testo dell’art. 1, lettera c), del d. Igs. n. 109 del 2008, lì dove stabiliva che sono «relativi all’ubicazione» quei dati trattati in una rete di comunicazione elettronica che indicano la posizione geografica dell’apparecchiatura terminale dell’utente di un servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico, «ivi compresi quelli relativi alla cella da cui una chiamata di telefonia mobile ha origine o nella quale si conclude».
Nella nuova definizione, l’art. 121 lett. h) codice della privacy espunge l’ultima parte dell’art. 1 lettera c) d. Igs. n. 109 del 2008, vale a dire proprio quella che si riferiva ai dati relativi alla “cella” agganciata da una chiamata telefonica.
4.4. Sul tema dei c.d. data /retention/ è intervenuta a più riprese la Corte di giustizia dell’Unione Europea; tra le varie decisioni torna utile ricordare quella emessa dalla Grande Sezione il 2 marzo 2021, nella causa C-746/18.
4.4.1. La Corte di Giustizia, pronunciandosi sul rinvio pregiudiziale della Corte Suprema estone, ha affermato due rilevanti principi circa la disciplina dei c.d. «data /retention/» ricavabile dall’art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009:
- la direttiva, letta alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, osta a una normativa nazionale che permetta alle autorità pubbliche l’accesso a dati relativi al traffico o a dati relativi all’ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull’ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedimenti aventi per scopo la lotta contro forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica;
- la direttiva, letta alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, osta a una normativa nazionale che investa il pubblico ministero della competenza ad autorizzare l’accesso ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all’ubicazione al fine di condurre un’istruttoria penale, dovendo il controllo preventivo essere rimesso a un giudice o a una autorità amministrativa indipendente, comunque diversa dall’autorità richiedente.
4.4.2. La decisione della Corte di giustizia ha generato una frizione tra principi espressi e la legislazione italiana in punto di:
- limitazione alla lotta contro “forme gravi di criminalità”;
- individuazione della autorità giudiziaria competente a disporre l’acquisizione dei tabulati, che deve essere non solo indipendente, ma anche diversa dalla autorità richiedente.
4.5. A distanza di pochi mesi dalla pronuncia della Corte di giustizia, è stato adottato il d.l. n. 132 del 2021, entrato in vigore il 30 settembre 2021.
4.5.1. L’art. 1 del decreto interviene sull’art. 132 d.lgs. 196/2003 con il fine, dichiarato nel preambolo, di adeguare la disciplina nazionale ai principi enunciati dalla Corte di giustizia nella sentenza 2 marzo 2021, limitando la possibilità di acquisizione di tabulati telefonici e informatici a determinate forme gravi di criminalità e introducendo un controllo giurisdizionale ex ante sulla richiesta del pubblico ministero (o una convalida successiva in caso di urgenza).
L’articolo 1 del citato d.l. —intitolato « Disposizioni in materia di acquisizione dei dati di traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale» — riscrive il comma 3 all’articolo 132 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, nel senso che: «entro il termine di conservazione imposto dalla legge, se sussistono sufficienti indizi di reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni determinata a norma dell’articolo 4 del codice di procedura penale, e di reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia e il disturbo sono gravi, ove rilevanti ai fini della prosecuzione delle indagini, i dati sono acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del giudice su richiesta del pubblico ministero o su istanza del difensore dell’imputato, della persona sottoposta a indagini, della persona offesa e delle altre parti private».
Sono stati inseriti ulteriori commi che, ai fini della presente disamina, non vengono in rilievo.
Assume interesse, invece, il fatto che il decreto legge, nel suo testo originario, non prevedeva una norma transitoria, sì da far sorgere un vivace dibattito sulle regole valide per il passato e sulla compatibilità con i principi affermati dalla Corte di Giustizia (a favore della applicazione del principio generale del c.d. /tempus regit actum/ si è espressa la Corte di cassazione con la sentenza Sez. 5, n. 1054 del 06/10/2021, dep. 2022).
4.5.2. In sede di conversione (legge n. 178 del 2021) il legislatore, oltre ad apportare alcuni correttivi, ha dettato una specifica norma transitoria. La legge di conversione interviene:
- sostituendo alla precedente formula «…ai fini della prosecuzione delle indagini» quella, più chiara, «…ove rilevanti per l’accertamento dei fatti»;
- precisando la natura autorizzatoria del decreto del giudice;
- introducendo la previsione espressa di inutilizzabilità.
I sintesi la nuova disciplina regola l’acquisizione dei dati del traffico telefonico e telematico.
I dati del traffico telefonico, si ripete (cfr. sopra paragrafo 4.3.2), sono tutti i dati cd. “esteriori” della conversazione telefonica diversi da quelli attinenti al suo contenuto, e che comprendono autori, tempo, durata e luogo della comunicazione, dunque anche quelli tratti dalla dislocazione della “cella” da cui una chiamata di telefonia mobile ha origine o nella quale si conclude.
I dati in rassegna possono essere acquisiti:
- con riguardo a un catalogo predeterminato di reati che il legislatore italiano ha reputato espressione di “forme gravi di criminalità”;
- in presenza di sufficienti indizi di reato;
- ove rilevanti per l’accertamento dei fatti.
L’autorizzazione deve essere data dal giudice con decreto motivato (salvi i casi di urgenza in cui il giudice interviene in fase di convalida).
4.5.3. Soprattutto, però, viene innovata la disciplina che regola il passato.
La legge di conversione n. 178 del 2021, con l’inserimento del comma 1-bis all’interno dell’art. 1 del decreto legge n. 132 del 2021, stabilisce che i dati relativi al traffico telefonico acquisiti nei procedimenti penali prima della entrata in vigore del di. n. 132 del 2021 «possono essere utilizzati a carico dell’imputato solo unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente per l’accertamento dei reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell’articolo 4 del codice di procedura penale e dei reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia o il disturbo sono gravi».
Dunque, in deroga al principio del /tempus regit actum/, i dati esteriori relativi alle comunicazioni telefoniche (con ciò intendendosi, per quanto sopra detto, i numeri di chiamante e chiamato, data, ora, durata, compreso il luogo) -acquisiti prima del 30 settembre 2021, in base a decreto motivato del pubblico ministero (modalità legittima secondo la legge in precedenza vigente) – possono essere utilizzati come elemento di prova a carico dell’imputato solo «unitamente ad altri elementi di prova» e solo per l’accertamento dei reati che rientrano nella categoria già delineata “per il futuro” dal d.l. n. 132 del 2021.
Ergo: il novero dei reati per i quali i tabulati sono utilizzabili dal 30 settembre 2021 vale anche per il passato e la limitazione è inderogabile. Mentre invece viene “salvata”, a determinate condizioni, la precedente modalità acquisitiva effettuata attraverso il decreto motivato del pubblico ministero.
Al riguardo non è superfluo rimarcare come il sistema italiano garantiva, comunque, il recupero di un controllo giurisdizionale esercitato di ufficio (cfr. Sez U, n. 16 del 21/06/2000, Tamnnaro cit.).
Viene attivato, però, un ulteriore “cordone” di protezione: i tabulati telefonici, acquisiti con decreto motivato del pubblico ministero, non possono da soli fondare un giudizio di colpevolezza, essendo richiesto il conforto di altri elementi di prova. In sostanza, per il passato, ferme le categorie di reato (che pongono un limite invalicabile), il legislatore, piuttosto che delineare una sanzione processuale (solo evocata dal termine «utilizzati»), ha delineato una regola legale di valutazione della prova mutuata dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. in tema di chiamata di correo.
Del resto, indice non equivoco di siffatta intenzione del legislatore si trae dalla costruzione positiva della formulazione, che non sanziona una inutilizzabilità, ma stabilisce, in positivo, in quali limiti la prova possa essere valutata al fine di pervenire a una affermazione di responsabilità.
Sula scorta di queste considerazioni può affermarsi che gli “altri elementi di prova”, non essendo predeterminati nella specie e nella qualità, «possono essere di qualsiasi tipo e natura, ricomprendere non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo ed idoneo, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a corroborare, nell’ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma» (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145).
4.5.4. L’esatto inquadramento dogmatico della regola dettata dal comma 1- bis dell’art. 1 del d.l. n. 132 del 2021, introdotto dalla I. n. 178 del 2021 non è di poco conto nell’ottica del giudice di legittimità, atteso che l’inutilizzabilità della prova è deducibile dinanzi alla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.; mentre la violazione di una regola di valutazione della prova può essere fatta valere solo a norma della lett. e) dell’art. 606 cod. proc. pen. (cfr. tra le altre Sez. 6 n. 4119 del 30/04/2019, dep. 2020, Romeo gestioni s.p.a., Rv. 278196) cioè come vizio della giustificazione del giudizio di fatto.
Non solo; la inutilizzabilità è rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento (sebbene la Corte di cassazione si sia dotata di un insieme di canoni molto precisi sul regime delle inutilizzabilità, sugli oneri di deducibilità e sulle condizioni di rilevabilità); mentre il vizio di motivazione deve essere sempre dedotto dal ricorrente.
In questa seconda ipotesi è difficile che i ricorsi proposti prima della entrata in vigore della norma transitoria censurino una decisione per l’inosservanza di una regola valutativa all’epoca inesistente.
E, tuttavia, l’introduzione di una previsione di maggior rigore valutativo a favore dell’imputato, che modifica il quadro dei doveri argomentativi del giudice, impone di ritenere che, al di fuori dei casi di inammissibilità del ricorso, qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla idoneità dei tabulati a provare la responsabilità dell’imputato, pur senza fare specifico riferimento al principio contenuto nel citato comma 1-bis dell’art. 1 in esame (neppure conoscibile all’epoca di proposizione del ricorso), la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata.