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Truffe online e minorata difesa: l’aggravante del “luogo”

di Domingo Magliocca

Corte di Cassazione, Sezione II Penale, sentenza n. 43705 del 29 settembre 2016 e depositata il 14 ottobre 2016

La Corte di Cassazione, ritenendo fondato quanto addotto dal P.M., ricorda che l’art. 61, comma 1, n. 5, cod. pen., stabilisce che l’aggravante della cosiddetta minorata difesa si configura allorquando l’agente abbia “approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”. Per la sua applicazione, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità condivisa dal Collegio, occorre che vi siano condizioni oggettive conosciute dall’agente e di cui questi abbia volontariamente approfittato, valutazione che deve essere fatta “in concreto”, “caso per caso” e secondo una “valutazione complessiva” degli elementi disponibili. Con riferimento al “luogo” di commissione del delitto, il Collegio ritiene che la circostanza aggravante sia sussistente: infatti, sarebbe fuorviante individuare, ai fini di interesse, il luogo della condotta illecita nell’ambiente informatico o telematico utilizzato per commettere il reato.



Con la sentenza della II Sez. Pen., datata 14 ottobre 2016 n. 43705, la Suprema Corte ha affrontato la questione circa la configurabilità dell’aggravante della c.d. “minorata difesa” in un caso di truffa seriale commessa online, prospettando una precisa ipotesi di reato: art. 640 comma 2° n. 2-bis, in relazione all’art. 61 c.p. n. 5 c.p.
L’articolo 640 c.p., relativo al reato di truffa, recita “chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549: 2-bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5).”

L’articolo 61 c.p., che racchiude le circostanze aggravanti comuni ed a cui fa riferimento il delitto sopra citato, dispone che “aggravano il reato quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali le circostanze seguenti: n. 5) l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”.

La recente sentenza della Corte assume particolare rilevanza nel contesto delle truffe online in ragione del fatto che tali condotte delittuose – analoghe al caso di specie – sono ormai molto diffuse considerato il propagarsi di varie forme di commercio elettronico.
La vicenda giudiziaria relativa alla sentenza n. 43705 del 2016 ha visto il Tribunale di Brescia annullare l’ordinanza dell’Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari di Bergamo, che aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti dell’indagato resosi responsabile di molteplici episodi di truffa eseguiti con il medesimo modus operandi; in sostanza, l’indagato, dopo aver inserito su vari portali Internet, annunci di vendita di cellulari o di personal computer, dopo aver concluso l’affare incassando le somme di denaro che venivano accreditate su carte prepagate, non provvedeva alla consegna del prodotto “acquistato”.L’Ufficio GIP di Bergamo aveva ritenuto integrati gli estremi del reato di truffa aggravata ai sensi dell’art. 640 comma 2°, n. 2-bis c.p., in quanto la condotta delittuosa è stata commessa dall’agente profittando “di circostanze di luogo e di tempo tali da ostacolare la privata difesa, avendo commesso il fatto attraverso contatti telematici e a distanza che non permettono alla persona offesa di controllare l’identità e la serietà dell’interlocutore/contraente, né l’esistenza del bene offerto”.

Di diverso parere era il Giudice di merito – Tribunale di Brescia – che riteneva insussistente l’aggravante in questione, rilevando che l’applicazione della misura cautelare in carcere dipendeva solamente dall’aggravante della minorata difesa. In particolare, il Tribunale evidenziava che nei fatti contestati non poteva ravvisarsi alcuna “debolezza” del soggetto passivo dalla quale l’agente avesse tratto un vantaggio. Contro tale decisione il Pubblico Ministero ricorreva in Cassazione, che con la pronuncia in analisi accoglieva il ricorso.
La Cassazione, con la decisione in questione, analizza le condizioni secondo cui può ritenersi integrata l’aggravante di cui all’art. 61 comma 1° n.5 c.p. – cui fa riferimento l’art. 640 comma 2° n. 2-bis c.p. -, proprio in relazione alle truffe online.

In sostanza, l’espressione “minorata difesa” indica la condizione dell’agente che approfitta di circostanze a lui favorevoli di tempo, di luogo o di persona, da lui conosciute e che abbiano, relativamente alla situazione esistente, agevolato la commissione del reato (Cass. I, n.6848/91). Si tratta di condizioni oggettive e di cui l’agente ha volontariamente approfittato, valutazione che deve essere fatta “in concreto”, “caso per caso” e secondo una “valutazione complessiva” degli elementi disponibili, al fine di discernere la truffa – come nel caso di specie – dal mero inadempimento contrattuale.

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