L’obiettivo del presente articolo è quello di fornire un’analisi e un approfondimento in merito al tanto delicato, quanto attuale, tema della violenza fisica e abuso sessuale nonché alle consequenziali ripercussioni sia psichiche che fisiche che segnano le vittime, soprattutto i bambini.
La violenza infantile, sebbene sia ampiamente studiata, risulta ancora tra i crimini maggiormente celati e anche per questo rappresenta ancora oggi un grave e diffuso problema sociale. I ragazzi abusati hanno sicuramente più probabilità di uscire precocemente dai sistemi familiari e dalla propria casa, ritrovandosi in contesti di pericolo. Inoltre, l’abuso sessuale infantile, corrode l’autostima delle vittime, il che le rende ancora di più dei bersagli per chi vuole sfruttarli sessualmente.
Solo nel 1989 la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia (CRC) ha decretato i diritti inviolabili di ogni bambino. La CRC ha, dunque, riconosciuto i bambini, per la prima volta, come cittadini e per questo portatori di diritti, primo tra questi proprio quello di avere un’infanzia (Contini, 2016). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), nel 2002, ha meglio delineato la definizione di maltrattamento dell’infanzia, inserendo all’interno di questa categoria tutte le forme che comprendono la cattiva salute fisica e/o emozionale, gli abusi sessuali, la trascuratezza o negligenza, lo sfruttamento commerciale o qualsiasi altro comportamento, che abbia il rischio di creare un pregiudizio reale o anche solo potenziale, di recare un danno alla salute fisica e/o psichica del bambino, per la sua sopravvivenza, per il suo sviluppo e per la sua dignità nell’ambito di una relazione caratterizzata da responsabilità, fiducia o potere” (Krug et al.,2002, pp. 1083–1088). Secondo il National Child Abuse and Neglect Data System (NCANDS, 2010), l’abuso infantile, ad oggi, viene visto come la seconda forma più comune di maltrattamento infantile (NCANDS, 2010, pp. 113,123) e secondo Green e colleghi (2010) circa l’8% della popolazione statunitense lo subisce. Per quanto riguarda lo Stato italiano, recentemente è stata condotta un’indagine dal Coordinamento Italiano dei Servizi (Cismai), con focus sul maltrattamento e sull’abuso nell’infanzia, che ha sostenuto: “un minore su 6 assistiti dai servizi sociali dei comuni italiani è in carico per sospetto o accertato maltrattamento e/o abuso”.
Negli ultimi anni, la letteratura ha cercato studiare anche i fattori correlati allo sviluppo della sintomatologia post traumatica da stress (Adam et al., 1996, pp. 64, 264-292; Agrawal et al.,2004, pp. 94–104; Riggs & Jacobvitz, 2002, pp. 70, 195-204; Sandberg et al., 2010, pp. 33-49; Schuengel et al., 1999, pp. 54-63; West et al., 2001, pp. 627-631). Nello specifico, secondo l’Associazione Psichiatrica Americana l’evento traumatico è: “un’incidente che avviene al di fuori della gamma delle esperienze umane abituali” (1987), ed è di portata talmente grave che scatenerebbe delle reazioni di forte ansia e angoscia in chiunque. Sono molte le conseguenze che la violenza fisica e la violenza sessuale possono causare nella vita delle persone, sia a breve che a lungo termine. Ad esempio, possono portare a sperimentare una serie di condizioni psichiatriche, tra cui la depressione maggiore, il disturbo borderline di personalità, il disturbo da somatizzazione, disturbi da abuso di sostanze, il PTSD, il disturbo dissociativo dell’identità e la bulimia nervosa.
Le ricerche della letteratura sulla violenza infantile, si sono particolarmente concentrate sulle conseguenze a breve termine (Conaway & Hansen; 1989, pp. 627-652; Lamphear, 1985, pp. ,251-263); uno studio di Hammen e colleghi (2000, pp. 782-787) su alunni di scuola superiore, ha dimostrato che coloro che erano stati esposti al trauma prima dei 16 anni presentavano maggiori probabilità di sviluppare sintomi depressivi avendo subito una violenza recente, rispetto a coloro che avevano subito maltrattamenti in età infantile. Breslau e colleghi, invece (1999, pp. 902-202), hanno trovato una correlazione significativa tra la vulnerabilità al PTSD, negli adulti con età compresa tra i 18 e i 45 anni vittime di abusi durante l’infanzia, rimarcando come l’esposizione al trauma in età precoce sia un importante fattore di rischio per l’insorgenza di problemi relativi alla salute psico-fisica delle persone (Breslau et al., 1999, pp. 902-909).
Le conseguenze negative sembrerebbero essere correlate ad una serie di variabili biografiche, tra cui l’età in cui è avvenuto il maltrattamento, le caratteristiche dell’aggressore (ad esempio, il numero degli aggressori o la parentela e il legame con la vittima) e le qualità specifiche della violenza (ad esempio, la durata, la sua cronicità, l’uso della forza…) (Barker-Collo & Read, 2003, pp.95-111; Spaccarelli & Kim, 1995, pp. 1171-1182; Steel et al.,2004, pp. 785-801; Tremblay et al., 1999, pp. 929- 945). Un fattore particolarmente importante sull’impatto che il trauma ha sulla vita delle persone è l’età d’insorgenza. Sembrerebbe che i traumi avvenuti in infanzia siano i più dannosi per la salute e il benessere psico-fisico (Janoff- Bullman, 1992).
La maggior parte delle persone sopravvissute ad abusi sessuali in infanzia manifesta, poi, durante la maturità sintomi di PTSD (Resnick et al., 1993, pp. 984–991).
Il Disturbo da Stress Post Traumatico è particolarmente associato alla gravità della violenza esperita durante il maltrattamento, tanto che le vittime di aggressioni violente sviluppano livelli più elevati di PTSD (Ullman et al., 2007, pp. 821–831).
La violenza intra-familiare, secondo la letteratura, sembra essere la forma più deleteria di maltrattamento correlata all’insorgenza di PTSD; in modo particolare, l’abuso sessuale ed il maltrattamento fisico sembrerebbero nuocere nettamente di più rispetto alla trascuratezza ed al maltrattamento psicologico (Feerick & Snow, 2005, pp. 409-419; Hetzel & Mc Canne, 2005, pp. 915-930). Si presuppone che la maggior parte delle vittime con Disturbo Post Traumatico da Stress, abbia problemi relativi alla memoria legata al trauma ed alla narrazione coerente (Esterling et al., 1999, pp. 79-96). La frammentazione della memoria del trauma comprende: una cronologia anomala di ricordi relativi all’esperienza traumatica (Byrne et al., 2001, pp. 119-133), un aumento di componenti sensoriali (Hopper & Van der Kolk, 2001, pp. 33-71) ed una confusione della memoria (Foa et al., 1995, pp. 675–690; Michaelet al., 2003, pp. 419–431). Michael e colleghi (2003, pp. 419–431), interpretano la frammentazione come l’esito di una mancata elaborazione del ricordo traumatico, a causa delle forti emozioni e della dissociazione, avvenute nel mentre della violenza. La dissociazione viene intesa come una reazione di difesa contro l’evento stressante; la dissociazione per il trauma è in grado di impedire l’elaborazione e l’organizzazione della memoria durante la sua codifica, interrompendo in questo modo sia l’immagazzinamento che il recupero dei ricordi relativi all’evento (Halligan et al., 2003, pp. 419–431; Marshall & Shell, 2002, pp.626–636). Pertanto, la dissociazione porta alla frammentazione della memoria traumatica che, a sua volta, è una componente del Disturbo Post Traumatico da Stress (Brewin et al., 1996, pp. 82-98; Ehlers & Clark, 2000, pp. 319–345; Ozer et al. 2003, pp. 52–73; Laposa & Alden, 2003, pp. 49-56).
Un’altra conseguenza, esperita molte volte dopo maltrattamenti ed abusi in infanzia è la depressione maggiore, insieme alla distimia. A questo proposito esaminando, in particolare la figura femminile, la probabilità che le donne sviluppino sintomi depressivi, aumenta da 3 a 5 volte, in quelle che hanno subito abusi infantili (Neumann et al., 1996, pp. 6-17). Esistono numerose ricerche che hanno ulteriormente svelato come storie di maltrattamenti infantili possano alterare la presentazione clinica della depressione, infatti, in 365 casi di depressione maggiore, gli individui che avevano avuto un CSA, mostravano segni neurovegetativi inversi come, aumento dell’appetito, del peso e dell’ipersonnia (Levitan et al., 1998, pp.1746–1752). Anche il tempo di guarigione sembrerebbe essere associato con una storia di maltrattamenti in infanzia; infatti, chi ha subito CSA ha tempistiche di guarigione dalla depressione maggiore molto più dilatate nel tempo (Zlotnick et al., 1995, pp.1513–1516; 2001, pp. 357–367). Un fattore generalmente associato a esiti peggiori e a lungo termine sembrerebbe essere l’abuso sessuale da contatto (Fergusson et al., 1996, pp. 1365–1374; Kendler et al., 2000, pp. 953–959), insieme alla relazione che la vittima ha con l’autore della violenza (Trickett et al., 2001, pp. 1001–1019).
Secondo le ricerche di Briere & Runtz (1986, pp. 4 13-423) il 56% delle donne che ha subito abusi sessuali infantili attraversa una “storia” di comportamenti suicidari, rispetto al 23% delle donne che non presentano un passato di maltrattamenti.
Bryer e colleghi (1987, pp. 1426-1430) hanno, invece, riscontrato che le donne che avevano avuto un passato di idee suicidarie, hanno una probabilità tre volte maggiore di subire CSA rispetto a pazienti senza questi sintomi. Altro fattore di rilevante importanza, correlato ad una storia di maltrattamenti precoci, è la probabilità di rivittimizzazione (Alexander & Lupfer, 1987, pp. 235-245; Briere, 1984; Fromuth,1986, pp. 5-15; Runtz, 1986, pp. 413-423; Russel, 1986, pp. 15-218). In uno studio, portato avanti da Briere (1984), è stato scoperto che circa il 49% del campione che aveva partecipato, composto da abusati sessuali, era stato già una vittima di abusi, con un tasso tre volte superiore alla media. Grocery e colleghi (1986, pp. 129-133) hanno riferito che il 37% delle vittime di abusi sessuali intervistate da adulte, le aveva già subite in adolescenza; Russel nello stesso anno (1896, pp. 15-218) ha evidenziato che il 65% delle vittime di incesto, facenti parte del suo studio, erano già state vittima di stupro o tentato stupro; Runtz. l’anno successivo (1987, pp. 413-423), ha riferito che il 44% delle donne che avevano avuto una storia di abusi sessuali infantili, erano state poi nuovamente vittima di abusi in età adolescenziale e/o adulta. Finkelhor (1979) ha cercato, invece, di capire perché esistesse questa forte associazione tra trauma infantile e rivittimizzazione in età adulta.
Ci sono altri due forti legami tra i CSA e lo sviluppo di patologie in età adulta, tra cui il Disturbo di Personalità Multipla (MPD) (Bliss, 1984, pp. 197–202; Coons & milstein, 1986, pp. 106-110) e il Disturbo di Personalità Borderline (BPD) (Barnard & Hirsch,1985, pp. 715-718; Bryer et al., 1987, pp. 1426-1430; Herman &Schatzow, 1987, pp. 1-14). Bliss, attraverso le sue ricerche, ha scoperto infatti che, circa il 60% delle donne, che venivano ricoverate per MPD, aveva avuto alle spalle una storia di CSA e il 50% di abusi fisici. Barnard & Hirsh (1985, pp. 715-718), diversamente, evidenziarono che circa il 57% delle donne del loro studio, che erano state vittime di incesto, avevano poi avuto una diagnosi di BPD. Esiste una certa evidenza per la quale le donne che hanno avuto una storia di CSA, sviluppino poi una serie di sintomi emotivi generalizzati come forte ansia, paura (soprattutto del genere maschile), depressione e problemi nel controllo della rabbia (Briere, 1984). Un contributo è stato portato avanti da Herman & Schatzow (1987, pp. 1-14) i quali hanno nuovamente dimostrato angoscia cronica grave in donne che erano state sessualmente abusate; l’abuso era stato accompagnato dalla forza fisica nel 23% dei suddetti casi, la minaccia e la forza nel 38% e il 75% era stato abusato da padri o patrigni. Il clima, in cui crescono i bambini vittime di violenza, raramente può essere definito come positivo, soprattutto se la violenza viene perpetrata da membri della famiglia, e perché l’abuso fisico raramente è disgiunto da quello emotivo e psicologico. Per questi motivi, il maltrattamento infantile in generale sembrerebbe fortemente correlato anche con disturbi della condotta (Nagy et al., 1994, pp. 570-575). Tra questi i più frequenti sono i comportamenti sessualizzanti, maggiormente pronunciati nei bambini più piccoli (Cosentino et al., 1995, pp. 1033–1042; Friedrich et al., 2001, pp. 37-49;McClellan et al., 1996, pp. 1375–1383; Paolucci et al., 2001, pp. 17-36). Storie di CSA, ma non di abuso fisico e/ o negligenza sembrano, all’opposto, essere maggiormente correlate ad un susseguirsi di reati sessuali e prostituzione, indipendentemente dal genere (Widom & Ames,1994, pp. 303-318). Ultimamente la letteratura, analizzando la reattività fisiologica e le sequele neurobiologiche negli adulti con PTSD, ha iniziato ad indagare sugli effetti simili negli adulti e nei bambini maltrattati. Putnam e Trickett (1997, pp. 150-159) ad esempio, attraverso una ricerca longitudinale su donne abusate, ha identificato notevoli compromissioni sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), sul sistema nervoso simpatico e sul sistema immunitario. Secondo De Bellis & Putnam (1999, pp. 1259–1270) è possibile e rilevabile un aumento del cortisolo plasmatico serial mattutino nelle ragazze che sono state violentate, nei primi sei mesi, inoltre ad un aumento dei livelli di catecolamina urinaria nelle 24 ore successive alla violenza. Altre modificazioni sono riscontrabili a livello dei recettori adrenergici piastrinici (Perry, 1994, pp. 233-255) e delle catecolamine urinarie (De Bellis, 1999, pp. 1259–1270). Attraverso studi di risonanza magnetica (MRI), sono state riscontrate alterazioni del sistema neuroanatomico (ippocampo), in adulti con storie di abuso infantile, simili a quelle riportate dai veterani con diagnosi di PTSD (Driessen et al., 2000, pp. 93-129; Stein et al., 1997, pp. 951-959).
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